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L’Italia è alla ricerca di studenti internazionali che diventino lavoratori qualificati, ma ne ha ancora paura

Italy is looking for international students to become skilled workers, but is still afraid of them

Abstract it.

L’Italia aderisce formalmente all’obiettivo stabilito a livello europeo di incoraggiare gli ingressi per motivi di studio e facilitare il passaggio dall’immigrazione per studio alla residenza per lavoro. Prevale però ancora, a livello amministrativo, l’idea che ogni nuovo ingresso porti con sé un indesiderato rischio migratorio.

Parole-chiave:
studenti internazionali; visto; rischio migratorio

Abstract

Italy formally adheres to the objective set at European level of encouraging entry for study purposes and facilitating the transition from study immigration to work residence. However, there still prevails, at the administrative level, the idea that every new entry brings with it an undesirable migratory risk.

Keywords:
international students; visa; migration risk

La “Direttiva studenti”, ovvero il cambio del paradigma

In Europa l’anno di svolta nell’immigrazione per motivi di studio è stato il 20161 1 Gli studenti stranieri sono stati oggetto di maggiore attenzione sino ai primi anni del secolo attuale, costituendo cronologicamente il primo flusso migratorio internazionale in Italia. Al riguardo cfr. Berhe, 2023, p. 25 ss.; Einaudi, 2007, p. 105 s. .

Seppur con ritardo, il legislatore europeo prendeva infatti atto dell’opportunità per l’economia dell’Unione Europea di competere nel mercato mondiale della formazione con gli attori tradizionalmente più forti. In primo luogo con gli Stati Uniti d’America. Oggi anche con il Regno Unito e il Canada. Sebbene la mobilità studentesca veda agire diversi altri competitor attuali e futuri a livello regionale2 2 In argomento, Khanna, 2021, p. 27 ss. .

La Direttiva 2016/801/Ue, in particolare, ha abolito la logica molto limitativa delle quote annuali di ingresso, passando dall’idea del “non accogliamone troppi” a quella del “più sono, meglio è”, anche in ragione della riduzione complessiva della popolazione studentesca autoctona, almeno in alcuni dei paesi membri.

Nelle pagine che seguono cercherò di offrire un quadro di sintesi della normativa italiana sull’ingresso, il soggiorno e l’integrazione degli studenti universitari stranieri, mostrando come, nel doppio passaggio dalla normativa europea a quella italiana, e soprattutto dal multi-livello normativo a quello amministrativo, gli orientamenti politici di fondo rischino di essere almeno in parte contraddetti dall’incapacità della burocrazia dell’immigrazione di mettere in otri nuovi il nuovo vino fornitole dal legislatore.

Il visto di ingresso tra nuove regole e vecchie prassi

In Italia le quote limitative degli ingressi di studenti universitari sono state abolite nel 2013, recependo in tal modo l’art. 6 della già citata “Direttiva studenti”3 3 Con il decreto legge 23.12.2013 n.145. Rimangono a tutt’oggi limitati gli ingressi solo relativamente ai corsi a numero chiuso o programmato. Sul punto ancora utile la ricognizione svolta da Consito, 2012, p. 30 ss. .

L’art. 39-bis del testo unico dell’immigrazione (d’ora in poi t.u.i.) consente l’ingresso per motivi di studio ai cittadini stranieri maggiori di età, che siano ammessi a frequentare “corsi di formazione superiore”. Un’espressione che - accanto a quella di “corsi superiori di studio”, di cui all’art. 44-bis, c. 2, del D.P.R. 394/1999 - fa riferimento, principalmente, ai corsi universitari4 4 L’art. 44-bis, comma 1, del D.P.R. 394/1999, invece, nell’identificare i soggetti legittimati all’ingresso in Italia per motivi di studio, fa testualmente riferimento a coloro che “intendono seguire corsi universitari”. .

Diversa (e ben più vigilata) è invece la disciplina dei flussi relativi alla formazione professionale (sino ad oggi entro la soglia di circa 1.500 ingressi l’anno) e all’istruzione secondaria.

L’avvio del procedimento di rilascio del visto per motivi di studio è preceduta da una procedura ‘portalizzata’ di iscrizione a un corso universitario5 5 Attualmente disciplinata dalla Circolare del Ministero dell’università e della ricerca, contenente “Procedure per l’ingresso, il soggiorno, l’immatricolazione degli studenti internazionali e il relativo riconoscimento dei titoli, per i corsi della formazione superiore in Italia, valida per l’anno accademico 2023-2024”. .

