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Che cosa ipotizza Socrate? Una proposta di lettura di Men. 97e2-98b5

What is Socrates’ hypothesis? A proposal for reading Men. 97e2-98b5

Abstracts

Resumo: Di recente alcuni studiosi hanno autorevolmente sostenuto l'idea che Men. 97e2-98b5 sia una forte critica a qualsiasi prospettiva epistemologica basata su un modello additivo della conoscenza, ossia su un modello in cui la conoscenza è concepita come una forma di opinione con l'aggiunta di qualcos'altro. In questo articolo provo a dimostrare che lo scopo di Platone non sta nel criticare questo modello di conoscenza ma di porre, sotto forma di ipotesi da verificare in altri testi, la questione principale della sua epistemologia: il logos, o meglio l'aitias logismos, è in grado di legare insieme le opinioni così saldamente da trasformarle in quel tipo di conoscenza infallibile che è l'episteme? Per giustificare questa interpretazione di Men. 97e2-98b5, intendo fornire una nuova lettura del rapporto che intercorre tra questo brano del dialogo e alcuni temi esposti nelle sezioni precedenti del testo quali l'esperimento maieutico a cui Socrate sottopone lo schiavo di Menone, la dottrina della reminiscenza e il metodo per ipotesi.

Parole chiave:
Platone; Menone; conoscenza; reminiscenza; aitias logismos


Abstract: Recently, some scholars have authoritatively stated the idea of Men.97e2-98b5 being a strong criticism of any epistemological perspective based on an additive model of knowledge, in which knowledge is conceived as a form of opinion with the addition of something else. In this article I’ll try to show that Plato's aim is not to criticize such model of knowledge but to pose, in the form of a hypothesis which has to be verified in other texts, the main problem of his epistemology: is the logos, or rather the aitias logismos, able to bind opinions so firmly together that they are transformed into that kind of infallible knowledge that is the episteme? In order to justify this interpretation of Men. 97e2-98b5, I’ll try to provide a new reading of the relationship between this passage of the dialogue and other themes exposed in the previous sections of the text (such as the maieutic experiment to which Socrates subjects Meno's slave, the Recollection doctrine and the method by hypothesis).

Keywords:
Plato; Meno; knowledge; recollection; aitias logismos


1. Introduzione

Nella parte conclusiva del Menone Socrate, sospendendo la sua proverbiale professione di ignoranza, afferma di sapere con certezza che l’episteme e l’alethes (o orthes) doxa sono due stati cognitivi diversi. Si tratta di una sezione del dialogo molto commentata perché contiene elementi importanti dell’epistemologia platonica.1 1 Per una attenta panoramica dello status quaestionis relativo a questa sezione del Menone cfr. Petrucci 2011, 247-257 e Ferrari, 2016, p. 80-86. Anzitutto giova riportare il passo 97e2-98b5 per intero.

SOCR. Possedere una statua di Dedalo che non è legata non ha grande valore, è come uno schiavo che scappa: non rimarrebbe ferma; legata invece vale molto: sono opere davvero belle. A che scopo dico questo? Riferendomi alle opinioni vere. Anche le opinioni vere, infatti, per tutto il tempo in cui rimangono, costituiscono un bel possesso e producono ogni bene: ma non sono solite star ferme a lungo, e se ne scappano dall’anima umana, così che non hanno grande valore, a meno che uno non le leghi con il ragionamento della causa (aitias logismos). E questo, caro Menone, è la reminiscenza, come abbiamo convenuto nei discorsi precedenti. Quando siano legate, diventano in primo luogo conoscenze, poi conoscenze stabili. È per questo motivo che la conoscenza vale di più dell’opinione corretta (timioteron orthes doxes), ed è per il legame che la conoscenza differisce dall’opinione corretta.

MEN. Per Zeus, Socrate, sembra proprio che differisca per una tale ragione.

SOCR. Eppure, anche io parlo non sapendo ma per ipotesi. Ma che opinione corretta e conoscenza siano qualcosa di diverso, questo non mi sembra di congetturarlo: se c’è qualcosa che posso dire di sapere - e sono poche le cose che direi di sapere - questa è proprio una di quelle che potrei annoverare tra le cose che so. (trad. Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., con alcune modifiche).

Attraverso l’analisi di questa sezione del testo vorrei mostrare che l’obiettivo di Platone è mettere sotto forma di ipotesi l’elemento centrale della sua teoria della conoscenza: l’effettiva capacità del logos di produrre quel sapere compiuto e infallibile che è l’episteme o la sophia.2 2 L’identità tra episteme e sophia è esplicitata da Socrate in Tht. 145e5-6 ma è un’identità che attraversa tutto il corpus platonico. Per ottemperare a questo compito parto da alcune delle recenti esegesi di questo passo che focalizzano adeguatamente il problema epistemologico in gioco.

2. Sul significato di Menone 97e2-98b5: alcune opzioni ermeneutiche

David Sedley ha notato che la circolarità che squalifica la terza definizione di conoscenza (alethes doxa accompagnata dal logos) proposta nel Teeteto ha un suo significativo antecedente nel suddetto passo del Menone. In Men. 98b1-5 Socrate afferma di sapere con certezza che conoscenza ed opinione vera sono due stati epistemici differenti (1); quando però si tratta di individuare il fattore in cui risiede questa differenza - ossia che la conoscenza fonda la sua superiorità sul possesso dell’aitias logismos - Socrate dichiara di aver parlato senza sapere (98b1: ouk eidos) ma per ipotesi (98b2: alla eikazon)3 3 Sulle ragioni per cui preferisco tradurre eikazein con ‘ipotizzare’ piuttosto che con ‘immaginare’ cfr. infra. (2).

Sedley osserva acutamente che queste due tesi insieme generano un corto circuito: se Socrate afferma che (1) è oggetto di conoscenza, allora, in virtù di (2), egli dovrebbe essere in grado di fornire un aitias logismos della differenza tra episteme e alethes doxa. Invece (2) è presentata da Socrate come una sua ragionevole opinione o ipotesi (98b2), pertanto la causa che rende certa la differenza tra episteme e alethes doxa è per Socrate un’opinione corretta e non una conoscenza. Da qui il circolo vizioso: la conoscenza della causa che rende certa, ossia conoscenza, la differenza tra episteme e alethes doxa non è una conoscenza ma un’opinione corretta!4 4 Sedley, 2004, p. 176-178.

Dimitri El Murr parte dalla circolarità evidenziata da Sedley per sostenere che proprio questo passo del Menone sarebbe una categorica smentita dell’approccio gnoseologico continuista proposto dalla terza definizione di episteme del Teeteto: l’argomento circolare del Menone così come l’ultimo argomento contro la terza definizione di episteme del Teeteto ha lo scopo di mostrare “qu’on ne peut rien ajouter à l’opinion vraie pour en faire une connaissance.” (El Murr, 2013EL MURR, D. (2013), Desmos et logos: de l’opinion vrai à la connaissance (Ménon 97E-98A et Théétète 201C-210B). In : EL MURR, D. (éd.), La mesure du savoir. Études sur le Théétète de Platon. Paris, Vrin, p. 151-171. , p. 168).

Per El Murr il problema risiede nel capire in che modo le opinioni vere possono diventare conoscenze senza che questa trasformazione sia l’effetto di una semplice aggiunta di qualcosa (logos) all’opinione vera. La soluzione a questo problema implica la reminiscenza perché in 98a4 Socrate esplicitamente collega l’aitias logismos alla dottrina dell’anamnesi. A giudizio di El Murr è la reminiscenza in quanto legame di syngeneia tra l’anima e le Idee che permette all’anima di ritrovare la propria conoscenza, ossia ciò che ha sempre saputo e che le appartiene per natura. Ne consegue allora che:

l’aitias logismos n’est donc pas,[…] un raisonnement logique qui aurait pour but de relier une opinion vraie à sa cause, mais bien un raisonnement de l’âme sur la cause qui ne peut être qu’intelligible pour être véritablement cause. (El Murr, 2013, p. 171).

Sembra quindi che per El Murr la conoscenza dell’anima consista nel recupero di quella visione diretta delle Idee che era propria della psyché nel mondo noetico.

Nella sua ricca introduzione al Menone anche Franco Ferrari ha sostenuto l’idea che l’episteme non possa essere una sorta di riassestamento delle opinioni vere ma richieda lo spostamento dell’indagine “verso una dimensione superiore nei confronti di quella al cui interno erano emerse le opinioni vere.” (Ferrari, 2007, p. 294). Questa dimensione è quella eidetica, il cui possesso consente la transazione dalla dimensione dell’hoti a quella del dioti che è poi il processo di stabilizzazione delle opinioni vere prodotto dall’aitias logismos. Ma per Ferrari, a differenza di El Murr, l’aitias logismos è esattamente un “raisonnement logique” e la conoscenza che esso genera non consiste nel recupero del contatto noetico tra l’anima e le Idee. Così scrive al riguardo:

il sintagma aitias logismos allude indiscutibilmente ad un sapere di tipo procedurale e discorsivo, in grado di stabilire connessioni tra proposizioni e di giustificare il contenuto di verità di un asserto per mezzo del rinvio a un altro logos, più generale e meglio fondato, perché corrispondente al ti esti dell’eidos. (Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 83).

Nel Menone la procedura di questo salto è accennata attraverso un celebre esempio. Socrate chiama uno schiavo di Menone che parla il greco ma che non ha mai studiato geometria e gli pone il seguente problema: nota la lunghezza del lato di un quadrato (2 piedi), occorre trovare la lunghezza del lato di un quadrato che ha la superficie doppia rispetto a quella del quadrato dato.

Dopo aver proposto due risposte elaborate per via intuitiva che però si rivelano sbagliate, lo schiavo, lasciandosi condurre dalle domande, si rende conto che è la diagonale del quadrato noto di partenza il lato su cui costruire un quadrato di area doppia rispetto alla figura data; passa così dal possesso di un’opinione falsa a quello di un’opinione vera, acquisendo un sapere doxastico. Nell’esempio geometrico ciò che manca è il momento dell’acquisizione dell’aitias logismos che trasforma il sapere dello schiavo da doxastico a epistemico. Forse la procedura anamnestica non si è conclusa perché Socrate ha già mostrato a Menone che la reminiscenza è in grado di risolvere il problema dell’impossibilità di cercare ciò che non si conosce, tuttavia lo stesso Socrate sembrerebbe prefigurare la possibilità che, se la procedura fosse portata a termine, essa condurrebbe lo schiavo ad una conoscenza analoga a quella del matematico.5 5 “Ora queste opinioni, come in un sogno, sono state messe in movimento da lui: ma se uno lo interrogherà a più riprese e in più modi su queste cose, puoi star sicuro che alla fine ne avrà una conoscenza precisa non inferiore a nessun altro”. (85c10-d1). Sull’interpretazione di queste righe cfr. infra, p. 13-14. Come Ferrari riconosce però, nel Menone, lo stadio finale che “incorpora il ‘salto epistemico’ dall’opinione alla conoscenza, viene solo annunciato da Socrate e rinviato al futuro” (Ferrari, 2013FERRARI, F. (2013) L’interpretazione del Teeteto e la natura dell’epistemologia platonica. Alcune osservazioni. Elenchos 34, 399-422., p. 416) e, verosimilmente, ad altre opere platoniche. Riassumendo: a) l’indagine dialettica permette di tracciare i legami tra le proprietà del quadrato; b) questa mappa dei rapporti tra le proprietà in un corso piuttosto lungo di tempo diventerà così esaustiva da garantire il possesso del logos tes ousias del quadrato in sé; c) un tale possesso consentirà a sua volta il passaggio dall’hoti al dioti, ossia quella «transizione epistemica» che garantisce la stabilizzazione definitiva delle opinioni corrette.

3. Una proposta alternativa

Vorrei proporre un’ipotesi diversa da quella che vede nel passo di Men. 97e2-98b5 una forte critica ad “ogni prospettiva epistemologica basata su un modello di tipo addizionale, nel quale la conoscenza viene concepita come una forma di opinione con l’aggiunta di qualcosa”. (Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 84).6 6 Così El Murr, 2013, p.152: “J’espère monter […] que la fin du Théétète comme le passage du Ménon sur les statues de Dédale aboutissent au même résultat : on ne peut définir la connaissance à partir de l’opinion, fut-elle vraie”. Mediante questa proposta ermeneutica alternativa è possibile dimostrare che nel Menone è presente una tensione tra due differenti nozioni di episteme che sono proprio quelle sottolineate rispettivamente da El Murr e Ferrari. Da una parte, come colto dallo studioso francese, nel Menone è possibile reperire una nozione di conoscenza in quanto recupero da parte dell’anima di quel contatto diretto con le Idee che essa aveva prima di incarnarsi; d’altra parte però, come ha correttamente osservato Ferrari, è impossibile non vedere che nel Menone emerge una concezione di conoscenza nei termini di un sapere di carattere informativo capace di cogliere i nessi causali che legano i contenuti delle opinioni all’ousia che costituisce il fondamento di quei contenuti. Nell’interpretazione di Men. 97e2-98b5 che propongo è incluso un tentativo di conciliazione tra queste due nozioni di episteme; occorre tuttavia tenere presente che la tensione tra queste due nozioni di episteme è, come ha mostrato Trabattoni, una delle cifre peculiari dell’epistemologia di Platone e che quindi si tratta di una tensione che potrebbe non trovare una definitiva risoluzione.7 7 Trabattoni ha messo in luce in numerosi lavori - qui per brevità cfr. Trabattoni, 2020, p. 143-174, 253-272, (con relativa bibliografia) - come la tensione tra queste due nozioni di conoscenza sia un tratto caratteristico della filosofia di Platone e presente in tanti dei suoi dialoghi più importanti dal Fedone alla Repubblica, dal Teeteto al Fedro. Qui vorrei mostrare che questa tensione è già presente e operante nel Menone.

È il momento di tornare al testo. In 97e2-98a8 Socrate sostiene che: a) per tutto il tempo in cui rimangono nell’anima le opinioni vere sono efficaci tanto quanto le conoscenze; b) la superiorità dell’episteme sulla orthes doxa risiede nel grado di stabilità che la conoscenza, diversamente dall’opinione vera, possiede a pieno titolo; c) il legame che garantisce alle opinioni vere quella stabilità che le fa diventare conoscenze è l’aitias logismos; d) l’aitias logismos è ricondotto alla reminiscenza.

