Acessibilidade / Reportar erro

Diagora di Melo e Teodoro di Cirene: due atei?

Diagoras of Melo and Theodore of Cyrene: two atheists?

Resumo:

Diagora e Teodoro sono due degli atei ricordati in vari cataloghi sugli atei dell’antichità, il primo dei quali risalente al II sec. a.C., e da allora in poi ricordati, dagli antichi fino ai giorni nostri, immancabilmente con la qualifica di atei. In effetti l’ateismo condannato ad Atene affondava le sue radici nella cultura filosofica e scientifica presocratica, la cui impronta fondamentalmente “materialistica” è autorevolmente testimoniata da Aristotele (Metafisica I 983b5-10). Le filosofie di Anassimandro, Anassimene, Senofane, Eraclito, Anassagora, Diogene di Apollonia, e naturalmente degli atomisti e dei sofisti offrirono, sia pure in maniere diverse, non solo un supporto importante alla critica delle divinità tradizionali, ma anche le fondamenta filosofiche dell’ateismo. Con questa tradizione Diagora non ha nulla a che vedere; anche alcune vicende della sua vita possono al massimo meritargli l’accusa di empio, ma non di ateo.

Di altra tempra culturale appare Teodoro, vicino non solo alla cultura della scuola cirenaica, ma anche dei cinici e dei sofisti. Di lui abbiamo non solo dei riferimenti a dottrine filosofiche, ma anche chiare testimonianze del suo ateismo, essendosi dedicato a «eliminare radicalmente le comuni credenze negli dèi». In conclusione, mentre il nome di Diagora può tranquillamente cancellarsi dai cataloghi degli atei, quello di Teodoro a buon diritto vi fa parte.

Parole chiave:
Diagora di Melo; Teodoro di Cirene; ateismo; presocratici

Abstract:

Diagoras and Theodorus are two of the atheists remembered in several catalogues of atheists in Antiquity, the first of which dates back to the 2nd century BC, and from then on invariably referred to by the ancients and to the present day as atheists. In fact, the atheism condemned in Athens had its roots in the pre-Socratic philosophical and scientific culture, whose fundamentally "materialistic" imprint is authoritatively testified to by Aristotle (Metaphysics I 983b5-10). The philosophies of Anaximander, Anaximenes, Xenophanes, Heraclitus, Anaxagoras, Diogenes of Apollonia, and of course the Atomists and Sophists offered, albeit in different ways, not only some important support for the critique of traditional divinities, but also for the philosophical foundations of atheism. Diagoras has nothing to do with this tradition; even some events in his life may at most merit the accusation of being impious, but not of being an atheist.

Theodore appears to be of a different cultural temperament, close not only to the culture of the Cyrenaic school, but also to that of the Cynics and the Sophists. We have not only references to his philosophical doctrines, but also clear evidence of his atheism, having dedicated himself to "radically eliminating common beliefs in the gods". In conclusion, while Diagora's name can safely be removed from the catalogues of atheists, Theodore's is rightly included.

Diagora of Melo; Theodore of Cyrene; Atheism; PreSocratics

1. Prolegomena

Diagora e Teodoro sono solo due dei filosofi che la tradizione ci ha tramandato con la qualifica di “atei”, insieme a molti altri, incluso Socrate.1 1 L’antichità ci ha tramandato diversi cataloghi di atei, il primo dei quali sembra essere stato quello di Clitomaco (187 ca.-110 a.C.), filosofo di origine cartaginese, poi giunto ad Atene e divenuto allievo dello scettico Carneade. Su questi cataloghi cfr. Winiarczyk (1976), Winiarczyk (1981b, p. 88 e n. 103.) In effetti non è facile definire cosa gli antichi, nel periodo tra V e prima metà del III secolo a.C., che è il periodo nel quale vissero e operarono i due autori che qui ci interessano, abbiano inteso per “ateismo”; il termine infatti conosce un gran numero di sfumature e può indicare indifferentemente l’agnostico, lo scettico, il panteista, il deista, il materialista puro, colui che non crede nelle reliquie: tutti, agli occhi del credente, sono più o meno atei. Atei, per gli autori cristiani, furono tutti i “pagani” politeisti dell’antichità,2 2 Ma atei venivano considerati anche i cristiani nell’impero romano: Clemente Flavio (m. 95 d.C.), console, che sposò Flavia Domitilla, nipote di Vespasiano, venne condannato per ateismo e giustiziato per la sua adesione al cristianesimo. ma spesso atei sono anche, per le religioni monoteistiche, i credenti in altri monoteismi.3 3 Cfr. Tamagnone, 2005, p. 72.