Detta procedura prevede che la domanda di accesso ai corsi di laurea e laurea magistrale degli studenti internazionali richiedenti visto avvenga in due fasi successive, una di preiscrizione e una di immatricolazione.

La preiscrizione è sottoposta al vaglio preventivo dell’università competente, che è preposta alla validazione delle candidature, sulla scorta della documentazione presentata dallo studente straniero. Le istituzioni universitarie sono tenute a valutare il titolo di studio secondario conseguito all’estero, nonché alla valutazione della competenza linguistica necessaria all’accesso ai corsi (italiano, oppure l’inglese per i corsi svolti in tale lingua).

La preiscrizione validata è condizione necessaria ma non sufficiente per il rilascio del visto per motivi di studio, a sua volta prodromico all’immatricolazione al corso universitario, che l’aspirante studente richiedere alla rappresentanza diplomatico-consolare italiana competente.

Il rilascio del visto è infatti subordinato alla dimostrazione, da parte del cittadino straniero, del possesso di documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché della disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e per il ritorno nel Paese di provenienza.

Per l’aspirante studente nemmeno fornire tali dimostrazioni garantisce però il rilascio del visto. La rappresentanza diplomatico-consolare, infatti, mantiene un ampio margine di valutazione riguardo, in particolare, alla sussistenza del cosiddetto “rischio migratorio”6 6 Nonché, ai sensi dell’art. 44-bis, c. 2, d.p.r. 394/1999, riguardo alla “coerenza dei corsi da seguire in Italia con la formazione acquisita nel Paese di provenienza” (requisito in realtà non previsto dalla legge). . Tale rischio è stato sin qui considerato sussistere ogni volta in cui si possa dubitare che lo studente straniero, concluso il corso di studi, non si trattenga irregolarmente sul territorio dello Stato ma faccia rientro nel Paese di origine. Per escludere dubbi al riguardo, viene quindi richiesta documentazione relativa alla condizione socio-economica del richiedente il visto, cui segue un colloquio presso il consolato.

Il concetto di “rischio di immigrazione illegale” è un concetto giuridico indeterminato, che rimette in capo all’amministrazione un’ampia discrezionalità in ordine alla decisione sull’ingresso del cittadino straniero7 7 Il giudice amministrativo, a riguardo, è intervenuto a precisare che le intenzioni del richiedente il visto devono essere valutate sulla scorta di “un attento esame della situazione socio-economica […], della condizione lavorativa, della regolarità delle entrate” e “del livello del reddito nel paese di origine”, ma è evidente come tale valutazione, in un certo senso, finisca per duplicare quella inerente ai requisiti sulle finalità dell’ingresso e sui mezzi di sussistenza necessari al soggiorno. Così Cons. St., Adunanza di sezione del 6 novembre 2018, parere n. 2530. .

Sino ad oggi tale rischio è stato ritenuto provato, in particolare, dalla manifestazione della volontà del richiedente di trattenersi sul territorio italiano dopo avervi concluso gli studi.

È questo il punto di rottura più evidente tra lo spirito e la lettera della legge da una parte e la controspinta burocratica dall’altra.

Basterebbe al riguardo osservare che la citata Direttiva UE 801/2016 prevede che “al fine di garantire in futuro una forza lavoro altamente qualificata, gli studenti che si laureano nell’Unione dovrebbero avere la possibilità di rimanere sul territorio dello Stato membro interessato […] con l’intenzione di individuare opportunità di lavoro o di avviare un’impresa”; e che per questa ragione nei paesi membri, inclusa l’Italia, è dunque oggi previsto il rilascio di un apposito permesso di soggiorno “per motivi di ricerca di lavoro o imprenditorialità” al momento della conclusione degli studi.

Quale politica per i visti di studio?

È chiaro che l’attività amministrativa riguardo al rilascio dei visti per studio non dovrebbe porsi in contraddizione con gli orientamenti di fondo del legislatore, ma dovrebbe invece dare loro la massima efficacia possibile. La valutazione riguardo al “rischio migratorio”, in particolare, dovrebbe trovare applicazione esclusivamente nei casi in cui risulti solo apparente il progetto di formazione, non avendone il richiedente i requisiti culturali e linguistici necessari, oppure nel caso in cui egli risulti irrimediabilmente privo delle risorse economiche per il suo mantenimento (non essendo titolare né di capacità economica propria né di sostegno da parte di terzi, inclusi lo Stato e le istituzioni culturali italiani).