Subito dopo, però, Socrate fa un’affermazione che suona tanto cautelativa nella prima parte quanto assertoria nella seconda:

Eppure, anche io parlo non sapendo ma per ipotesi (98b2: alla eikazon): ma che opinione corretta e conoscenza siano qualcosa di diverso, questo non mi sembra di ipotizzarlo: se c’è qualcosa che posso dire di sapere - e sono poche le cose che direi di sapere - questa è proprio una di quelle che potrei annoverare tra le cose che so.

Per evitare di cadere nel circolo vizioso individuato da Sedley, si può tradurre alla eikazon di 98b2 con ‘immaginare’ poiché il verbo eikazein può avere tanto questo significato quanto quello di ‘congetturare/ipotizzare’.8 8 Non sorprende perciò che alcuni studiosi traducano con ‘immaginare’ ad esempio, Klein, 1965, p. 249, Bonazzi, 2010, p. 127, Petrucci, 2011, p. 258-259, Ferrari, 2016, p. 289 ed altri invece con ‘congetturare’ ad esempio Sedley, 2004, p. 176 Casertano, 2007, p. 45, Benson, 2015, p. 176. È ovviamente legittimo tradurre eikazein nella prima accezione: spesso infatti Platone lo utilizza con questo significato (come in Resp. 487a-488a) e con tale valore il verbo si trova anche nel Menone quando Socrate afferma che non ricambierà Menone con un’altra immagine (anteikazein in 80c3 e 80c6) dopo che costui lo ha paragonato alla torpedine marina. Alcuni studiosi inoltre hanno optato per tradurre con “parlare per immagini” perché così sarebbe garantita una continuità di 98b1-3 con i passi precedenti in cui Socrate ha usato immagini quali la via per Larissa e le statue di Dedalo per chiarire alcuni snodi concettuali impegnativi.9 9 Cfr. ad esempio Petrucci, 2011, p. 257-259 il quale ritiene che la traduzione di eikazein con ‘immaginare’ sia resa appropriata dal riferimento all’immagine delle statue di Dedalo. Tale proposta infine elimina il circolo vizioso di 98b1-3: assegnando a eikazein il senso di ‘immaginare’ ne risulta che Socrate sappia bene non solo che episteme e alethes doxa sono due stati gnoseologici ben differenti ma che con altrettanto sicurezza conosca anche qual è il tratto che distingue i due grandi epistemici. È importante eliminare questa possibile circolarità dell’affermazione socratica perché così non è messa in dubbio l’efficacia del fattore (l’aitias logismos) che garantisce la transizione da uno stato epistemico all’altro permettendo al filosofo di giungere al possesso della sapienza.

Se si propende per attribuire a eikazein il valore di “ipotizzare”, si ripiomba nel circolo vizioso di 98b1-3. Mi pare però che sia possibile individuare due motivi che rendono valida la traduzione di eikazein con ‘ipotizzare’ perché ritengo che questa traduzione del verbo e l’apparente circolo vizioso che essa consente siano funzionali al messaggio che Platone vuole offrire in questa sezione.

In primo luogo alle righe 89e1-3 quando Socrate chiede a Menone “E all’opposto, qualcosa di cui non ci sono maestri e allievi, non sarebbe ragionevole ipotizzare che non sia insegnabile?”, eikazein sembra avere proprio l’accezione di ragionevole congettura, di un’ipotesi che consegue a partire da un acclarato dato di fatto: un’ipotesi la cui validità è ancora da verificare.10 10 Ferrari, 2016, p. 249, traduce questo passo utilizzando proprio il verbo ‘congetturare’: «E all’opposto: di qualcosa di cui non ci sono né maestri né allievi, non si congettura bene se si congettura che non è insegnabile?». Benson ha mostrato che in questo passo del Menone è in atto quello stadio del metodo ipotetico che egli chiama ‘confirmation stage’ ossia quella fase del metodo in cui l’ipotesi inizialmente individuata come risolutiva deve essere giustificata verificando la compatibilità o meno di tutte le conseguenze che da esse derivano.11 11 Benson, 2015, p. 166-175. L’ipotesi risolutiva del ragionamento socratico è che la virtù è conoscenza (k), perché solo ciò che è conoscenza, è qualcosa di insegnabile. Ma l’affermazione che x è insegnabile ha come conseguenza che di x ci debbano essere maestri e allievi di virtù (q). Se della virtù ci sono maestri e allievi (q), allora la virtù è insegnabile (p), e, quindi, ne deriva anche la verità di (k). Socrate mette in atto qui un ragionamento nella forma del modus tollendo tollens: p→q, ¬ q→¬p . Una volta constatato infatti che in Atene non ci sono maestri di virtù, si ha ¬ 𝑞 e quindi ¬𝑝.12 12 Riguardo la ‘tenuta logica’ dell’argomentazione proposta da Platone cfr. le ponderate osservazioni di Benson, 2015, p. 170-172, Bonazzi, 2010, p. XXIX, e Ferrari, 2016, p. 74-75. Mi interessa qui solo evidenziare che si tratta di un contesto in cui sono in gioco leggi e operazioni logiche e che quindi la traduzione di eikazontes e eikazoimen con ‘inferire’ o ‘congetturare’ è del tutto adeguata. Da ciò Socrate ne ricava che la virtù non è conoscenza. Da quanto detto mi pare pertanto verosimile assegnare ai termini eikazontes e eikazoimen il valore di ‘ipotizzare o congetturare’ piuttosto che quello di ‘immaginare’.

Ora, poiché nel Menone sono esplicitamente utilizzati entrambi i significati di eikazein, può essere solo un’attenta analisi del contesto a far propendere per un significato piuttosto che per un altro.

Ecco perché il secondo motivo per tradurre eikazein con ‘ipotizzare’ riguarda il senso del contesto in cui il verbo è inserito. È stato sostenuto che il riferimento all’immagine delle statue di Dedalo, fatto da Socrate solo poche righe prima dell’eikazon di 98b1, ne renda quasi inevitabile la traduzione con ‘immaginando’ o ‘per immagini’.13 13 Cfr. supra, n. 8. A questo riguardo però occorre segnalare che Socrate ha introdotto l’immagine delle statue di Dedalo solo per chiarire che la stabilità è ciò che differenzia lo stato epistemico della scienza dalla retta opinione. Socrate infatti si serve di quell’immagine per aiutare Menone a superare lo stato di meraviglia in cui si trova dopo che l’esempio della ‘strada per Larissa’ ha avvicinato enormemente, almeno dal punto di vista dell’efficacia dell’agire, opinione retta e conoscenza. Perché il suo interlocutore non perda la consapevolezza della distanza assiologica tra i due stati epistemici, Socrate propone l’immagine delle statue di Dedalo. Così come avere una statua di Dedalo che scappa via non è un bene definitivamente acquisito mentre lo è possederla in modo permanente, allo stesso modo l’opinione non è un bene stabile perché è qualcosa di precario, mentre la scienza è un sapere definitivamente acquisito. Ma qui l’immagine ha esaurito il suo compito perché ha esplicitato sia che cosa distingue i due stati gnoseologici (la stabilità) sia che all’interno della distinzione è compresa anche la ragione di tale di differenza, ossia il legame (desmos) che garantisce la stabilità. Quindi tra le poche cose che Socrate annovera tra le sue conoscenze vi è proprio questa: non solo che opinione retta e scienza sono nettamente distinti ma che sono tali per il diverso legame strutturale che collega l’anima, ai contenuti delle opinioni vere da una parte, e ai contenuti della scienza dall’altra.14 14 Scott, 2006, p. 180-181, giudica inizialmente sorprendente l’enfasi posta da Socrate sulla stabilità come cifra peculiare della conoscenza dal momento che la stabilità di un’opinione potrebbe essere garantita da fattori non-epistemici: alcune persone potrebbero aggrapparsi ostinatamente alle proprie opinioni per fede, educazione, abitudine, o per la loro disposizione caratteriale. Poiché la stabilità da sola non può essere il tratto essenziale della conoscenza, Scott suggerisce che sia da considerare conoscenza solo la vera credenza stabilizzata dal ragionamento esplicativo che diventa così fattore necessario per la conoscenza. Sulla relazione fra stabilità e logismos cfr. infra, p. 12-14 e n. 34 e n. 46.

Ma se le cose stanno in questo modo, è preferibile di nuovo tradurre l’eikazon di 98b1 con la locuzione “per ipotesi” o “per congettura”. Socrate infatti parla senza sapere e per ipotesi non tanto riguardo a ciò che è esplicitato dall’immagine delle statue di Dedalo, cioè che è il legame di stabilità ciò che differenzia i due processi cognitivi, quanto piuttosto riguardo a quale possa essere l’elemento generatore del legame che garantisce la stabilità della conoscenza rispetto all’opinione vera. Com’è noto esso viene preliminarmente identificato nell’aitias logismos. Ciò che rimane ancora a livello di ipotesi allora è la tesi che l’aitias logismos sia effettivamente il desmos in grado di far compiere quel salto strutturale che porta dalla instabilità delle opinioni alla stabilità delle conoscenze. La traduzione di eikazon con ‘immaginare’ non mi pare la soluzione più adatta perché l’immagine delle statue di Dedalo rientra già nel novero delle poche conoscenze di Socrate, il quale non ha dubbi sul fatto che “la conoscenza è cosa di maggior valore della retta opinione e [che] da essa differisce in virtù del legame” (98a8-9). Lo stesso Menone in 98a9-10 accetta che il desmos sia la ragione della differenza tra i due stati. Ciò che alla riga seguente (98b1) è rimasto oggetto di ipotesi è che il legame che produce stabilità si ottenga per mezzo dell’aitias logismos e che questo ragionamento causale sia strettamente collegato alla reminiscenza.15 15 Una tesi simile è sostenuta da Casertano, 2007, p. 46-47 che giustamente evidenzia il fatto che Socrate contrappone ad una certezza - che episteme e alethes doxa sono due stati differenti - un’incertezza o una congettura. Lo studioso ritiene che la congettura riguardi la reale natura dell’episteme e conclude che Socrate «può sapere la caratteristica formale del sapere certo, […] ma non conosce quale sia questo sistema». Sulla possibilità che invece Platone conosca, almeno in parte, i contenuti del sistema cfr. infra pp. 14-18 e n. 45. Perché Socrate si limita ad ipotizzare che l’aitias logismos sia quel fattore che consente di produrre quel legame tra i contenuti noetici in grado di fornire la stabilità epistemica propria della scienza?

Per rispondere bisogna concentrare l’attenzione sul significato da attribuire ad aitias logismos; ma, poiché in 98a4-5 Socrate esplicitamente lega l’aitias logismos alla reminiscenza, è prima necessario tornare alla sezione in cui Socrate introduce la reminiscenza.

4. La reminiscenza

Com’è noto la dottrina dell’anamnesis è introdotta da Socrate per uscire da una sorta di circolo vizioso in cui si è incagliata la discussione tra lui e Menone. Il fatto che solo a partire dalla definizione di F è possibile individuare quali singole cose sono f apre un circolo vizioso (chiamato anche il paradosso eristico di Menone): se io non possiedo la definizione di F perché non posso ricavarla a partire dai singoli f dal momento che riesco a individuarli solo possedendo la definizione di F, allora non c’è modo di avviare un’indagine né su che cosa sia F né su quali siano i suoi predicati. Per uscire dall’impasse bisogna ammettere che qualcuno, per quanto non conosca perfettamente F al punto da possederne la definizione, possa comunque averne una qualche conoscenza parziale ed embrionale, anche solo la conoscenza di un suo attributo. Ad esempio: sebbene io non conosca l’essenza della virtù so che la virtù è qualcosa di buono e di non compatibile con l’ingiustizia.

Per rendere plausibile questa situazione ambigua in cui gli uomini sembrano sapere qualcosa sull’oggetto cercato ma non ne possiedono una definizione precisa, Platone espone per la prima volta la dottrina della reminiscenza (81b3-e3).

Dunque dato che l'anima è immortale ed è rinata più volte, e dato che ha già visto tutte le cose (panta chremata), quelle di qui e quelle nell'Ade, non c'è nulla che non abbia appreso [i]. Di conseguenza non c'è da meravigliarsi che anche a proposito della virtù e di altre cose sia capace di ricordarsi di quello che appunto conosceva già prima. Infatti [ii] poiché l’anima è congenere alla natura nel suo insieme e ha appreso tutte le cose, nulla impedisce che [iii] ricordandosi di una cosa soltanto (ricordo che tutti gli uomini chiamano apprendimento) riscopra tutte le altre, qualora ci sia qualcuno coraggioso e che non si stanchi di cercare.16 16 Ho seguito la lettura del testo greco proposta da Brisson, 2007, p. 201-202 che , al passo 81c9-d1, attribuisce all’anima il ruolo di soggetto sintattico e logico dell’intera proposizione. La costruzione più seguita, che riporto nella traduzione di Ferrari, prevede invece anima e natura siano due soggetti distinti: «dal momento che tutta quanta la natura è affine e che l’anima ha appreso tutte quante le cose, […]». Sull’ammissibilità, tanto sul piano della sintassi del testo greco quanto sul piano della consistenza del senso filosofico, della costruzione di Brisson cfr. le valide osservazioni di Ferrari, 2016, p. 202-203 n. 116. Preferisco la soluzione di Brisson perché sottolinea maggiormente la syngeneia tra l’anima e la natura (più precisamente tra l’anima e la struttura intellegibile che ordina il mondo naturale): questa syngeneia è infatti ripresa, soprattutto in riferimento alla parentela tra anima e idee, in altri dialoghi quali Phd. (79c2-d6; 79e3-4), Rep. (485c6-8; 487a2-5;490a8-b7; 611e1-5), Phdr. (248b-c) e Tim. (90a). L’accento sulla iniziale syngeneia tra l’anima e la natura giustifica il valore fondativo che la reminiscenza assume nel Menone: l’uomo è capace di conoscere perché nel processo gnoseologico egli non parte mai da uno stato di ignoranza assoluta poiché l’anima, fin da principio, è affine alla natura perché ne ha contemplato la struttura intellegibile che le conferisce ordine. Al riguardo cfr. infra, pp. 9-11. Perché cercare e apprendere sono nel loro complesso reminiscenza (trad. Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., con modifiche).