La religione greca non si basava su un complesso di dottrine rigidamente codificate e trasmesse, sia pure nel corso del tempo, ma fondamentalmente su una serie di miti riguardanti i vari dèi del pantheon greco. Allo scenario teocratico istauratosi in Mesopotamia, per esempio, resterà estraneo il mondo ellenico, che elabora la sua religiosità attribuendo caratteri divini al mondo naturale e dando luogo a una moltitudine di dèi antropomorfi.4 4 Tamagnone, 2005, p. 53. In effetti la Teogonia di Esiodo, all’alba dell’VIII secolo, è anche un tentativo di mettere ordine nella molteplicità dei miti cosmogonici ellenici, in quella miriade di entità divine che esprimevano ogni elemento del mondo, in una «complessa struttura narrativa dell’immanenza» (p. 54-58). Il politeismo ellenico si è presentato da subito come una religione ricca di elementi naturalistici, basata su di un pluralismo di divinità perfettamente integrate entro la totalità di una natura onnicomprensiva, esse stesse espressione di aspetti e forze di essa (Tamagnone, 2005, p. 91). Il mito in origine non è una teoria, ma un genere di vita, un modo di essere al mondo,5 5 Minois, 2003, p. 23-24. È solo quando poi il mito viene concettualizzato dalla ragione che si fa strada anche la possibilità del dubbio (p. 25). che viene tramandato ancora prevalentemente in una cultura fondamentalmente orale, che ha la sua origine nei poemi omerici. Essere religioso quindi non consisteva tanto nel credere in un sistema di dogmi, quanto nell’osservare un ritualismo cerimoniale, che poteva anche cambiare da città a città, e che il cittadino (indipendentemente dalle sue credenze) era tenuto ad osservare e praticare in determinate circostanze, pena l’incorrere nei rigori della legge.6 6 Cfr. Tamagnone, 2005, p. 60. La religione quindi era strettamente legata alla vita civile, e partecipare alle cerimonie era un atto di dovere cívico:7 7 La “religione greca” è da essere intesa principalmente come qualcosa di civico, legata alla vita della città: la religiosità si misurava nei termini di aderenza ai costumi della città: Giordano-Zecharya, 2005, p. 347-348. le accuse di ateismo erano rivolte quindi a persone che non solo professavano dottrine contrarie alla religione tradizionale, ma principalmente non aderivano al culto cívico.8 8 Cfr.Zeller-Mondofo, 1967a, p. 112 e la nota di Mondolfo, che sottolinea che il fatto caratteristico è che la persecuzione proveniva dall’autorità civile, non dal sacerdozio, e colpiva l’empietà individuale, p. 112-113. Il culto svolgeva infatti un ruolo decisivo per la coesione sociale.9 9 Cfr. Minois, 2003, p. 19. Cfr. anche Rudhart (1960): «La piété consiste pour le Grec dans une série de comportements qui intéressent les objets les plus disparates, les rites, les dieux ou les morts, aussi bien que la famille et la cité; tous ces comportements pourtant - et c'est leur vertu spécifique - procèdent d'un sentiment commun, fait de respect, de soumission et de confiance, et désigné par le verbe σέβειν. L'impiété (ἀσέβεια, δυσσέβεια) consiste dans une absence ou dans une altération de ce sentiment fondamental» (p.103). Cfr. p. 104-105: i sentimenti religiosi e i sentimenti politici erano in Grecia strettamente uniti; la critica teologica cade sotto i colpi della legge allorché mette in causa la relazione della città con gli dèi, questo è ciò che indica il verbo nomizein; la legislazione concerne le manifestazioni visibili dell’irreligione, come l’insegnamento.