L’Italia non dovrebbe temere che gli studenti internazionali, dopo avere studiato con buoni esiti, rimangano sul territorio nazionale; dovrebbe invece premunirsi dal rischio del fallimento delle carriere universitarie, che tale è quando lo studente non conclude gli studi, interrompendoli senza reperire un’occupazione utile nel mercato del lavoro interno. Viceversa, costituisce un esito desiderato dal legislatore l’inserimento lavorativo dello studente internazionale laureatosi in Italia, così come la sua stabilizzazione lavorativa durante gli studi, persino nel caso in cui a causa di questo, tali studi vengano interrotti.

Per queste ragioni di recente è stato chiesto al Governo di intervenire a favore degli aspiranti studenti, residenti all’estero, che abbiano in Italia familiari già regolarmente soggiornanti in Italia e perciò in grado di sostenere l’aspirante studente nel suo mantenimento e nel suo processo di inserimento. Perché non v’è dubbio che sia proprio tale inserimento il profilo più conveniente per qualsiasi paese che accolga studenti internazionali8 8 Vedi la conferenza stampa di Marco Impagliazzo (2023), presidente della Comunità di Sant’Egidio, del 5 settembre 2023, su https://www.santegidio.org/. .

Studenti che diventano lavoratori (o ricercatori)

Sino ad aprile del 2023 gli studenti stranieri non ancora diplomati o laureati potevano convertire il loro permesso di soggiorno per lavoro a condizione di rientrare nel ristretto numero previsto per tale tipo di conversione dall’annuale decreto-flussi, avente ad oggetto la definizione delle quote migratorie consentite.

Oggi tale limite quantitativo è stato abolito (anche se la domanda di conversione soffre della pesantezza burocratica di un procedimento lento e ostile) offrendo così agli studenti stranieri che abbiano reperito un lavoro sufficientemente stabile la possibilità di modificare il loro status di soggiorno. Il che costituisce, a seconda dei casi, una mezza oppure una doppia vittoria sia per lo studente che per l’Italia. Il primo, infatti, acquisisce stabilità e conferma il successo del suo percorso migratorio, pur non riuscendo a ultimare gli studi (mezza vittoria) ma una volta acquisito lo status di lavoratore nulla (a parte le fatiche quotidiane) gli impedisce di continuare a studiare usufruendo di una maggiore tranquillità economica (doppia vittoria). L’Italia, da parte sua, acquisisce oggi un giovane lavoratore utile a bilanciare l’inverno demografico, ma potrebbe trovarsi domani con un lavoratore altamente qualificato e con capacità di relazioni internazionali, almeno riguardo al suo Paese di origine.

Fuori delle quote annuali, già da tempo, era pure la convertibilità del permesso da studio a lavoro degli studenti internazionali nel momento della conclusione degli studi. Ma, come è noto, il mercato non premia istantaneamente la formazione acquisita, sottoponendo i neo-laureati o gli specializzati a ulteriori prove e attese spesso non rivestite di una forma contrattuale soddisfacente, premiando però l’attesa con la possibilità di percorsi più interessanti dell’immediato impiego.

Sta qui, in questa duplice piega negativa, la maggiore difficoltà dell’Italia nel fidelizzare i “cervelli migranti”, i quali, per un verso possono convertire il permesso di soggiorno da studio a lavoro solo finché il primo non sia scaduto (e scade in concomitanza con la conclusione degli studi); e per altro verso non trovano facilmente, nell’immediatezza del conseguimento del titolo di studio, l’impiego commisurato, per contenuto e per retribuzione, all’alta formazione ricevuta.

Non pare risolvere del tutto questa contraddizione la possibilità, prevista, in attuazione della citata Direttiva europea, dall’art.39-bis 1, t.u.i., il quale consente al laureato che non abbia disponibilità immediata di un impiego, di richiedere un permesso di soggiorno per ricerca lavoro. Possibilità che la norma riferisce espressamente a coloro che abbiano “conseguito in Italia il dottorato o il master universitario ovvero la laurea triennale o la laurea specialistica, o il diploma accademico di primo livello o di secondo livello o il diploma di tecnico superiore”9 9 Qualora la documentazione relativa al conseguimento di uno dei titoli di studio richiesti non sia ancora disponibile, questa potrà essere presentata entro sessanta giorni dalla richiesta del permesso di soggiorno. .