La dottrina contiene un presupposto metafisico notevole presentato come una prima verità assoluta: l’immortalità dell’anima.17 17 Così Brisson, 2007, p. 200. Per una lettura del significato metafisico e fondazionale inscritto nella reminiscenza cfr. Trabattoni, 2020b, p. 134-143. Ferrari, 2020a, p. 11-12 propende invece per una lettura che ‘de-mitizza’ e ‘de-metafisica’ la dottrina della reminiscenza. Da questa tesi, Socrate desume due assunti altrettanto impegnativi. Il primo [i] riguarda la condizione di perfetta conoscenza in cui si trova l’anima disincarnata: dal momento che non c’è nulla che l’anima non abbia appreso perché l’anima ha visto tutte le cose sia quelle del mondo sensibile sia quelle del regno intellegibile, non c’è da meravigliarsi del fatto che essa sia in grado di fare indagini sulla virtù come su ogni altra cosa perché ricercare significa richiamare alla memoria ciò che si è precedentemente conosciuto. Il secondo assunto consiste nella syngeneia, ossia nella affinità ontologica tra l’anima e la natura nella sua totalità, che viene ribadita anche al termine dell’esperimento maieutico sullo schiavo quando Socrate afferma che «la verità degli enti è per noi sempre nella nostra anima» (86b1-2). Questa syngeneia è una forma di parentela ontologica per la quale alle strutture costitutive della realtà corrisponde nell’anima una versione “analoga” delle medesime strutture: ciò implica che l’anima sia determinata dalla contemplazione delle realtà eidetiche nel cosmo noetico [ii].18 18 Ferrari, 2020b, p. 132-133, ritiene che la parte mitologica e religiosa della reminiscenza serva a Platone come escamotage per neutralizzare la parte eversiva dell’argomento eristico; quando invece introduce la syngeneia al passo 81d Platone trasferisce l’anamnesi dal contesto mitico della visione a quello filosofico della affinità dell’anima con la sfera divina e trascendente. E questo “significa che l’evento della visione va trasferito e ricodificato in chiave filosofica, dove esso si trasforma nella disposizione dell’anima alla conoscenza”. La trasposizione del significato della reminiscenza dallo spazio mitico dell’evento alla sfera filosofica della condizione modifica la nozione di immortalità che non riguarda più la sfera temporale di ogni anima ma la sua capacità di immortalizzarsi per mezzo della valorizzazione della componente razionale, la quale può vantare una syngeneia con la sfera intelligibile della realtà. Per Ferrari, 2020a, p. 11 “il passaggio del nesso di priorità dal piano temporale (l’evento della visione) all’ordine logico (la condizione ontologica dell’anima)” altro non è che “un dislocamento che converte il prius temporale in un prius logico, collegando in questo modo l’anamnesis all’ambito delle potenzialità cognitive dell’anima, ossia delle condizioni che determinano l’acquisizione della conoscenza dell’essere”. Di spirito analogo le considerazioni al riguardo di Lee, 2000, p. 97-98. Quest’affinità sostanziale tra anima e natura porta con sé una significativa conseguenza gnoseologica [iii]: dato il parallelismo della sua struttura con quella della physis, l’anima può, a partire da quella sola cosa che abbia ricordato, recuperare il telaio di relazioni che connette quella cosa a tutte le altre.

Dagli assunti [i], [ii] e [iii] si evincono due fattori. (1) Poiché l’anima possiede una pre-conoscenza di panta chremata, è impossibile che tra esse non vadano annoverati i contenuti eidetici universali, ossia le idee, sia di tipo morale sia di tipo logico e ontologico: se l’anima ha appreso ogni cosa non soltanto nelle vite precedenti ma anche nella sua dimensione più pura e non legata al corpo, come può in quello stato non aver contemplato le Idee?19 19 Contro la possibilità di trovare nella sezione della reminiscenza un rinvio chiaro alle Idee cfr. Vlastos, 1965, p. 147-155 e Ebert, 2007, p. 184-198. Bonazzi, 2010, p.55 n.50 non lo esclude ma esprime alcune cautele. Brisson, 2007, p. 200-201 individua un doppio livello di lettura del passo per cui, ad un livello più profondo, il termine Hades implica le cose invisibili (aides), le realtà in sé che nel Fedone (79b7 e 80d5-7) l’anima contempla perché fatte di una natura a lei molto simile. Anche Ionescu, 2007, p. 59, Szlezák, 2007, p. 341-42 e Ferrari, 2016, p. 200-201 n. 115 - alla cui equilibrata discussione rimando - trovano del tutto pertinente il rinvio alle Idee. Maffi, 2020, p. 14-21 mostra che fin dall’Eutifrone i termini eidos, idea e paradeigma indicano le Idee e che ciò valga allo stesso modo per il Menone. Emblematico in questo senso è il passo 72 c6-8, in cui il termine eidos è accompagnato dalla locuzione di’ho che indica il ruolo causale dell’eidos, cfr. in proposito Sedley, 1998, p. 115, 132, Brancacci, 2002, p. 67-70 Fronterotta, 2007, p. 49-54, e Petrucci, 2011, p. 251-252. In conclusione è molto improbabile che non vi siano le Idee tra i panta chremata che l’anima ha visto prima della nascita. E inoltre proprio perché l’anima ha visto nell’iperuranio le Idee la sua ousia è affine e congenere a tutta quanta la natura, ivi compresi soprattutto i principi eidetici che fanno esistere la physis nella sua totalità.20 20 Con l’espressione τῆς φύσεως ἁπάσης Platone potrebbe suggerire che, già nel Menone, una funzione di collegamento tra sensibile ed intellegibile è svolta da ogni anima e che per questo essa è congenere alla natura nella totalità delle sue dimensioni. Mentre nel Menone tutto ciò sia solo accennato nel Timeo Platone si farà carico di spiegare le ragioni dell’affinità dell’anima alla natura nella sua totalità. In quest’opera infatti il Demiurgo compone l’anima mundi mescolando caratteri intellegibili e caratteri sensibili in modo da farne una cinghia di collegamento tra cosmo noetico e cosmo sensibile (cfr. Tim.34a-36b) ma in Tim.41a-b è anche detto che le anime individuali sono prodotte allo stesso modo e con la stessa materia, anche se meno pura, dell’anima mundi. Ciò giustifica il fatto che anche le anime umane possiedano questa affinità con la struttura intellegibile della natura. Cfr. Kahn, 2006, p. 132 e Szlezák, 2007, p. 339-343. (2) La syngeneia tra i contenuti dell’anima e la struttura eidetica della natura nel suo insieme non solo implica che l’anima abbia una disposizione conoscitiva dinamica che le consente di collegare i ricordi fino ad intravvedere il contenuto adeguato di ciò che vuole apprendere ma rende anche necessario che i collegamenti operati dall’anima non siano meramente arbitrari, privi di logica o di ordine razionale altrimenti verrebbe meno la syngeneia tra la struttura della physis e quella della psyche.21 21 Cfr. Kahn 2006, p. 131 e Trabattoni, 2016, p. 60-63.

Quanto esposto a livello generale trova una applicazione concreta nell’esempio dello schiavo di Menone che risolve un problema di geometria. L’anima disincarnata dello schiavo ha conosciuto nell’iperuranio l’idea del quadrato in sé e l’ha conosciuta in modo perfetto apprendendone anche il procedimento per duplicarne l’area. Il trauma della nascita nel corpo ha fatto dimenticare allo schiavo questa conoscenza, al punto che costui sbaglia a rispondere alle prime domande di Socrate. Ma queste domande hanno innescato nella mente dello schiavo un processo di recupero dei ricordi latenti (Men. 82e), tanto che lo schiavo alla fine dell’interrogazione trova la risposta corretta.22 22 Ferrari, 2020a, p. 13-14 nota correttamente che lo schiavo dell’esperimento maieutico possiede solo “una generica ‘apertura’ sul dominio ontico oggetto dell’interrogazione socratica, ma soprattutto egli conosce e sa servirsi di alcuni operatori logici fondamentali”. Ciò, secondo Ferrari, suggerisce che la procedura anamnestica non abbia “a che fare con il richiamo di una conoscenza acquisita nel corso di un evento collocato nel passato dell’anima, ma mette in scena il processo di valorizzazione delle potenzialità cognitive della mente dello schiavo […].”. Il fatto che lo schiavo possieda e riattivi gli operatori logici che consentono di muoversi da un passaggio dimostrativo all’altro non elimina però la possibilità che l’anima abbia contemplato anche contenuti noetici di tipo morale: in Phd. 75d infatti Socrate afferma che la contemplazione delle realtà in sé da parte dell’anima prima di incarnarsi non riguarda solo l’uguale in sé, il maggiore o il minore (per citare alcuni degli operatori logici) ma vale anche per il bello in sé, il giusto in sé, il bene in sé e per le altre realtà in sé. A buon diritto Ferrari mette in luce che la reminiscenza costituisce la condizione che permette la valorizzazione delle potenzialità cognitive della mente dello schiavo ma ciò non esclude il fatto che la reminiscenza sia la condizione che spiega anche la presenza nell’anima , in forma latente ed embrionale, di contenuti noetici morali, logici, matematici e ontologici. Così la reminiscenza giustifica le condizioni che permettono agli uomini di fare discorsi sensati su qualcosa senza possederne quella conoscenza completa che si esprime nella definizione perché non è vero che l’anima dell’uomo è vuota e non conosce nulla. L’anima infatti conserva le tracce e i residui di un sapere pregresso che ha come contenuto le strutture eidetiche che causano il mondo naturale e conosce quindi quanto basta perché l’indagine dialettica possa così essere avviata. Nel Menone, oltre all’esempio dello schiavo, c’è un altro caso che esemplifica l’idea che nella ricerca di qualcosa non si parte mai da uno stato di ignoranza assoluta: si tratta del famoso ragionamento per ipotesi che, come colto da Bedu-Addo, costituisce lo strumento escogitato da Platone per garantire la continuità del processo anamnestico intrapreso da Menone sulla natura della virtù.23 23 Così Bedu-Addo, 1984, p. 3, 9 e anche Chiesa, 2011, p. 89-92.