Al riguardo il principale limite della norma è quello di offrire troppo poco tempo al neo-diplomato straniero per passare dallo status di disoccupato disponibile ad assumere un impiego o ad avviare un’attività di impresa a quello di imprenditore o lavoratore.

Il permesso di soggiorno concessogli ha infatti la durata, non rinnovabile, di nove-dodici mesi. Molti meno, in realtà di quelli che in media servono in Italia a un laureato per reperire un impiego coerente con gli studi svolti (con l’eccezione di alcune lauree professionalizzanti particolarmente richieste).

Meglio disoccupati con prospettive di impiego che già occupati?

Ad una prima lettura (certamente ragionevole, ma inconsapevole degli ideologismi e conseguenti orpelli amministrativi che appesantiscono la disciplina del settore) la posizione del laureato che chiede il passaggio al permesso di soggiorno per ricerca lavoro è meno desiderabile della condizione del laureato che, disponendo già di un idoneo impiego, chieda il passaggio al permesso di soggiorno per lavoro.

Se ciò è vero riguardo ad una valutazione ex post che guardi al permesso di soggiorno ormai ottenuto, non lo è affatto ex ante, considerando gli oneri burocratici da affrontare per potere giungere al risultato desiderato. Oneri tali rendere decisamente preferibile la richiesta del permesso di soggiorno per ricerca lavoro in quanto caratterizzata - mancandone il necessario oggetto - dall’esenzione dalla stipula del contratto di soggiorno presso la Prefettura di cui all’art.5-bis, t.u.i.

L’onere della stipula del contratto di soggiorno infatti comporta oggi in Italia la sottoposizione del richiedente a un raddoppio delle procedure, i cui tempi sono ampiamente più dilatati di quelli previsti come meramente ordinatori dal legislatore e talvolta eternizzati a causa di disfunzioni locali, specie nelle prefetture metropolitane.

Ciò basterebbe a capovolgere l’ordine delle convenienze, considerando la propensione delle imprese a reperire con sollecitudine i propri dipendenti e dunque ad abbandonare al loro destino quelle figure professionali la cui sicura acquisizione dovrebbe rimanere sospesa per svariati mesi sino alla stipula del contratto di soggiorno.

La stipula del contratto di soggiorno comporta inoltre un secondo e non minore inconveniente in quanto essa richiede la produzione da parte del datore di lavoro o del lavoratore del certificato di idoneità alloggiativa riguardo all’abitazione utilizzata dal lavoratore. Onere di natura sostanziale prima ancora che documentale che in molti casi è arduo adempiere dato che l’irregolarità strutturale e contrattuale del mercato delle abitazioni in Italia è forse maggiore della pur ampia irregolarità del suo mercato del lavoro10 10 Alla conclusione dell’esonero dalla stipula del contratto di soggiorno si perviene sulla base dei due seguenti indici normativi: A) l’assenza di un richiamo a tale onere nell’art.39-bis 1, co.1, t.u.i. B) l’art.17, 9.2.2012, n.5, ove è disposto che “la comunicazione obbligatoria di cui all’articolo 9 bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, assolve, a tutti gli effetti di legge, anche agli obblighi di comunicazione della stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato concluso direttamente tra le parti per l’assunzione di lavoratore in possesso di permesso di soggiorno, in corso di validità, che abiliti allo svolgimento di attività di lavoro subordinato di cui all’articolo 5 bis” t.u.i. .

Le scarse prerogative del laureato titolare del permesso di soggiorno per ricerca lavoro

La convenienza della domanda del permesso di soggiorno per ricerca lavoro è però relativa solo ai gravosi ostacoli del percorso amministrativo caratterizzante la richiesta di conversione dallo studio al lavoro, mentre in termini assoluti occorre constatare che essa rimane comunque sottoposta a condizioni di ammissibilità non particolarmente generose, considerando il breve tempo a disposizione del richiedente, una volta ottenuto questo particolare permesso di soggiorno con funzione di passarella (non oltre i dodici mesi) per trasformarlo in soggiorno per lavoro invece di vederselo scadere senza più rimedio.

Ai sensi dell’art. 39-bis 1, t.u.i., per ottenere il permesso-passarella occorre infatti che il richiedente dimostri di disporre del medesimo requisito reddituale indicato per l’ammissione al ricongiungimento familiare dall’art.29, co.3, t.u.i.11 11 Nelle linee guida pubblicate da alcune questure vengono esemplificativamente indicati come possibili prove del requisito reddituale la titolarità di conti correnti postali o bancari, le borse di studio, i redditi da lavoro, i redditi di familiari che dichiarino di mantenere il richiedente con dichiarazione sostitutiva di notorietà circa il mantenimento. e sia beneficiario di un’adeguata copertura assicurativa sanitaria annuale12 12 Inclusa l’iscrizione volontaria al Servizio Sanitario Nazionale ai sensi dell’art.34, comma 3, d.lgs. n.286/98. .

Il richiedente prima di inviare la domanda di conversione dovrà dichiarare, ai sensi dell’art.39-bis 1, t.u.i., la propria “immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro presso i servizi per l’impiego, dovendo poi, nell’arco di tempo della validità del permesso di soggiorno per ricerca lavoro reperire un’occupazione, non necessariamente qualificata o coerente con la formazione ricevuta, oppure avviare un’impresa, in quest’ultimo caso necessariamente coerente con il percorso formativo completato. Solo adempiendo a questo impegno potrà successivamente richiedere l’ulteriore conversione nel permesso di soggiorno per lavoro dipendente o autonomo.

La limitazione dell’attività di impresa consentita, riguardante solamente quelle coerenti con il percorso formativo completato, potrebbe però suscitare dubbi riguardo alla legittimità euro-unionale della norma, dato che essa costituisce esercizio della clausola facoltativa di cui all’art.25, par.7 della Direttiva 2016/801/UE, ove in effetti si consente agli stati membri di pretendere che detta attività corrisponda almeno al medesimo livello dell’attività di studio o di ricerca svolta, ma non necessariamente al medesimo settore13 13 Il legislatore italiano si è qui avvalso solo parzialmente della clausola facoltativa contenuta all’art.25, par. 7, secondo periodo, della Direttiva 2016/801/UE, a termini del quale gli Stati membri possono, senza esserne quindi obbligati, “richiedere che l'occupazione che il cittadino di paese terzo sta cercando o l'impresa che sta avviando corrispondano al livello dell'attività di ricerca o degli studi completati”. .

Si impone quindi una interpretazione costituzionalmente orientata volta a intendere in senso molto lato il requisito di coerenza con il percorso di studi svolto.

L’alta formazione pontificia

Una particolarità italiana è certamente la densa presenza di studenti stranieri presso le università pontificie, sebbene ridottasi negli ultimi anni a causa della regionalizzazione, a livello planetario, degli studi per la formazione religiosa. Una parte di essi è titolare del permesso di soggiorno per motivi religiosi, il quale dà loro la possibilità di studiare; e che a tutt’oggi è convertibile in un permesso di soggiorno per lavoro mediante una richiesta da rivolgersi mediante l’apposito kit direttamente alla questura territorialmente competente14 14 Ai sensi dell’art.6, co.1-bis, lett.g) t.u.i. .

Quanto agli studenti titolari del permesso di soggiorno per motivi di studio, potrebbe in prima battuta osservarsi che pure nel loro caso, una volta rilasciato tale permesso di soggiorno sarebbe contraddittoria e perciò ingiustificata la loro esclusione dalla possibilità di conversione che l’art. 6, co. 1, t.u.i, riconosce indistintamente a tutti i titolari di questo tipo di autorizzazione al soggiorno anche prima del conseguimento di un titolo conclusivo degli studi15 15 Così TAR Lombardia, sez. III, 17 aprile 2023, n. 952. .

Un problema relativo all’ambito di applicazione delle norme di riferimento si pone invece riguardo all’art. 39-bis 1, t.u.i. e, assai più marginalmente, all’art.14, co.5, d.p.r. n.394/1999, riguardo a coloro che, avendo terminato gli studi, devono verificare se il titolo conseguito sia riconoscibile ai fini della loro applicazione. Al riguardo va senz’altro osservato come anche il diplomato presso un’istituzione dell’alta formazione pontificia possa accedere alla conversione del permesso di soggiorno da tali norme consentita, purché il titolo acquisito sia tra quelli che risultino riconoscibili dall’ordinamento giuridico italiano.