Per rispondere alla richiesta di Menone di tornare ad affrontare la questione della insegnabilità della virtù (86 d1-3), Socrate introduce il ragionamento per ipotesi attraverso cui egli vincola l’essere insegnabile della virtù all’ipotesi che essa sia conoscenza. E per dimostrare che la virtù è conoscenza Socrate parte da una tesi che lui, con il consenso di Menone, ritiene sempre valida: la virtù è un bene.24 24 Per la precisione Socrate chiama hypothesis il legame virtù-bene (87d2-3). Ma, come nota ancora Bedu Addo, 1984, p. 10 qui hypothesis può essere intesa nel senso dell’ipotesi migliore tra quelle generali e quindi essere letta come tesi sufficientemente adeguata per garantire la correttezza dell’argomento (cfr. Phd. 101d). In modo forse ancora più puntuale Bonazzi, 2010, p. 151-153 e Trabattoni, 2011, p. 191 n. 195 conferiscono ad hypothesis il valore di “condizione esplicativa che viene assunta in rapporto ad un problema dato”. Cfr. in proposito anche Cellucci, 2012, p. 52-56. Ora, questa tesi è introdotta da Socrate come condizione di risolubilità da postulare in relazione ad un dato problema (se la virtù sia insegnabile) ed è accettata come valida senza nessuna dimostrazione. Ciò che infatti Socrate si premura di giustificare non è la tesi che la virtù è un bene ma l’assunto che «non vi è bene che la conoscenza non abbracci» (87d9-10). Il fatto che la tesi che la virtù sia un bene non è mai messa in discussione, in quanto è considerata un principio esplicativo che rimane sempre valido, indica che questa tesi trae la sua validità dall’essere una di quelle tracce o ricordi che permangono nell’anima anche dopo l’incarnazione nel corpo. Proprio il fatto che Socrate e Menone, pur non conoscendo l’essenza della virtù e neppure molti dei suoi predicati, siano entrambi concordi sul fatto che la virtù è un bene costituisce il segno che questa opinione è in qualche modo già posseduta da Socrate e dal suo interlocutore. Ma Socrate e Menone possiedono questo traccia di conoscenza perché la loro anima nel mondo intellegibile aveva già contemplato le Idee inclusa quella della virtù. Una volta che le loro anime sono entrate nel corpo umano hanno perso questa perfetta visione della virtù, ma quello che di questa visione hanno conservato, come traccia o come opinione vera è che esiste un nesso reale e non eliminabile tra virtù e bene. Ciò significa che il nesso tra virtù e bene può e deve essere approfondito e ulteriormente descritto ma non può essere contraddetto perché è un legame effettivamente esistente nel cosmo metafisico.25 25 Come nota Bonazzi, 2010, p. XXXVIII, p. 139 n.112 il fatto che qui il nesso bene-virtù sia accolto senza difficoltà non significa che esso non debba più essere analizzato, anzi poiché il legame tra la virtù e il bene è il cuore della sua etica, si tratta di una tesi su cui Platone ritorna a più riprese in altri dialoghi. Il ragionamento per ipotesi è quindi collegato alla reminiscenza proprio perché il legame virtù-bene, che viene assunto come condizione esplicativa in rapporto all’insegnabilità della virtù, è una di quelle doxai rimaste nell’anima come traccia della visione iperuranica della virtù.26 26 Ferrari, 2016, p. 77 segnala che la critica (con la parziale eccezione di Bedu-Addo, 1984, p. 13) non ha mai valorizzato il fatto che l’ipotesi che la virtù è bene rimane sempre confinata nello spazio della doxa alethes. È vero che ciò implica che essa debba venire legata dall’aitias logismos ma è altrettanto vero l’essere considerata una opinione indica che “la virtù è bene” sia una delle tracce che sono rimaste nell’anima dopo l’incarnazione, dal momento che questi ricordi rimangono nell’anima proprio nella forma di doxai. Ciò è una conferma ulteriore che, come l’esperimento maieutico, anche il ragionamento per ipotesi di 87d-89c presuppone ed è in continuità con la reminiscenza. Coglie allora nel segno Trabattoni quando afferma che la reminiscenza è la condizione che permette all’uomo di esercitare la sua capacità conoscitiva e per questo va presa in modo molto serio non tanto nel suo valore metaforico ma nel suo valore metafisico:27 27 Per Scott, 2006, p. 103-104 la reminiscenza non implica una dimensione metafisica ma rimane un esperimenti fittizio con lo scopo di illustrare come la nostra capacità di comprensione debba accendersi da sé perché quest’intuizione, questa capacità di seguire una prova non ci può essere instillata dal maestro. Contro la tesi secondo cui la reminiscenza risponde al paradosso di Menone cfr. Weiss, 2001, p. 63-76. per Platone, infatti, la reminiscenza non è un metodo conoscitivo ma è piuttosto la “condizione di possibilità che permette l’apprendere e la conoscenza che ne deriva.” (Trabattoni, 2020TRABATTONI, F. (2020). La filosofia di Platone. Verità e ragione umana. Roma, Carocci . , p. 142).28 28 Preferisco (cfr. supra n. 16) la costruzione di 81c9-d1 offerta da Brisson proprio perché enfatizzando la syngeneia tra le strutture della natura e quelle dell’anima, evidenzia la dimensione metafisica e fondativa inscritta nella reminiscenza. Pur ritenendo che la reminiscenza abbia lo scopo di superare il paradosso di Menone, Fine, 2014, p. 165-168 cerca di eliminarne la dimensione metafisica interpretando questa conoscenza prenatale unicamente come una sorta di disposizione alla verità di cui è dotata per natura la mente umana. Su posizioni simili cfr. Ferrari, 2020a, p. 21-22. In quest’ottica trovo condivisibile la tesi di Kahn secondo cui la reminiscenza indica che in Platone l’epistemologia trova il suo fondamento nell’ontologia. Proprio alla luce di questi passi del Menone, a suo avviso poi confermati dal Timeo (35a ss.), lo studioso americano ritiene che la dottrina della reminiscenza sia il mezzo per affermare che la struttura intellegibile della realtà non solo è accessibile e conoscibile dalla nostra anima, ma è accessibile e conoscibile proprio perché è, in qualche misura, già nostra, dal momento che l’anima si costituisce nella sua natura mediante la contemplazione della struttura della physis e quindi, quando l’anima conosce, si identifica sempre più con la struttura intellegibile della natura con cui condivide quest’originaria affinità ontologica.29 29 Così Kahn, 2006, p.130-132, ma tesi simili si trovano anche in Ionescu, 2007, p. 60 e Szlezák, 2007, p. 342-343. Il fatto che l’anima in qualche modo sia fin dalla sua origine in contatto con la verità non implica, come sostengono Aronadio, 2002, p. 237-244, Finck, 2007, p. 263-264 e, come già visto, El Murr, 2013, p. 168-171, che la syngeneia sia necessariamente anche lo stadio finale e noetico-intuitivo della conoscenza umana perché nel Menone questa condizione non si realizza mai. È invece più corretto riconoscere che la syngeneia è il pre-requisito necessario perché possa sensatamente svilupparsi la dialettica. La reminiscenza è, in conclusione, la dottrina che giustifica la syngeneia, il contatto originario tra l’anima e il mondo delle Idee; senza questa dottrina infatti non si spiegherebbe né perché la conoscenza dell’uomo non parta mai da uno stato di ignoranza assoluta che renderebbe impossibile l’apprendimento, né perché l’uomo per spiegare l’esperienza sensibile sia in grado di ricorrere a cause metafisiche la cui esistenza non può essere attribuita agli enti del mondo empirico.30 30 Cfr. in proposito Phd. 74d-75d. In questo brano Socrate dimostra che la fonte da cui apprendiamo la nozione dell’uguale in sé non può essere l’esperienza medesima. Per spiegare la nostra capacità di accorgerci che due oggetti, ad esempio due legni, per quanto uguali, non lo saranno mai perfettamente perché possono avere anche solo una piccola venatura di differenza, Platone ritiene che noi dobbiamo possedere in anticipo la nozione dell’uguale in sé altrimenti non potremmo dire che gli uguali concreti sono difettivi. Ora, come nota Trabattoni 2020, 135, poiché la reminiscenza è introdotta come argomento per dimostrare che l’anima preesiste al corpo “la portata ontologica e metafisica di questo argomento, ossia il fatto che esso dimostri l’esistenza non di semplici contenuti di pensiero, ma di veri e propri oggetti diversi da quelli sensibili, è implicita nella sua stessa struttura”. Se le nozioni universali stimolate dell’esperienza come l’uguale e le altre realtà in sé fossero solo l’aspetto universale del nostro modo di conoscere, le forme logiche che astraiamo con l’occhio dell’intelletto dagli oggetti sensibili, l’argomento non dimostrerebbe e non richiederebbe nessuna preesistenza dell’anima al corpo e dunque sarebbe un argomento inutile. Da ciò Trabattoni ricava che la reminiscenza rende manifesta la necessità di ammettere “la necessaria esistenza di qualcosa che l’uomo nella sua condizione presente non vede in nessun modo; e che dunque, se è necessario che esista e sia conoscibile […], deve necessariamente esistere ed essere conosciuto in una dimensione diversa da quella sensibile”. Mi pare che in questo senso la reminiscenza svolga nel Fedone lo stesso ruolo che gioca nel Menone. Per quanto nel Menone questa dottrina sia introdotta come un racconto di sacerdoti e sacerdotesse e sia esposta in modo sintetico, la sua funzione di condizione metafisica che permette la conoscenza umana, poi ripresa più dettagliatamente nel Fedone e nel Fedro, mi pare già riscontrabile nel passo 81b3-e3.

5. L’aitias logismos

Dopo che Platone ha introdotto la reminiscenza come condizione che rende possibile la ricerca e l’apprendimento, non sorprende che Socrate metta in atto alcuni procedimenti dialettici quali l’indagine che lo schiavo compie per rispondere al quesito di geometria e il ragionamento per ipotesi sviluppato da Socrate medesimo per dimostrare che la virtù è insegnabile. Se si vuole conoscere il contenuto degli eide occorre partire dalle sbiadite tracce che essi hanno lasciato nell’anima e da questi pallidi ricordi cercare di ricostruirne il contenuto noetico perché, come si legge nel Fedone (78d1), le Idee son quel genere di ousiai “della cui esistenza diamo conto interrogando e rispondendo”, ossia esercitando l’arte della dialettica.

Se dunque la reminiscenza è la condizione che permette l’esercizio della dialettica diviene allora più semplice capire il legame tra anamnesi e aitias logismos esplicitamente richiamato da Socrate in 98a4-5 quando afferma: “E questo, caro Menone, è la reminiscenza, come abbiamo convenuto nei discorsi precedenti”.

È possibile infatti che con l’espressione “i discorsi precedenti” Socrate si riferisca non solo all’episodio dello schiavo che risolve il problema geometrico ma anche al procedimento ipotetico offerto da Socrate in 87d-89b. È vero che i due metodi gnoseologici sono tra loro differenti. Il procedimento anamnestico operato sullo schiavo è un percorso dialogico di tipo elenctico-costruttivo che passa dalla confutazione delle false opinioni (momento elenctico) all’individuazione da parte dello schiavo, guidato da opportune domande, del segmento su cui costruire il quadrato doppio rispetto a quello dato (momento costruttivo). Il ragionamento per ipotesi praticato da Socrate è invece una procedura di tipo deduttivo e analitico-regressiva che muove dalla necessità di dedurre dall’ipotesi di partenza alcune conseguenze che possono confermarla o smentirla per giungere “all’ammissione di un’ulteriore ipotesi superiore alla prima e capace in qualche modo […] di renderne ragione.” (Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 71).31 31 Sulla natura metamorfica dei procedimenti dialettici nella filosofia di Platone cfr. Dixaut, 2001. Ma è altrettanto vero che entrambi i casi richiedono la dottrina dell’anamnesi come condizione della loro realizzabilità: ciò che la reminiscenza ha fornito è costituito da alcune tesi (riconosciute come opinioni vere presenti nell’anima) a partire dalle quali entrambi i metodi di indagine possono attuare le diverse operazioni che appartengono al campo del logon didonai. Ciò è evidente non solo nel caso dell’esperimento maieutico, in cui le domande di Socrate permettono allo schiavo di scoprire concetti in lui latenti e di collegarli mediante una serie di passaggi logici che conducono alla risposta, ma anche da una sommaria descrizione dei momenti principali del ragionamento ipotetico. Per dimostrare che la virtù è conoscenza Socrate assume, nei termini osservati in precedenza, che la virtù sia un bene e da questo assunto collega il bene alla conoscenza dimostrando la tesi intermedia per cui la virtù è utile. Per provare questa tesi intermedia Socrate prima mostra che ciò che è bene è anche utile perché ciò che è bene e ciò che è utile condividono la proprietà di procurare vantaggio. Poi, posto che nel concetto stesso di utilità è inscritta la necessità di produrre vantaggi, Socrate dimostra che una cosa produce vantaggi solo se è accompagnata da intelligenza o conoscenza: il coraggio, ad esempio, è davvero tale (e quindi è una virtù) solo se accompagnato dall’intelligenza che ne sa calcolare l’uso adeguandolo al contesto, altrimenti da solo il coraggio può diventare mera temerarietà ed essere dannoso. Così, una volta dimostrato che l’utile è una forma di intelligenza e che l’utile è bene, Socrate può concludere il ragionamento: poiché la virtù è bene allora essa è utile e, in quanto utile, la virtù è una forma di intelligenza/saggezza ossia conoscenza.32 32 Si rimanda all’ottima ricostruzione e analisi di questo ragionamento per ipotesi offerta da Bonazzi, 2010, p. 150-154.

Socrate allora collega esplicitamente la reminiscenza all’aitias logismos perché, quando è chiamato a ipotizzare il possibile fattore che genera quel desmos che trasforma l’opinione vera in conoscenza, lo individua nell’esercizio del logos di cui ha già offerto due modelli di procedimento dopo l’introduzione della dottrina dell’anamnesis. Se quanto detto finora è plausibile allora è altrettanto plausibile intendere il logismos in maniera generale come “ragionamento” nel senso di discorso articolato provvisto delle capacità di mettere in luce nessi e collegamenti che illustrano i motivi per cui un principio (un eidos) viene identificato come il responsabile (aition) di un determinato stato di cose.33 33 Per una valida analisi del problema filologico che riguarda il sintagma aitias logismos rimando a Martinelli Tempesta, 2000, p. 3-18. Sul problema della traduzione del sintagma cfr. le valide ricostruzioni di Bonazzi, 2010, p. 127 n. 104 e Petrucci, 2011, p. 249-250 n. 46 i quali assegnano a logismos il significato generale di “ragionamento”. Conoscere i nessi e le relazioni tra le proprietà che costituiscono l’eidos del quadrato, che è la causa del fatto che ogni quadrato particolare per essere tale abbia certe caratteristiche e un certo tipo di ordinamento, conduce alla risoluzione dei quesiti geometrici relativi a tutti i quadrati di qualsiasi lato essi siano.34 34 Nella esegesi della cosiddetta dottrina del Sogno di Tht proposta in Maffi 2014, p. 249-259 si sostiene che la dialettica intero (holon)/parti (mere) possa essere applicata anche agli eide (Idee). L’eidos è un intero costituito dalla trame di relazioni e legami delle sue parti o attributi essenziali. Conoscere l’ousia di un eidos significa quindi coglierne le proprietà peculiari e la struttura che le collega. Quanto più il filosofo attua questa logismos tanto più la conoscenza dell’intero si realizza attraverso la conoscenza dei nessi tra la sue parti trasformando il sapere da doxastico ad epistemico. Questa conoscenza dei nessi che legano gli elementi dell’intero è necessaria per dimostrare che l’eidos di F è la causa della presenza di f negli enti sensibili. Prima ancora che nel Teeteto questa concezione della conoscenza umana è presente nel Menone, cfr. Scott, 2006, p. 185. Allo stesso modo per capire se la virtù è insegnabile bisogna comprendere l’eidos della virtù e quali dei predicati dell’eidos della virtù sono collegati a quello del bene, così da determinare che la virtù è una forma di conoscenza e quindi è insegnabile. Gli esempi dello schiavo e del ragionamento per ipotesi, per quanto siano due processi dialettici differenti, hanno mostrato così che il logismos è un «ragionamento qualificato, cioè in grado di cogliere realtà ontologicamente importanti»:35 35 Così opportunamente Petrucci, 2011, p. 256. Di tenore simile anche le osservazioni di Brancacci, 2002, p. 78 e n. 48 che suggerisce anche la felice resa di aitias logismos con “ragionamento che ridà la causa”. realtà passibili di essere considerate come cause formali e universali. Come già era emerso nella sezione relativa alla reminiscenza, è difficile credere che queste aitiai formali e universali siano qualcosa di diverso dalle Idee platoniche.

In conclusione l’espressione aitias logismos sintetizza che il processo dialettico consiste in un ragionamento qualificato che ha la capacità di restituire quella causa che può essere identificata con una causa formale e di natura eidetica, ossia con l’unica causa capace di spiegare in modo non contraddittorio il modo d’essere di un determinato stato di cose.36 36 Sul tipo di causalità esercitata dalle idee, tanto nei dialoghi giovanili quanto in quelli maturi, rimando a Fronterotta, 2007, 49-56, Maffi, 2020, 10-21 e Trabattoni, 2020, 129-134 e alla bibliografia in quelle sedi riportata. Per un’attenta analisi sull’azione causale delle Idee cfr. Bonelli, 2014, p. 91-95 e Sedley, 1998, p. 121-127.