Occorre sul punto svolgere una pur breve ricognizione della normativa, caratterizzata da una stratificazione non sempre chiara alle stesse segreterie universitarie coinvolte.

All’origine dell’attuale disciplina di riconoscimento dei titoli pontifici v’è l’art.40 del Concordato del 1929 tra lo Stato e la Santa Sede16 16 Legge 27 maggio 1929, n.810. , a termini del quale “le lauree in sacra teologia date dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede saranno riconosciute dallo Stato italiano. Saranno parimenti riconosciuti i diplomi, che si conseguono nelle scuole di paleografia, archivistica e diplomatica documentaria erette presso la biblioteca e l’archivio nella Città del Vaticano”. Ma questo non era che l’inizio di una più complessiva accoglienza dei titoli pontifici nel sistema di alta formazione italiano.

Infatti con la revisione del Concordato del 1985 l’art.40 veniva sostanzialmente trasposto nell’art.10 della Legge 25 marzo 1985, n. 12117 17 Il cui testo infatti recita: 1. Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a dipendere unicamente dall'autorità ecclesiastica. 2. I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche, determinate d'accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato. Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteconomia. 3. Le nomine dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica , cui seguiva alcuni anni dopo uno scambio di note verbali tra i due Stati, cui piena esecuzione da parte dell’Italia mediante il D.P.R. 2 febbraio 1994, n.175, ove tra le discipline ecclesiastiche riconoscibili dall’ordinamento universitario italiano viene espressamente menzionato anche lo studio della “Sacra Scrittura”28 18 In particolare all’art.2 della citata nota verbale si dispone che “i titoli accademici di baccalaureato e di licenza nelle discipline di cui all'art. 1, conferiti dalle facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti, a richiesta degli interessati, rispettivamente come diploma universitario e come laurea con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, su conforme parere del Consiglio universitario nazionale. Il riconoscimento è disposto previo accertamento della parità della durata del corso di studi seguito a quella prevista dall'ordinamento universitario italiano per i titoli accademici di equivalente livello; si dovrà anche accertare che l'interessato abbia sostenuto un numero di esami pari a non meno di 13 annualità d'insegnamento per i titoli da riconoscere come diploma universitario, e pari a non meno di 20 annualità d'insegnamento per i titoli da riconoscere come laurea”. .

Infine, il 13 febbraio 2019 sopraggiungeva un ultimo accordo, con scambio di note verbali, menzionando tra i corsi relativi alle discipline ecclesiastiche riconoscibili ai sensi dell’art.10 della revisione concordataria anche il diritto canonico, la liturgia, la spiritualità, la missiologia e le scienze religiose.

Parallelamente, a fronte della partecipazione delle facoltà pontificie alla Convenzione di Lisbona e al processo di Bologna, è via via divenuto più agevole il riconoscimento degli altri gradi accademici della Santa Sede in altre discipline, anche in quanto facenti parte dello Spazio europeo dell’istruzione superiore, i quali, come ricorda ad oggi il Ministero dell’Università, “sono valutabili alla stregua di tutti gli altri titoli esteri, secondo le procedure vigenti, salvo specifici decreti ministeriali che prevedano il riconoscimento automatico di particolari titoli”19 19 https://www.mur.gov.it/it/aree-tematiche/universita/equipollenze-equivalenza-ed-equiparazioni-tra-titoli-di-studio/titoli-4, verificato al 30 giugno 2023. .

Lo studente che abbia conseguito un grado accademico pontificio diverso da quelli inclusi negli accordi connessi al Concordato potrà quindi, per il tramite della segreteria dell’istituzione ecclesiastica presso la quale ha finalizzato detto titolo di studio, certificarne il riconoscimento nell’ordinamento italiano oppure richiederlo con le modalità indicate da detta segreteria.

Conclusioni

Indubbiamente l’Italia, al pari di altri Paesi membri della Ue, mostra una particolare irresolutezza nelle politiche riguardanti gli studenti provenienti da paesi non europei.

Sebbene la bocca del legislatore dica che questo è un tipo di flusso migratorio da incoraggiare (pur vigilando sulla sua qualità) la penna dei regolamenti amministrativi e quella dei burocrati sembrano dire il contrario.

L’Italia, ad esempio, non sfrutta la risorsa delle catene familiari (a causa del rischio migratorio) per accogliere meglio e con minori spese gli studenti stranieri. E mentre questa risorsa rimane inutilizzata gli atenei lamentano di avere troppo scarse risorse per assicurare borse di studio agli studenti esteri.

L’Italia vorrebbe che i laureati stranieri si inserissero nel mercato interno del lavoro, ma non dà loro il tempo di valorizzare i titoli di studio acquisiti, incoraggiandoli a cercare fortuna in altri Paesi, magari avvalendosi della mobilità assicurata dalla disciplina europea sui lavoratori qualificati (carta blu).

L’Italia pretende (giustamente) che gli studenti stranieri superino gli esami con profitto, ma la sua burocrazia ostacola gli studenti stranieri che desiderino cambiare il corso di studi assecondandone le carriere.

Gli enti regionali per il diritto allo studio non discriminano formalmente gli studenti stranieri, ma negano loro la possibilità di dichiararsi legalmente residenti presso gli studentati universitari, impedendo loro di usufruire dei diritti che hanno tutti i residenti (mezzi di trasporto, scelta del medico di base, ecc.) diversamente dai loro colleghi italiani che sono già residenti presso le loro abitazioni familiari.

Per queste ragioni, forse, oggi l’Italia primeggia nell’attrarre studenti esteri solo nel particolare ambito della formazione accademica religiosa, forte non di se stessa ma della presenza a Roma della Santa Sede.

Non si tratta di contraddizioni inevitabili o di imperfezioni di sistema. La vera contraddizione è che l’Italia vuole gli studenti internazionali ma non li desidera, vorrebbe attrarli ma non vuole incoraggiarli. E crede poco nella capacità del suo sistema universitario di formare giovani qualificati e colti, utili alla società (italiana o/e a quella di ritorno).