6. Aitias logismos e reminiscenza

L’esercizio dialettico messo in atto dallo schiavo lo ha condotto, così almeno dichiara Socrate (85c 6-7), a possedere opinioni vere in campo geometrico. Ciò significa che già per giungere ad un possesso consapevole di un’opinione vera è necessario praticare la dialettica il cui uso richiede già quello del logos perché, se così non fosse, allo schiavo sarebbe impossibile cogliere le relazioni logiche che legano le proprietà del quadrato. Subito dopo (85c 9-10) Socrate afferma che «Ora queste opinioni [scil. opinioni vere], come in un sogno, sono state messe in movimento da lui»; se poi lo schiavo vorrà trasformare le sue opinioni in conoscenze dovrà essere interrogato «a più riprese e in più modi su queste stesse cose» cosicché «alla fine ne avrà una conoscenza precisa non inferiore a nessun altro» (85c 10-11). Quanto Socrate sembra dire è che il processo a cui lo schiavo si è sottoposto lo ha condotto a recuperare opinioni vere che gli sono servite per risolvere il problema e che ora la sua condizione è simile a colui che ricorda alcune parti di un sogno ma non il sogno per intero: alcune parti sono state richiamati alla memoria e ora devono essere stabilizzate, ossia ricomposte in ordine e in unità. Fuor di metafora ciò significa che l’esercizio dialettico e dialogico a cui Socrate ha costretto lo schiavo gli ha permesso di avere opinioni vere in un certo ambito ma queste opinioni devono ora essere collegate e stabilizzate nei modi più adeguati per costruire un logos tes ousias, quel ragionamento cioè in cui consiste la conoscenza dell’eidos del quadrato. Occorre però prestare attenzione a ciò che al passo 85c-d è esattamente detto da Socrate. Come notato da Trabattoni, alcuni traduttori (Bonazzi, Ferrari) introducono nella frase “alla fine ne avrà una conoscenza precisa, non inferiore a nessun altro” (85c11-d1), una virgola dopo ‘precisa’ “intendendo questo aggettivo come assoluto, e la frase che segue come un’aggiunta, quando invece le due cose devono essere collegate.” (Trabattoni, 2020TRABATTONI, F. (2020). La filosofia di Platone. Verità e ragione umana. Roma, Carocci . , 141 n. 7). Ora, poiché nel testo greco questa virgola non c’è,37 37 La virgola alle 85c11-d1 non è presente né nel testo dell’edizione oxoniense stabilito da Burnet nel 1903, né nell’autorevole edizione di Bluck,1961, la quale si fonda quasi esclusivamente sulla collazione dei manoscritti P, W e F. Sedley;Long, 2011, e Ebert 2018 traducono senza introdurre la virgola dopo “precisa”. La traduzione più adeguata di Men. 85c11-12 può essere la seguente: “[…] sappi che alla fine ne avrà una conoscenza non meno precisa [di quella] di chiunque altro”. Trabattoni suggerisce che qui Platone non stia quantificando il grado di precisione che potrà conseguire lo schiavo dopo un adeguato studio della geometria, ma che stia invece sostenendo che persino lo schiavo, che non ha mai avuto nella sua vita alcun tipo di preparazione in geometria,

potrebbe ottenere un sapere non inferiore anche a quello di coloro che hanno studiato matematica, perché la conoscenza si produce riattivando il sapere latente dentro ciascuno, non grazie al fatto che qualcuno ce lo consegna dall’esterno mediante l’insegnamento. (Trabattoni, 2020TRABATTONI, F. (2020). La filosofia di Platone. Verità e ragione umana. Roma, Carocci . , 141 n. 7).

Ciò implica che il grado di sapere raggiungibile dallo schiavo nel caso in cui porti interamente a termine il processo dialogico-dialettico, non sarà così differente da quello di un matematico. In gioco non c’è il fatto che il matematico possieda la conoscenza perfetta e assoluta degli enti numerici e geometrici, ma il fatto che anche lo schiavo possa arrivare, in uno specifico ambito, ad una conoscenza non meno fondata di quella del matematico. Resta ancora da stabilire però se la conoscenza del matematico sia una conoscenza precisa nel senso di assoluta e conclusiva. Certamente il matematico coglierà con maggior velocità, poiché ha studiato questi argomenti, la soluzione del problema e comprenderà anche altre implicazioni ad esso collegate, ma la stessa soluzione può essere raggiunta dallo schiavo, opportunamente interrogato, perché qui il focus che interessa a Platone non è quello di determinare in che cosa consista il grado assoluto del sapere ma quello di sottolineare che la condizione di possibilità della conoscenza è per tutti (e prima di tutto) la reminiscenza e che proprio grazie a questa dottrina è possibile a chiunque, almeno in linea di principio, fare progressi nel campo della conoscenza.

Il riferimento che al passo 97e-98a Platone fa alla reminiscenza allora ha lo scopo di riportarci al livello della riflessione a cui erano giunti Socrate e Menone, dopo l’esperimento maieutico dello schiavo, riguardo la relazione tra l’alethes doxa e l’episteme. La reminiscenza consente allo schiavo il processo di recupero dei ricordi latenti, recupero che, a sua volta, lo conduce al possesso di quelle opinioni vere necessarie per risolvere il quesito di geometria. Se però lo schiavo continuasse nell’esercizio della dialettica riuscirebbe a realizzare quel processo di stabilizzazione delle opinioni vere, ossia quel processo che consiste nella capacità di trovare le leggi che governano i nessi che legano tra loro le proprietà del quadrato così da collegare tra loro tutte le opinioni vere all’interno di un sistema di relazioni stabile e organico. Va da sé che quando lo schiavo sarà giunto a questo genere di conoscenza, possiederà una conoscenza non meno precisa di quella di chiunque altro sia esperto di matematica. Ora nel passo 97e-98a questo processo di stabilizzazione delle opinioni è esplicitamente identificata da Socrate con l’aitias logismos. Se la reminiscenza ha mostrato che lo schiavo recupera opinioni vere utili per risolvere il problema geometrico e se lo schiavo, continuando l’esercizio dialettico, ora sintetizzabile nella formula dell’aitias logisimos, acquisirà una conoscenza non inferiore a quella di un geometra, è del tutto naturale allora che Socrate ipotizzi che il ragionamento che ridà la causa sia il fattore che produce quella stabilità che caratterizza l’episteme e la rende più nobile dell’opinione vera. Se il possesso dell’aitias logismos è il fattore che caratterizza il sapere del matematico (e più in generale ogni forma di sapere strutturato) è inevitabile domandarsi se esso possa davvero costituire l’elemento capace di fornire alle opinioni vere tutta la stabilità necessaria e sufficiente perché esse diventino conoscenze stabili. Mediante l’esplicito richiamo di Socrate a collegare l’aitias logismos con quanto convenuto nell’esempio della reminiscenza Platone vuole riportarci alla relazione tra episteme e opinione vera che può essere riassunta così: 1) se lo schiavo continuasse nel suo percorso dialettico giungerebbe ad una conoscenza precisa quanto quella del matematico, 2) la conoscenza del matematico consiste nel possesso e nell’uso delle leggi che governano i nessi che legano tra loro le proprietà di un eidos: questo possesso, come indicato dalla metafora del sogno, dovrebbe garantire quella stabilità necessaria che trasforma le opinioni vere in epistemai; 3) dalla sezione 97e-98a si evince che questa possesso dei nessi è identificato con l’ aitias logismos; 4) l’aitias logismos è la cifra del sapere del matematico ed è quindi il candidato più credibile a svolgere il ruolo di elemento capace di fornire alle opinioni vere tutta la stabilità necessaria e sufficiente perché esse diventino conoscenze e poi conoscenze stabili. Tuttavia che l’aitias logismos sia il fattore che certamente garantisce il salto fondazionale capace di trasformare le opinioni vere in epistemai non è ancora stato dimostrato. Non è stato dimostrato nel caso dello schiavo sia perché l’operazione dialettica è rimandata in un tempo futuro sia, soprattutto, perché l’acquisizione da parte dello schiavo di una conoscenza non meno precisa di quella di un altro (l’esperto di geometria) non significa che necessariamente questo tipo di conoscenza sia l’episteme tout court. E ciò non è stato neppure dimostrato nel ragionamento per ipotesi attuato da Socrate perché questo procedimento, come messo in luce da Bedu-Addo (1984BEDU-ADDO, J.D. (1984). Recollection and the argument from a hypothesis in Plato’s Meno’, Journal of Hellenic Studies 104, p. 1-14., p. 12-14), ha generato in Menone opinioni vere sulla virtù; ma tali opinioni hanno rivelato tutta la loro provvisorietà e instabilità quando sono «volate via» da Menone nel momento in cui egli non è riuscito a fronteggiare l’obiezione proposta da Socrate contro la tesi che la virtù è conoscenza (89e-95a). Collegando in 98 a4-5 l’aitias logismos alla reminiscenza Platone ha voluto mostrare ai suoi lettori: a) che l’espressione aitias logismos sintetizza il cuore delle operazioni dialettiche compiute sia dallo schiavo nella risoluzione del problema di geometria sia da Socrate nel ragionamento per ipotesi; 2) che questi esempi di ragionamento non hanno ancora dimostrato in modo inequivocabile che l’aitias logismos sia davvero il fattore che assicura la stabilità che cambia l’opinione in scienza.

Ciò non significa che esso non possa esserlo, anzi, è il candidato più probabile per svolgere questo compito, resta, tuttavia, il fatto che ancora non è stato provato che l’aitias logismos sia realmente il fattore capace di realizzare questo passaggio.

Mediante l’esplicito riferimento di Socrate in 98a4-5 al fatto che l’aitias logismos debba essere collegato alla reminiscenza Platone ricorda ai suoi lettori che non è ancora stata provata la effettiva capacità del logismos di trasformare definitivamente l’opinione in scienza; ecco perché Socrate in 98b1 dice di parlare non come qualcuno che sa, ma come qualcuno che ipotizza. Se l’incapacità di Menone, alla prima obiezione di Socrate, di difendere la promettente tesi per cui la virtù è conoscenza, è un chiaro segno del fatto che le opinioni, quando non sono adeguatamente legate all’anima, volano via, allora ciò che è ancora oggetto di ipotesi è se l’aitias logismos sia davvero il fattore necessario e sufficiente a generare quel desmos che distingue la conoscenza dall’opinione.

Sebbene a Platone l’intervento dell’aitias logismos sembri la strada più promettente per giungere alla conoscenza, nel Menone questa ipotesi non ha trovato ancora una risposta o una conferma definitiva.

7. Conclusione

Men. 97e2-98b5 è allora il luogo in cui Platone enuncia l’interrogativo principale della sua epistemologia, quell’interrogativo a cui nei suoi dialoghi a venire Platone prova a fornire tentativi di risposta.

Tuttavia prima di cercare conferme altrove dell’ipotesi lasciata aperto nel Menone occorre considerare un aspetto importante presente in questa sezione del dialogo: nell'unico esempio di conoscenza che Socrate offre in questo brano, quello cioè di chi conosce la strada per Larissa (97a9), la conoscenza coincide con il contatto diretto con l’oggetto indagato.

In questa famosa immagine (97 a9 ss.) Socrate distingue chi ha conoscenza e chi ha opinione in forza del fatto che chi è effettivamente andato a Larissa ne conosce la strada perché l’ha vista con i suoi occhi e l’ha effettivamente percorsa, mentre colui al quale la strada è stata spiegata da un altro ne ha retta opinione perché costui questa strada non l’ha mai percorsa. Analizzando questa immagine Scott nota opportunamente che in questa metafora è l’evidenza, ossia la visione diretta della strada, il fattore che caratterizza la superiorità della scienza rispetto all’opinione: ha scienza della strada per Larissa chi l’ha vista perché l’ha percorsa, ne ha retta opinione colui che ne ha ricevuto solo una descrizione da qualcun’altro. Poco dopo lo studioso fa un’osservazione altrettanto importante: nell’esempio dello schiavo e del ragionamento ipotetico la differenza tra opinione e scienza sembrava una differenza di grado per cui la capacità di legare le opinioni con ragionamenti adatti a descrivere sempre meglio la causa o l’eidos di F conduceva alla trasformazione in conoscenze delle opinioni su F; nel caso dell’esempio di Larissa, invece, la differenza tra i due stati sembra essere di natura qualitativa: nessuna descrizione o spiegazione analitica della strada per Larissa saprà trasformare la mia opinione in episteme, perché ciò accada, infatti, è necessario che si faccia diretta esperienza della strada per Larissa.38 38 Scott, 2006, p. 182-184. Ma subito dopo in Men. 98a3-5 Socrate identifica la scienza con il processo di legare le opinioni vere mediante l’aitias logismos, che a sua volta si identifica con la reminiscenza. Ciò, come già rilevato, implicava un collegamento tra le operazioni dello schiavo o di Socrate nel ragionamento ipotetico e l’aitias logismos. A ragione Scott rileva una ‘incompatibilità’ tra la concezione della scienza fondata sulla stabilità dei nessi causali e la concezione della scienza fondata sull’evidenza o esperienza diretta di qualcosa. La prima nozione di episteme si evince tanto dall’esperimento maieutico dello schiavo, quanto dal ragionamento per ipotesi e dall’individuazione dell’aitias logismos come elemento che distingue i due stati epistemici, la seconda invece sembra emergere dall’immagine della strada per Larissa. L’ ‘incompatibilità’ evidenziata da Scott riflette la tensione presente nel Menone tra due diverse nozioni di conoscenza: da una parte quella presentata da El Murr che fa consistere il sapere dell’anima in recupero del suo legame diretto con le Idee che eccede il ragionamento logico-dialettico, dall’altra quella proposta da Ferrari che fa consistere il sapere dell’anima nell’esercizio dialettico del logos capace di fornire argomentazioni in grado di cogliere l’eidos. Per sciogliere l’incompatibilità Scott suggerisce di intendere la discussione epistemologica alla fine del dialogo come una discussione che va applicata alla opinione vera solo in termini molto generali e non deve essere invece ritenuta comprensiva del caso particolare dello schiavo, che sarebbe una sorta di eccezione in cui la differenza tra la conoscenza e la vera credenza sono più sfocate che negli altri casi.39 39 Scott, 2006, p. 184.

Mi pare una soluzione non soddisfacente perché Platone collegando il passo sull’aitias logismos alla reminiscenza vuole che le due sezioni siano strettamente correlate. Allora le cose possono, forse, stare diversamente.