Bibliografia

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  • Tribunale Amministrativo Regione Lombardia, sez. III, 17 aprile 2023, n. 952. 2023.
  • 1
    Gli studenti stranieri sono stati oggetto di maggiore attenzione sino ai primi anni del secolo attuale, costituendo cronologicamente il primo flusso migratorio internazionale in Italia. Al riguardo cfr. Berhe, 2023BERHE, Simona. Studenti internazionali nell’Italia repubblicana. Milano-Udine: Mimesis, 2023., p. 25 ss.; Einaudi, 2007EINAUDI, Luca. Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità a oggi. Bari: Laterza, 2007, p. 105 s.
  • 2
    In argomento, Khanna, 2021KHANNA, Parag. Il movimento del mondo. Roma: Fazi editore, 2021 (titolo originale, Move The Forces That Are Uprooting Us and Will Shape Humanity’s Destiny, 2021 by Hybrid Reality Pte. Ltd)., p. 27 ss.
  • 3
    Con il decreto legge 23.12.2013 n.145. Rimangono a tutt’oggi limitati gli ingressi solo relativamente ai corsi a numero chiuso o programmato. Sul punto ancora utile la ricognizione svolta da Consito, 2012CONSITO, Manuela. L’immigrazione intellettuale. Verso un mercato unico dei servizi professionali. Napoli: Jovene, 2012, p. 30 ss.
  • 4
    L’art. 44-bis, comma 1, del D.P.R. 394/1999, invece, nell’identificare i soggetti legittimati all’ingresso in Italia per motivi di studio, fa testualmente riferimento a coloro che “intendono seguire corsi universitari”.
  • 5
    Attualmente disciplinata dalla Circolare del Ministero dell’università e della ricerca, contenente “Procedure per l’ingresso, il soggiorno, l’immatricolazione degli studenti internazionali e il relativo riconoscimento dei titoli, per i corsi della formazione superiore in Italia, valida per l’anno accademico 2023-2024”.
  • 6
    Nonché, ai sensi dell’art. 44-bis, c. 2, d.p.r. 394/1999, riguardo alla “coerenza dei corsi da seguire in Italia con la formazione acquisita nel Paese di provenienza” (requisito in realtà non previsto dalla legge).
  • 7
    Il giudice amministrativo, a riguardo, è intervenuto a precisare che le intenzioni del richiedente il visto devono essere valutate sulla scorta di “un attento esame della situazione socio-economica […], della condizione lavorativa, della regolarità delle entrate” e “del livello del reddito nel paese di origine”, ma è evidente come tale valutazione, in un certo senso, finisca per duplicare quella inerente ai requisiti sulle finalità dell’ingresso e sui mezzi di sussistenza necessari al soggiorno. Così Cons. St., Adunanza di sezione del 6 novembre 2018Consiglio di Stato. Adunanza di sezione del 6 novembre 2018, parere n. 2530. 2018., parere n. 2530.
  • 8
    Vedi la conferenza stampa di Marco Impagliazzo (2023)IMPAGLIAZZO, Marco. Conferenza stampa, 5 settembre 2023. Disponibile su: <https://www.santegidio.org/>.
    https://www.santegidio.org/...
    , presidente della Comunità di Sant’Egidio, del 5 settembre 2023, su https://www.santegidio.org/.
  • 9
    Qualora la documentazione relativa al conseguimento di uno dei titoli di studio richiesti non sia ancora disponibile, questa potrà essere presentata entro sessanta giorni dalla richiesta del permesso di soggiorno.
  • 10
    Alla conclusione dell’esonero dalla stipula del contratto di soggiorno si perviene sulla base dei due seguenti indici normativi: A) l’assenza di un richiamo a tale onere nell’art.39-bis 1, co.1, t.u.i. B) l’art.17, 9.2.2012, n.5, ove è disposto che “la comunicazione obbligatoria di cui all’articolo 9 bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, assolve, a tutti gli effetti di legge, anche agli obblighi di comunicazione della stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato concluso direttamente tra le parti per l’assunzione di lavoratore in possesso di permesso di soggiorno, in corso di validità, che abiliti allo svolgimento di attività di lavoro subordinato di cui all’articolo 5 bis” t.u.i.
  • 11
    Nelle linee guida pubblicate da alcune questure vengono esemplificativamente indicati come possibili prove del requisito reddituale la titolarità di conti correnti postali o bancari, le borse di studio, i redditi da lavoro, i redditi di familiari che dichiarino di mantenere il richiedente con dichiarazione sostitutiva di notorietà circa il mantenimento.
  • 12
    Inclusa l’iscrizione volontaria al Servizio Sanitario Nazionale ai sensi dell’art.34, comma 3, d.lgs. n.286/98.
  • 13
    Il legislatore italiano si è qui avvalso solo parzialmente della clausola facoltativa contenuta all’art.25, par. 7, secondo periodo, della Direttiva 2016/801/UE, a termini del quale gli Stati membri possono, senza esserne quindi obbligati, “richiedere che l'occupazione che il cittadino di paese terzo sta cercando o l'impresa che sta avviando corrispondano al livello dell'attività di ricerca o degli studi completati”.
  • 14
    Ai sensi dell’art.6, co.1-bis, lett.g) t.u.i.
  • 15
    Così TAR LombardiaTribunale Amministrativo Regione Lombardia, sez. III, 17 aprile 2023, n. 952. 2023., sez. III, 17 aprile 2023, n. 952.
  • 16
    Legge 27 maggio 1929, n.810.
  • 17
    Il cui testo infatti recita: 1. Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a dipendere unicamente dall'autorità ecclesiastica. 2. I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche, determinate d'accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato. Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteconomia. 3. Le nomine dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica
  • 18
    In particolare all’art.2 della citata nota verbale si dispone che “i titoli accademici di baccalaureato e di licenza nelle discipline di cui all'art. 1, conferiti dalle facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti, a richiesta degli interessati, rispettivamente come diploma universitario e come laurea con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, su conforme parere del Consiglio universitario nazionale. Il riconoscimento è disposto previo accertamento della parità della durata del corso di studi seguito a quella prevista dall'ordinamento universitario italiano per i titoli accademici di equivalente livello; si dovrà anche accertare che l'interessato abbia sostenuto un numero di esami pari a non meno di 13 annualità d'insegnamento per i titoli da riconoscere come diploma universitario, e pari a non meno di 20 annualità d'insegnamento per i titoli da riconoscere come laurea”.
  • 19
    https://www.mur.gov.it/it/aree-tematiche/universita/equipollenze-equivalenza-ed-equiparazioni-tra-titoli-di-studio/titoli-4, verificato al 30 giugno 2023.

Editori del dossier

Roberto Marinucci, Barbara Marciano Marques

Publication Dates

  • Publication in this collection
    11 Dec 2023
  • Date of issue
    Sep-Dec 2023

History

  • Received
    20 Sept 2023
  • Accepted
    20 Oct 2023
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