Prendendo sul serio la dimensione metafisica della reminiscenza bisogna concludere che per Platone la conoscenza simpliciter, l’ episteme assoluta, coincida con il recupero della visione diretta degli enti ideali della quale l’anima ha goduto mentre viveva disincarnata nel mondo intellegibile. Il recupero dei ricordi potrà dirsi davvero terminato solo quando l’anima riacquisirà quella contemplazione diretta delle Idee che le apparteneva nel cosmo noetico. In questo senso ha ragione El Murr quando dice che l’episteme tout court è per Platone il recupero di una visione diretta delle Idee che supera la dimensione logico-dialettica. Allora con l’immagine della strada per Larissa Platone non implica solo che, dal punto di vista performativo, l’opinione retta può avere la stessa efficacia della scienza ma indica che la conoscenza in sé coincide con la visione o l’esperienza diretta dell’oggetto conosciuto. Che la conoscenza assoluta si identifichi con questa intuizione o visione intellettuale si riscontra non solo nel Menone ma in altri dialoghi platonici come il Fedone (66b-67b e 99e2-4), il Simposio (211d1-e4), il Fedro (247c-248c), la Repubblica (519 c10, 524 c6-8, 527 e2-3, 533d1-2) e il Teeteto (201a-c). In quest’ultimo dialogo poi si trova una metafora, quella del testimone oculare di un crimine e dei giudici chiamati in tribunale a decidere di quel fatto, che ha molte analogie con l’immagine della strada per Larissa. Al testimone oculare di un crimine corrisponde lo stato della conoscenza intesa come visione diretta di qualcosa mentre alla situazione dei giurati che devono giudicare quel fatto sulla base del racconto di altri corrisponde lo stato della retta opinione, cioè di quel sapere discorsivo e proposizionale riguardo a cose di cui non hanno avuto diretta esperienza. Non solo non è difficile notare il parallelismo, da una parte, tra il testimone oculare di un fatto e colui che conosce perché ha visto la strada che conduce a Larissa e, dall’altra, tra i giudici in tribunale e colui che opina perché la strada gli è stata solo descritta; occorre anche ricordare che pure nel Teeteto, come già avviene nel Menone per l’immagine della strada per Larissa, l’immagine dei giudici e del testimone oculare è utilizzata da Socrate per confutare la tesi che la conoscenza sia identificabile con l’opinione vera: questa identificazione non può avvenire perché l’episteme è di un’altra natura rispetto alla alethes doxa.40 40 Per un’analisi dettagliata di quest’immagine usata in Teeteto 201a-c cfr. Trabattoni, 2016, 35-38.

Alla luce di queste osservazioni l’inconsistenza denunciata da Scott può trovare una spiegazione. In accordo con quanto stabilisce la dottrina della reminiscenza e con quanto ripetuto in altri dialoghi da Platone, l’episteme infallibile consiste in una visione diretta delle Idee; ma, mentre non c’è dubbio che l’anima benefici di questa contemplazione non mediata prima di incarnarsi, non è assodato che la recuperi una volta entrata nel corpo (cfr. Phd. 66e-67a). E infatti, di nuovo in accordo con la reminiscenza, lo strumento che l’uomo, nella sua vita terrena, possiede per conoscere la verità è il logos in quanto ragionamento dialettico che, a partire da alcune tracce rimaste nell’anima, cerca di rimettere insieme e legare i ricordi per provare a ricostituire quella visione assoluta delle Idee (o della causa) andata perduta. Se le cose stanno così allora legittimamente in Men. 98b1-5 Socrate si chiede se l’aitias logismos sia il fattore capace di legare a tal punto saldamente le opinioni vere da rigenerare nell’anima la visione diretta delle Idee. Come già messo precedentemente in luce, il fatto che questa capacità dell’aitias logismos sia messa sotto ipotesi e dovuto al fatto che Platone nel Menone non ha ancora sviluppato fino in fondo il procedimento dialettico. Platone è convinto che, procedendo con l’esercizio dialettico lo schiavo giungerà ad una conoscenza della geometria non inferiore a quella del matematico. Ciò che Platone infatti sa è che l’esercizio del logos è l’unico strumento a disposizione dell’uomo per costruire ragionamenti sempre più capaci di collegare tra loro le opinioni mediante nessi causali così da renderle sempre più stabili e, per quanto possibile, sempre più vicine ad essere conoscenze. Ed in questo senso concordo con Ferrari nel dire che nel Menone l’aitias logismos consista unicamente in un sapere discorsivo e proposizionale e che la sola conoscenza che l’uomo può praticare ha la forma del ragionamento dialettico volto a costruire il logos dell’ousia. Ma la miglior versione possibile del logos dell’ousia potrà mai essere una conoscenza perfettamente compiuta come la visione diretta delle Idee?41 41 Sulle ragioni per cui il logos dell’ousia non può equivalere sul piano della perfezione epistemica alla visione diretta delle Idee, cfr. Trabattoni, 2016, p. 20-30, 55-65. Ciò che Platone nel Menone non sa e su cui formula un’ipotesi che deve essere verificata, è proprio questo: se la pratica dialettica condurrà non soltanto lo schiavo ma anche il matematico alla visione diretta e assoluta dell’eidos del quadrato ricreando così quella situazione di contatto diretto con le Idee vissuta dall’anima nell’iperuranio.42 42 Per quanto fondato possa essere il sapere del matematico, non è un sapere assoluto: egli non sa calcolare precisamente la diagonale del quadrato e non è in grado di stabilire con esattezza il valore del π e dunque non conosce quante volte il diametro è compreso nel perimetro della sua circonferenza di appartenenza. Quando il matematico contemplerà direttamente l’eidos del cerchio e del quadrato queste proprietà gli saranno note e quindi possiederà la scienza in modo assoluto.

Ritengo che, posta in questi termini, l’incompatibilità trovi la sua ragion d’essere.43 43 Una soluzione di questo genere è stata proposta da Trabattoni per spiegare questa tensione nell’epistemologia platonica nel Fedone e nel Teeteto. Qui ho provato a mostrare che è possibile applicare questa soluzione al Menone. Quanto più le opinioni vere sono legate insieme da ragionamenti che ne dimostrano la causa tanto più esse acquisiscono solidità e fondatezza e si avvicinino, per stabilità e completezza, all’episteme. L’effettiva realizzabilità di questo passaggio è testimoniata dal fatto che lo schiavo può diventare un matematico, e ciò è possibile perché la conoscenza si attua solo mediante l’esercizio del logos che produce ragionamenti causali sempre migliori.44 44 Detto altrimenti: come uno schiavo, se porta a termine il processo di apprendimento, può divenire matematico, così un uomo, se apprenda seriamente la dialettica, può diventare filosofo. Ciò significa che Platone nel Menone inizia a descrivere alcune regioni del sapere filosofico non solo a livello formale ma anche a livello di contenuti: la virtù, ad esempio, è una conoscenza, una conoscenza del bene che è legato all’utile che si accompagna a ciò che procura benefici agli uomini nella loro dimensione comunitaria. Nel Menone non è invece dimostrata la possibilità che l’aitias logismos sia in grado di rigenerare nell’anima quella visione perfetta delle Idee che le era propria nel cosmo noetico. Se la conoscenza in quanto intuizione intellettuale coincide con l’episteme in sé, ossia con il sapere esemplificato da colui che conosce la strada per Larissa perché, percorrendola, ne ha avuto esperienza diretta, allora è in riferimento a questo tipo di conoscenza che il Socrate del Menone parla per ipotesi, interrogandosi sulla possibilità che l’aitias logismos riesca a legare così saldamente le opinioni vere tra loro da produrre questo genere di sapere che è un sapere infallibile e quindi perfettamente stabile. Usando l’immagine del sogno con cui Socrate descrive la situazione dello schiavo si potrebbe dire che in 98b1-5 Platone si chiede se l’aitias logismos sia in grado di rimettere in ordine le parti del sogno così da restituirlo nella sua versione originale. Ancora una volta, per appianare la possibile inconsistenza, è necessario interpretare Menone 98b1-5 come quel passo in cui Platone pone, in forma di ipotesi, la domanda fondamentale della sua epistemologia: l’aitias logismos, ossia quel tipo di ragionamento che progressivamente fornisce sempre maggior stabilità alla verità delle opinioni, è in grado di ripristinare quel contatto diretto tra l’anima e le Idee in cui, per Platone, consiste quel sapere infallibile che è l’episteme?45 45 Non mi pare implausibile sostenere che il contatto diretto con l’oggetto della conoscenza in quanto garanzia di infallibilità del sapere costituisca anche la massima forma di stabilità raggiungibile dal soggetto conoscente che in questo modo si trova continuamente in presenza dell’eidos la cui ininterrotta visione certifica la massima forma di possesso stabile dei contenuti della conoscenza.

Bonazzi ha giustamente scritto che il Menone è un dialogo che “più che dare risposte apre delle strade” (Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p. XXXVIII): strade che bisognerà battere per comprendere meglio le questioni in esso discusse. Mi pare ragionevole concludere che tra le tante strade che il dialogo dischiude e che devono essere battute e approfondite in altre opere c’è anche quella relativa al problema centrale che attraversa la teoria platonica della conoscenza: l’aitias logismos, o la dialettica, può stabilizzare in modo così compiuto i contenuti eidetici da realizzare quel sapere diretto e infallibile che è la sophia?

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    Per una attenta panoramica dello status quaestionis relativo a questa sezione del Menone cfr. Petrucci 2011PETRUCCI, F. (2011). Opinione corretta, conoscenza, virtù. Su Menone 96d1-98b9. Elenchos 32, p. 229-261. , 247-257 e Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 80-86.
  • 2
    L’identità tra episteme e sophia è esplicitata da Socrate in Tht. 145e5-6 ma è un’identità che attraversa tutto il corpus platonico.
  • 3
    Sulle ragioni per cui preferisco tradurre eikazein con ‘ipotizzare’ piuttosto che con ‘immaginare’ cfr. infra.
  • 4
    Sedley, 2004SEDLEY, D. (2004). The Midwife of Platonism. Text and Subtext in Plato’s ‘Theaetetus’. Oxford, Clarendon Press. , p. 176-178.
  • 5
    “Ora queste opinioni, come in un sogno, sono state messe in movimento da lui: ma se uno lo interrogherà a più riprese e in più modi su queste cose, puoi star sicuro che alla fine ne avrà una conoscenza precisa non inferiore a nessun altro”. (85c10-d1). Sull’interpretazione di queste righe cfr. infra, p. 13-14.
  • 6
    Così El Murr, 2013EL MURR, D. (2013), Desmos et logos: de l’opinion vrai à la connaissance (Ménon 97E-98A et Théétète 201C-210B). In : EL MURR, D. (éd.), La mesure du savoir. Études sur le Théétète de Platon. Paris, Vrin, p. 151-171. , p.152: “J’espère monter […] que la fin du Théétète comme le passage du Ménon sur les statues de Dédale aboutissent au même résultat : on ne peut définir la connaissance à partir de l’opinion, fut-elle vraie”.
  • 7
    Trabattoni ha messo in luce in numerosi lavori - qui per brevità cfr. Trabattoni, 2020TRABATTONI, F. (2020). La filosofia di Platone. Verità e ragione umana. Roma, Carocci . , p. 143-174, 253-272, (con relativa bibliografia) - come la tensione tra queste due nozioni di conoscenza sia un tratto caratteristico della filosofia di Platone e presente in tanti dei suoi dialoghi più importanti dal Fedone alla Repubblica, dal Teeteto al Fedro. Qui vorrei mostrare che questa tensione è già presente e operante nel Menone.
  • 8
    Non sorprende perciò che alcuni studiosi traducano con ‘immaginare’ ad esempio, Klein, 1965KLEIN, J. (1965). A commentary on Plato’s Meno. Chapel Hill, North Carolina University Press. , p. 249, Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p. 127, Petrucci, 2011PETRUCCI, F. (2011). Opinione corretta, conoscenza, virtù. Su Menone 96d1-98b9. Elenchos 32, p. 229-261. , p. 258-259, Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 289 ed altri invece con ‘congetturare’ ad esempio Sedley, 2004SEDLEY, D. (2004). The Midwife of Platonism. Text and Subtext in Plato’s ‘Theaetetus’. Oxford, Clarendon Press. , p. 176 Casertano, 2007CASERTANO, G. (2007). Paradigmi della verità in Platone. Roma, Editori Riuniti., p. 45, Benson, 2015BENSON, H. (2015). Clitophon’s Challenge. Dialectic in Plato’s ‘Meno’, ‘Phaedo’, and ‘Republic’. Oxford, Oxford University Press., p. 176.
  • 9
    Cfr. ad esempio Petrucci, 2011PETRUCCI, F. (2011). Opinione corretta, conoscenza, virtù. Su Menone 96d1-98b9. Elenchos 32, p. 229-261. , p. 257-259 il quale ritiene che la traduzione di eikazein con ‘immaginare’ sia resa appropriata dal riferimento all’immagine delle statue di Dedalo.
  • 10
    Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 249, traduce questo passo utilizzando proprio il verbo ‘congetturare’: «E all’opposto: di qualcosa di cui non ci sono né maestri né allievi, non si congettura bene se si congettura che non è insegnabile?».
  • 11
    Benson, 2015BENSON, H. (2015). Clitophon’s Challenge. Dialectic in Plato’s ‘Meno’, ‘Phaedo’, and ‘Republic’. Oxford, Oxford University Press., p. 166-175.
  • 12
    Riguardo la ‘tenuta logica’ dell’argomentazione proposta da Platone cfr. le ponderate osservazioni di Benson, 2015BENSON, H. (2015). Clitophon’s Challenge. Dialectic in Plato’s ‘Meno’, ‘Phaedo’, and ‘Republic’. Oxford, Oxford University Press., p. 170-172, Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p. XXIX, e Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 74-75. Mi interessa qui solo evidenziare che si tratta di un contesto in cui sono in gioco leggi e operazioni logiche e che quindi la traduzione di eikazontes e eikazoimen con ‘inferire’ o ‘congetturare’ è del tutto adeguata.
  • 13
    Cfr. supra, n. 8.
  • 14
    Scott, 2006SCOTT, D. (2006). Plato’s Meno. Cambridge, CUP. , p. 180-181, giudica inizialmente sorprendente l’enfasi posta da Socrate sulla stabilità come cifra peculiare della conoscenza dal momento che la stabilità di un’opinione potrebbe essere garantita da fattori non-epistemici: alcune persone potrebbero aggrapparsi ostinatamente alle proprie opinioni per fede, educazione, abitudine, o per la loro disposizione caratteriale. Poiché la stabilità da sola non può essere il tratto essenziale della conoscenza, Scott suggerisce che sia da considerare conoscenza solo la vera credenza stabilizzata dal ragionamento esplicativo che diventa così fattore necessario per la conoscenza. Sulla relazione fra stabilità e logismos cfr. infra, p. 12-14 e n. 34 e n. 46.
  • 15
    Una tesi simile è sostenuta da Casertano, 2007CASERTANO, G. (2007). Paradigmi della verità in Platone. Roma, Editori Riuniti., p. 46-47 che giustamente evidenzia il fatto che Socrate contrappone ad una certezza - che episteme e alethes doxa sono due stati differenti - un’incertezza o una congettura. Lo studioso ritiene che la congettura riguardi la reale natura dell’episteme e conclude che Socrate «può sapere la caratteristica formale del sapere certo, […] ma non conosce quale sia questo sistema». Sulla possibilità che invece Platone conosca, almeno in parte, i contenuti del sistema cfr. infra pp. 14-18 e n. 45.
  • 16
    Ho seguito la lettura del testo greco proposta da Brisson, 2007BRISSON, L. (2007). La réminiscence dans le Ménon. In: ERLER, M.; BRISSON, L. (eds.). Gorgias-Menon. Selected Papers from the Seventh Symposium Platonicum. Sankt Augustin, Academia Verlag, p. 199-203. , p. 201-202 che , al passo 81c9-d1, attribuisce all’anima il ruolo di soggetto sintattico e logico dell’intera proposizione. La costruzione più seguita, che riporto nella traduzione di Ferrari, prevede invece anima e natura siano due soggetti distinti: «dal momento che tutta quanta la natura è affine e che l’anima ha appreso tutte quante le cose, […]». Sull’ammissibilità, tanto sul piano della sintassi del testo greco quanto sul piano della consistenza del senso filosofico, della costruzione di Brisson cfr. le valide osservazioni di Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 202-203 n. 116. Preferisco la soluzione di Brisson perché sottolinea maggiormente la syngeneia tra l’anima e la natura (più precisamente tra l’anima e la struttura intellegibile che ordina il mondo naturale): questa syngeneia è infatti ripresa, soprattutto in riferimento alla parentela tra anima e idee, in altri dialoghi quali Phd. (79c2-d6; 79e3-4), Rep. (485c6-8; 487a2-5;490a8-b7; 611e1-5), Phdr. (248b-c) e Tim. (90a). L’accento sulla iniziale syngeneia tra l’anima e la natura giustifica il valore fondativo che la reminiscenza assume nel Menone: l’uomo è capace di conoscere perché nel processo gnoseologico egli non parte mai da uno stato di ignoranza assoluta poiché l’anima, fin da principio, è affine alla natura perché ne ha contemplato la struttura intellegibile che le conferisce ordine. Al riguardo cfr. infra, pp. 9-11.
  • 17
    Così Brisson, 2007BRISSON, L. (2007). La réminiscence dans le Ménon. In: ERLER, M.; BRISSON, L. (eds.). Gorgias-Menon. Selected Papers from the Seventh Symposium Platonicum. Sankt Augustin, Academia Verlag, p. 199-203. , p. 200. Per una lettura del significato metafisico e fondazionale inscritto nella reminiscenza cfr. Trabattoni, 2020TRABATTONI, F. (2020). La filosofia di Platone. Verità e ragione umana. Roma, Carocci . b, p. 134-143. Ferrari, 2020FERRARI, F. (2020b). Anamnesis e syngeneia: a proposito di Menone, 81c-d, Plato Journal 20, p.127-135a, p. 11-12 propende invece per una lettura che ‘de-mitizza’ e ‘de-metafisica’ la dottrina della reminiscenza.
  • 18
    Ferrari, 2020FERRARI, F. (2020b). Anamnesis e syngeneia: a proposito di Menone, 81c-d, Plato Journal 20, p.127-135b, p. 132-133, ritiene che la parte mitologica e religiosa della reminiscenza serva a Platone come escamotage per neutralizzare la parte eversiva dell’argomento eristico; quando invece introduce la syngeneia al passo 81d Platone trasferisce l’anamnesi dal contesto mitico della visione a quello filosofico della affinità dell’anima con la sfera divina e trascendente. E questo “significa che l’evento della visione va trasferito e ricodificato in chiave filosofica, dove esso si trasforma nella disposizione dell’anima alla conoscenza”. La trasposizione del significato della reminiscenza dallo spazio mitico dell’evento alla sfera filosofica della condizione modifica la nozione di immortalità che non riguarda più la sfera temporale di ogni anima ma la sua capacità di immortalizzarsi per mezzo della valorizzazione della componente razionale, la quale può vantare una syngeneia con la sfera intelligibile della realtà. Per Ferrari, 2020FERRARI, F. (2020a). Evento o condizione? Anamnesis e innatismo a partire dal Menone. Rivista di Storia della Filosofia 75, p. 1-24.a, p. 11 “il passaggio del nesso di priorità dal piano temporale (l’evento della visione) all’ordine logico (la condizione ontologica dell’anima)” altro non è che “un dislocamento che converte il prius temporale in un prius logico, collegando in questo modo l’anamnesis all’ambito delle potenzialità cognitive dell’anima, ossia delle condizioni che determinano l’acquisizione della conoscenza dell’essere”. Di spirito analogo le considerazioni al riguardo di Lee, 2000LEE, S.-I. (2000). Platons Anamnesis in den frühen und mittleren Dialogen. Zur Metapher des vorgeburtlichen Lernens oder Erkennens. Antike und Abendland 46, p. 93-115., p. 97-98.
  • 19
    Contro la possibilità di trovare nella sezione della reminiscenza un rinvio chiaro alle Idee cfr. Vlastos, 1965VLASTOS, G. (1965). Anamnesis in the Meno. Dialogue 4, p. 143-67., p. 147-155 e Ebert, 2007EBERT, T. (2007). The theory of recollection in Plato’s Meno: against a myth of Platonic scholarship. In: ERLER, M.; BRISSON, L. (eds.), Gorgias-Menon. Selected Papers from the Seventh Symposium Platonicum, Sankt Augustin, Academia Verlag , p.184-198., p. 184-198. Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p.55 n.50 non lo esclude ma esprime alcune cautele. Brisson, 2007BRISSON, L. (2007). La réminiscence dans le Ménon. In: ERLER, M.; BRISSON, L. (eds.). Gorgias-Menon. Selected Papers from the Seventh Symposium Platonicum. Sankt Augustin, Academia Verlag, p. 199-203. , p. 200-201 individua un doppio livello di lettura del passo per cui, ad un livello più profondo, il termine Hades implica le cose invisibili (aides), le realtà in sé che nel Fedone (79b7 e 80d5-7) l’anima contempla perché fatte di una natura a lei molto simile. Anche Ionescu, 2007IONESCU, C. (2007). Plato’s Meno. An interpretation. Lanham, Rowman & Littlefield Publishers. , p. 59, Szlezák, 2007SZLEZAK, Th. A. (2007). ‘ἅτε γὰρ τῆς φύσεως ἁπάσης συγγενοῦς οὔσης (Men. 81c9-d11). Die Implikationen der Verwandtschaft der gesamten Natur’, In: ERLER, M.; BRISSON, L. (eds.), Gorgias-Menon. Selected Papers from the Seventh Symposium Platonicum , Sankt Augustin, Academia Verlag , p. 333-344. , p. 341-42 e Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 200-201 n. 115 - alla cui equilibrata discussione rimando - trovano del tutto pertinente il rinvio alle Idee. Maffi, 2020MAFFI, E. (2020). Eἶδος, ἰδέα, παράδειγμα: osservazioni sulla natura del Santo in Eutifrone 6d-10e. Methexis XXXII, 2020, p. 1-25. , p. 14-21 mostra che fin dall’Eutifrone i termini eidos, idea e paradeigma indicano le Idee e che ciò valga allo stesso modo per il Menone. Emblematico in questo senso è il passo 72 c6-8, in cui il termine eidos è accompagnato dalla locuzione di’ho che indica il ruolo causale dell’eidos, cfr. in proposito Sedley, 1998SEDLEY, D. (1998). Platonic Causes. Phronesis 43, p. 114-132. , p. 115, 132, Brancacci, 2002BRANCACCI, A. (2002). La determinazione dell’eidos nel Menone. Wiener Studein 115, p. 59-78., p. 67-70 Fronterotta, 2007FRONTEROTTA, F. (2007).The development of Plato’s Theory of Ideas and the ‘Socratic Question.’ Oxford Studies in Ancient Philosophy 32, 2007, p. 37-62. , p. 49-54, e Petrucci, 2011PETRUCCI, F. (2011). Opinione corretta, conoscenza, virtù. Su Menone 96d1-98b9. Elenchos 32, p. 229-261. , p. 251-252. In conclusione è molto improbabile che non vi siano le Idee tra i panta chremata che l’anima ha visto prima della nascita.
  • 20
    Con l’espressione τῆς φύσεως ἁπάσης Platone potrebbe suggerire che, già nel Menone, una funzione di collegamento tra sensibile ed intellegibile è svolta da ogni anima e che per questo essa è congenere alla natura nella totalità delle sue dimensioni. Mentre nel Menone tutto ciò sia solo accennato nel Timeo Platone si farà carico di spiegare le ragioni dell’affinità dell’anima alla natura nella sua totalità. In quest’opera infatti il Demiurgo compone l’anima mundi mescolando caratteri intellegibili e caratteri sensibili in modo da farne una cinghia di collegamento tra cosmo noetico e cosmo sensibile (cfr. Tim.34a-36b) ma in Tim.41a-b è anche detto che le anime individuali sono prodotte allo stesso modo e con la stessa materia, anche se meno pura, dell’anima mundi. Ciò giustifica il fatto che anche le anime umane possiedano questa affinità con la struttura intellegibile della natura. Cfr. Kahn, 2006KAHN, C. (2006). Plato on Recollection. In: BENSON, H. (ed.), A companion to Plato. Oxford, Blackwell, p. 119-132., p. 132 e Szlezák, 2007SZLEZAK, Th. A. (2007). ‘ἅτε γὰρ τῆς φύσεως ἁπάσης συγγενοῦς οὔσης (Men. 81c9-d11). Die Implikationen der Verwandtschaft der gesamten Natur’, In: ERLER, M.; BRISSON, L. (eds.), Gorgias-Menon. Selected Papers from the Seventh Symposium Platonicum , Sankt Augustin, Academia Verlag , p. 333-344. , p. 339-343.
  • 21
    Cfr. Kahn 2006KAHN, C. (2006). Plato on Recollection. In: BENSON, H. (ed.), A companion to Plato. Oxford, Blackwell, p. 119-132., p. 131 e Trabattoni, 2016TRABATTONI, F. (2016). Essays on Plato’s Epistemology, Leuven, Leuven University Press. , p. 60-63.
  • 22
    Ferrari, 2020FERRARI, F. (2020b). Anamnesis e syngeneia: a proposito di Menone, 81c-d, Plato Journal 20, p.127-135a, p. 13-14 nota correttamente che lo schiavo dell’esperimento maieutico possiede solo “una generica ‘apertura’ sul dominio ontico oggetto dell’interrogazione socratica, ma soprattutto egli conosce e sa servirsi di alcuni operatori logici fondamentali”. Ciò, secondo Ferrari, suggerisce che la procedura anamnestica non abbia “a che fare con il richiamo di una conoscenza acquisita nel corso di un evento collocato nel passato dell’anima, ma mette in scena il processo di valorizzazione delle potenzialità cognitive della mente dello schiavo […].”. Il fatto che lo schiavo possieda e riattivi gli operatori logici che consentono di muoversi da un passaggio dimostrativo all’altro non elimina però la possibilità che l’anima abbia contemplato anche contenuti noetici di tipo morale: in Phd. 75d infatti Socrate afferma che la contemplazione delle realtà in sé da parte dell’anima prima di incarnarsi non riguarda solo l’uguale in sé, il maggiore o il minore (per citare alcuni degli operatori logici) ma vale anche per il bello in sé, il giusto in sé, il bene in sé e per le altre realtà in sé. A buon diritto Ferrari mette in luce che la reminiscenza costituisce la condizione che permette la valorizzazione delle potenzialità cognitive della mente dello schiavo ma ciò non esclude il fatto che la reminiscenza sia la condizione che spiega anche la presenza nell’anima , in forma latente ed embrionale, di contenuti noetici morali, logici, matematici e ontologici.
  • 23
    Così Bedu-Addo, 1984, p. 3, 9 e anche Chiesa, 2011CHIESA, C. (2011) La réfutation socratique et la méthode hypothétique. In: LONGO, A. (ed.), Argument from Hypothesis in Ancient Philosophy. Napoli, Bibliopolis , p. 75-93. , p. 89-92.
  • 24
    Per la precisione Socrate chiama hypothesis il legame virtù-bene (87d2-3). Ma, come nota ancora Bedu Addo, 1984BEDU-ADDO, J.D. (1984). Recollection and the argument from a hypothesis in Plato’s Meno’, Journal of Hellenic Studies 104, p. 1-14., p. 10 qui hypothesis può essere intesa nel senso dell’ipotesi migliore tra quelle generali e quindi essere letta come tesi sufficientemente adeguata per garantire la correttezza dell’argomento (cfr. Phd. 101d). In modo forse ancora più puntuale Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p. 151-153 e Trabattoni, 2011TRABATTONI, F. (ed.) (2011). Platone. Fedone. Torino, Einaudi . , p. 191 n. 195 conferiscono ad hypothesis il valore di “condizione esplicativa che viene assunta in rapporto ad un problema dato”. Cfr. in proposito anche Cellucci, 2012CELLUCCI, C. (2012). Dialogando con Platone, su conoscenza e metodo. In: CHIARADONNA, R. (ed.), Il platonismo e le scienze. Roma, Carocci , p. 45-64. , p. 52-56.
  • 25
    Come nota Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p. XXXVIII, p. 139 n.112 il fatto che qui il nesso bene-virtù sia accolto senza difficoltà non significa che esso non debba più essere analizzato, anzi poiché il legame tra la virtù e il bene è il cuore della sua etica, si tratta di una tesi su cui Platone ritorna a più riprese in altri dialoghi.
  • 26
    Ferrari, 2016FERRARI, F. (ed.) (2016). Platone. Menone . Milano, BUR. , p. 77 segnala che la critica (con la parziale eccezione di Bedu-Addo, 1984BEDU-ADDO, J.D. (1984). Recollection and the argument from a hypothesis in Plato’s Meno’, Journal of Hellenic Studies 104, p. 1-14., p. 13) non ha mai valorizzato il fatto che l’ipotesi che la virtù è bene rimane sempre confinata nello spazio della doxa alethes. È vero che ciò implica che essa debba venire legata dall’aitias logismos ma è altrettanto vero l’essere considerata una opinione indica che “la virtù è bene” sia una delle tracce che sono rimaste nell’anima dopo l’incarnazione, dal momento che questi ricordi rimangono nell’anima proprio nella forma di doxai. Ciò è una conferma ulteriore che, come l’esperimento maieutico, anche il ragionamento per ipotesi di 87d-89c presuppone ed è in continuità con la reminiscenza.
  • 27
    Per Scott, 2006SCOTT, D. (2006). Plato’s Meno. Cambridge, CUP. , p. 103-104 la reminiscenza non implica una dimensione metafisica ma rimane un esperimenti fittizio con lo scopo di illustrare come la nostra capacità di comprensione debba accendersi da sé perché quest’intuizione, questa capacità di seguire una prova non ci può essere instillata dal maestro. Contro la tesi secondo cui la reminiscenza risponde al paradosso di Menone cfr. Weiss, 2001WEISS, R. (2001), Virtue in the Cave. Moral Inquiry in Plato’s Meno. Oxford, Oxford University Press ., p. 63-76.
  • 28
    Preferisco (cfr. supra n. 16) la costruzione di 81c9-d1 offerta da Brisson proprio perché enfatizzando la syngeneia tra le strutture della natura e quelle dell’anima, evidenzia la dimensione metafisica e fondativa inscritta nella reminiscenza. Pur ritenendo che la reminiscenza abbia lo scopo di superare il paradosso di Menone, Fine, 2014FINE, G. (2014). The Possibility of Inquiry: Meno’s Paradox from Socrates to Sextus. Oxford, Oxford University Press . , p. 165-168 cerca di eliminarne la dimensione metafisica interpretando questa conoscenza prenatale unicamente come una sorta di disposizione alla verità di cui è dotata per natura la mente umana. Su posizioni simili cfr. Ferrari, 2020FERRARI, F. (2020b). Anamnesis e syngeneia: a proposito di Menone, 81c-d, Plato Journal 20, p.127-135a, p. 21-22.
  • 29
    Così Kahn, 2006KAHN, C. (2006). Plato on Recollection. In: BENSON, H. (ed.), A companion to Plato. Oxford, Blackwell, p. 119-132., p.130-132, ma tesi simili si trovano anche in Ionescu, 2007IONESCU, C. (2007). Plato’s Meno. An interpretation. Lanham, Rowman & Littlefield Publishers. , p. 60 e Szlezák, 2007SZLEZAK, Th. A. (2007). ‘ἅτε γὰρ τῆς φύσεως ἁπάσης συγγενοῦς οὔσης (Men. 81c9-d11). Die Implikationen der Verwandtschaft der gesamten Natur’, In: ERLER, M.; BRISSON, L. (eds.), Gorgias-Menon. Selected Papers from the Seventh Symposium Platonicum , Sankt Augustin, Academia Verlag , p. 333-344. , p. 342EL MURR, D. (2013), Desmos et logos: de l’opinion vrai à la connaissance (Ménon 97E-98A et Théétète 201C-210B). In : EL MURR, D. (éd.), La mesure du savoir. Études sur le Théétète de Platon. Paris, Vrin, p. 151-171. -343. Il fatto che l’anima in qualche modo sia fin dalla sua origine in contatto con la verità non implica, come sostengono Aronadio, 2002ARONADIO, F. (2002). Procedure e verità in Platone (Menone, Cratilo, Repubblica). Napoli, Bibliopolis., p. 237-244, Finck, 2007FINCK, F. (2007). Platons Begründung der Seele im absoluten Denken. Berlin-New York, de Gruyter. , p. 263-264 e, come già visto, El Murr, 2013, p. 168-171, che la syngeneia sia necessariamente anche lo stadio finale e noetico-intuitivo della conoscenza umana perché nel Menone questa condizione non si realizza mai. È invece più corretto riconoscere che la syngeneia è il pre-requisito necessario perché possa sensatamente svilupparsi la dialettica.
  • 30
    Cfr. in proposito Phd. 74d-75d. In questo brano Socrate dimostra che la fonte da cui apprendiamo la nozione dell’uguale in sé non può essere l’esperienza medesima. Per spiegare la nostra capacità di accorgerci che due oggetti, ad esempio due legni, per quanto uguali, non lo saranno mai perfettamente perché possono avere anche solo una piccola venatura di differenza, Platone ritiene che noi dobbiamo possedere in anticipo la nozione dell’uguale in sé altrimenti non potremmo dire che gli uguali concreti sono difettivi. Ora, come nota Trabattoni 2020TRABATTONI, F. (2020). La filosofia di Platone. Verità e ragione umana. Roma, Carocci . , 135, poiché la reminiscenza è introdotta come argomento per dimostrare che l’anima preesiste al corpo “la portata ontologica e metafisica di questo argomento, ossia il fatto che esso dimostri l’esistenza non di semplici contenuti di pensiero, ma di veri e propri oggetti diversi da quelli sensibili, è implicita nella sua stessa struttura”. Se le nozioni universali stimolate dell’esperienza come l’uguale e le altre realtà in sé fossero solo l’aspetto universale del nostro modo di conoscere, le forme logiche che astraiamo con l’occhio dell’intelletto dagli oggetti sensibili, l’argomento non dimostrerebbe e non richiederebbe nessuna preesistenza dell’anima al corpo e dunque sarebbe un argomento inutile. Da ciò Trabattoni ricava che la reminiscenza rende manifesta la necessità di ammettere “la necessaria esistenza di qualcosa che l’uomo nella sua condizione presente non vede in nessun modo; e che dunque, se è necessario che esista e sia conoscibile […], deve necessariamente esistere ed essere conosciuto in una dimensione diversa da quella sensibile”. Mi pare che in questo senso la reminiscenza svolga nel Fedone lo stesso ruolo che gioca nel Menone.
  • 31
    Sulla natura metamorfica dei procedimenti dialettici nella filosofia di Platone cfr. Dixaut, 2001DIXAUT, M. (2001). Métamorphoses de la dialectique dans les dialogues de Platon. Vrin, Paris. .
  • 32
    Si rimanda all’ottima ricostruzione e analisi di questo ragionamento per ipotesi offerta da Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p. 150-154.
  • 33
    Per una valida analisi del problema filologico che riguarda il sintagma aitias logismos rimando a Martinelli Tempesta, 2000, p. 3-18. Sul problema della traduzione del sintagma cfr. le valide ricostruzioni di Bonazzi, 2010BONAZZI, M. (ed.) (2010). Platone. Menone. Torino, Einaudi., p. 127 n. 104 e Petrucci, 2011PETRUCCI, F. (2011). Opinione corretta, conoscenza, virtù. Su Menone 96d1-98b9. Elenchos 32, p. 229-261. , p. 249-250 n. 46 i quali assegnano a logismos il significato generale di “ragionamento”.
  • 34
    Nella esegesi della cosiddetta dottrina del Sogno di Tht proposta in Maffi 2014MAFFI, E. (2014). Lo spazio della filosofia. Una lettura del ‘Teeteto’ di Platone. Napoli, Loffredo. , p. 249-259 si sostiene che la dialettica intero (holon)/parti (mere) possa essere applicata anche agli eide (Idee). L’eidos è un intero costituito dalla trame di relazioni e legami delle sue parti o attributi essenziali. Conoscere l’ousia di un eidos significa quindi coglierne le proprietà peculiari e la struttura che le collega. Quanto più il filosofo attua questa logismos tanto più la conoscenza dell’intero si realizza attraverso la conoscenza dei nessi tra la sue parti trasformando il sapere da doxastico ad epistemico. Questa conoscenza dei nessi che legano gli elementi dell’intero è necessaria per dimostrare che l’eidos di F è la causa della presenza di f negli enti sensibili. Prima ancora che nel Teeteto questa concezione della conoscenza umana è presente nel Menone, cfr. Scott, 2006SCOTT, D. (2006). Plato’s Meno. Cambridge, CUP. , p. 185.
  • 35
    Così opportunamente Petrucci, 2011PETRUCCI, F. (2011). Opinione corretta, conoscenza, virtù. Su Menone 96d1-98b9. Elenchos 32, p. 229-261. , p. 256. Di tenore simile anche le osservazioni di Brancacci, 2002BRANCACCI, A. (2002). La determinazione dell’eidos nel Menone. Wiener Studein 115, p. 59-78., p. 78 e n. 48 che suggerisce anche la felice resa di aitias logismos con “ragionamento che ridà la causa”.
  • 36
    Sul tipo di causalità esercitata dalle idee, tanto nei dialoghi giovanili quanto in quelli maturi, rimando a Fronterotta, 2007FRONTEROTTA, F. (2007).The development of Plato’s Theory of Ideas and the ‘Socratic Question.’ Oxford Studies in Ancient Philosophy 32, 2007, p. 37-62. , 49-56, Maffi, 2020MAFFI, E. (2020). Eἶδος, ἰδέα, παράδειγμα: osservazioni sulla natura del Santo in Eutifrone 6d-10e. Methexis XXXII, 2020, p. 1-25. , 10-21 e Trabattoni, 2020TRABATTONI, F. (2020). La filosofia di Platone. Verità e ragione umana. Roma, Carocci . , 129-134 e alla bibliografia in quelle sedi riportata. Per un’attenta analisi sull’azione causale delle Idee cfr. Bonelli, 2014BONELLI, M. (2014). Leggere il ‘Fedone’ di Platone. Roma, Carocci., p. 91-95 e Sedley, 1998SEDLEY, D. (1998). Platonic Causes. Phronesis 43, p. 114-132. , p. 121-127.
  • 37
    La virgola alle 85c11-d1 non è presente né nel testo dell’edizione oxoniense stabilito da Burnet nel 1903, né nell’autorevole edizione di Bluck,1961BLUCK, R.S. (ed.) (1961). Plato’s Meno. Cambridge, Cambridge University Press., la quale si fonda quasi esclusivamente sulla collazione dei manoscritti P, W e F. Sedley;Long, 2011SEDLEY, D.; LONG, A. (eds.) (2011), Plato. The ‘Meno’ and the ‘Phaedo’, Cambridge, CUP . , e Ebert 2018EBERT, T. (2018). Platon. ‘Menon’, übersetzt und Kommentar. Berlin-Boston, De Gruyter. traducono senza introdurre la virgola dopo “precisa”. La traduzione più adeguata di Men. 85c11-12 può essere la seguente: “[…] sappi che alla fine ne avrà una conoscenza non meno precisa [di quella] di chiunque altro”.
  • 38
    Scott, 2006SCOTT, D. (2006). Plato’s Meno. Cambridge, CUP. , p. 182-184.
  • 39
    Scott, 2006SCOTT, D. (2006). Plato’s Meno. Cambridge, CUP. , p. 184.
  • 40
    Per un’analisi dettagliata di quest’immagine usata in Teeteto 201a-c cfr. Trabattoni, 2016TRABATTONI, F. (2016). Essays on Plato’s Epistemology, Leuven, Leuven University Press. , 35-38.
  • 41
    Sulle ragioni per cui il logos dell’ousia non può equivalere sul piano della perfezione epistemica alla visione diretta delle Idee, cfr. Trabattoni, 2016TRABATTONI, F. (2016). Essays on Plato’s Epistemology, Leuven, Leuven University Press. , p. 20-30, 55-65.
  • 42
    Per quanto fondato possa essere il sapere del matematico, non è un sapere assoluto: egli non sa calcolare precisamente la diagonale del quadrato e non è in grado di stabilire con esattezza il valore del π e dunque non conosce quante volte il diametro è compreso nel perimetro della sua circonferenza di appartenenza. Quando il matematico contemplerà direttamente l’eidos del cerchio e del quadrato queste proprietà gli saranno note e quindi possiederà la scienza in modo assoluto.
  • 43
    Una soluzione di questo genere è stata proposta da Trabattoni per spiegare questa tensione nell’epistemologia platonica nel Fedone e nel Teeteto. Qui ho provato a mostrare che è possibile applicare questa soluzione al Menone.
  • 44
    Detto altrimenti: come uno schiavo, se porta a termine il processo di apprendimento, può divenire matematico, così un uomo, se apprenda seriamente la dialettica, può diventare filosofo. Ciò significa che Platone nel Menone inizia a descrivere alcune regioni del sapere filosofico non solo a livello formale ma anche a livello di contenuti: la virtù, ad esempio, è una conoscenza, una conoscenza del bene che è legato all’utile che si accompagna a ciò che procura benefici agli uomini nella loro dimensione comunitaria.
  • 45
    Non mi pare implausibile sostenere che il contatto diretto con l’oggetto della conoscenza in quanto garanzia di infallibilità del sapere costituisca anche la massima forma di stabilità raggiungibile dal soggetto conoscente che in questo modo si trova continuamente in presenza dell’eidos la cui ininterrotta visione certifica la massima forma di possesso stabile dei contenuti della conoscenza.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    05 June 2023
  • Date of issue
    2023

History

  • Received
    24 Nov 2022
  • Accepted
    04 Dec 2022
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