Tutto questo rende complessa la definizione precisa dell’ateismo nella cultura greca nei primi secoli della civiltà classica, anche perché, come è stato notato, la discussione su questo tema spesso è stata influenzata, a volte anche inconsciamente, dalle visioni personali degli studiosi. (Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 61-62) Se accettiamo la definizione di uno degli studiosi più attenti di questo problema, Winiarczyk, che definisce l’ateismo «the negation of the existence of any tipe of deity or supernatural forces» (p.63),10 10 Winiarczyk, 2016,. Ma da questo punto di vista, è stato notato, l’ateismo non è solo e unicamente un atteggiamento di rifiuto, ma è anche un atteggiamento positivo, costruttivo e autonomo; contrariamente a quanto ha supposto la storiografia religiosa, l’ateo non è colui che non crede, egli è colui che crede non in dio ma nell’uomo e nella ragione: Minois, 2003, p. 31. La definizione infatti che questo studioso propone è: «L’ateismo, indipendentemente dalle religioni, può essere definito come un grandioso tentativo dell’uomo di trovare un senso alla propria esistenza, di autogiustificare la sua presenza nell’universo materiale, di costituirsi una posizione inespugnabile» (p, 12). La volontà di estirpare l’ateismo, nella società greca antica (ma forse non solo in essa) è prevalsa perché si è ritenuto che la mancanza di fede potesse dar luogo a comportamenti individuali e sociali diversi da quelli accettati. Questa è anche la convinzione che sottende ai processi per empietà che si svolsero ad Atene: nel 432 c’è il decreto di Diopite che prevedeva di procedere penalmente contro tutti coloro che non credessero negli dèi riconosciuti dalla polis. Questo clima di ostilità verso gli “atei”, o gli “empi”, si rafforzò al tempo della guerra del Peloponneso, dalla quale Atene uscì sconfitta e umiliata, e fu in questo clima, anche culturale, che si rafforzò l’idea che mettere in discussione gli dèi della città significava essere non solo empi, ma anche traditori: in questo legame tra religione e politica risiede una causa della repressione dell’ateismo (cfr. Minois, 2003, p. 41-44). Su questo clima sono sempre illuminanti le mirabili pagine che Tucidide vi ha dedicato nel secondo libro della sua opera. Derenne (1930) ha mostrato i motivi politici che hanno ispirato i processi d’empietà intentati ai filosofi di Atene, compreso Teofrasto, che pure godeva di ottima fama in Atene, ma fu accusato di empietà e dovette allontanarsi dalla città per un certo periodo per un decreto che stabiliva che nessun filosofo potesse essere a capo di una scuola, ma poi tornò perché il decreto fu ritirato per illegalità: D.L. V 37-38. Cfr. anche Rudhart, 1960, p. 87, p. 98-105, e, sul processo a Socrate, Giordano-Zecharya, 2005, p. 328 sgg.. Sul sottofondo politico dei processi, sullo sfondo in genere dello scontro tra i filomacedoni e i democratici, cfr. O’Sullivan, 1997, p. 147-148. allora dobbiamo datarlo non prima del 400 a.C., anche se fu preparato, da più di un secolo prima, dalla critica dell’antroporfismo e dell’immoralità degli dèi, che cominciò con Senofane nel VI secolo, poi dalla critica razionalista dei miti, con Ecateo di Mileto intorno al 500, per manifestarsi apertamente con le dottrine materialiste e meccaniciste di Democrito, e infine con le riflessioni dei sofisti, che inquadrarono la religione nell’ambito di ciò che è “per convenzione” e non “per natura.”11 11 Per il rapporto φύσις/νόμος nelle dottrine dei sofisti mi permetto di rimandare al mio vecchio lavoro Casertano (1971).

L’ateismo condannato ad Atene affondava dunque le sue radici nella cultura filosofica e scientifica presocratica.12 12 Ma anche la critica all’antromorfismo e all’immoralità degli dèi tradizionali era presente in intellettuali che non furono filosofi in senso stretto: vedi, per esempio, Ferecide di Siro (600/597 ca.-520), annoverato tra i Sette Sapienti (DK 7A2a); per lui i nomi di Zeus, Chtonia e Kronos non sono altro che nomi allegorici a indicare i tre elementi che sono all’origine di tutte le cose, il fuoco, la terra e il tempo (DK 7A9, B2). «Primo a scrivere sulla natura e sull’origine degli dèi» (7A1), la sua opera fu sfruttata dagli scrittori cristiani a supporto della loro critica all’immoralità degli dèi pagani: «Prima di chiunque altro descrisse la natura e l’origine degli dèi: la quale opera è provato che molto giova alla nostra religione, perché ha fatto sapere che tutti quelli che l’idolatra afferma essere dèi sono nati turpemente e nella vita si sono comportati ancora più turpemente e sono morti in maniera ancora più sconveniente» (da Aponio, esegeta latino del V-VI sec. d.C. = DK 7A5). Anche Teagene di Reggio (floruit 529-522) dice che non sono convenienti i miti che si narrano sugli dèi, e che la contrarietà che c’è tra gli elementi e la loro natura è detta allegoricamente, come se si trattasse di contrarietà tra gli dèi; e anche alle disposizioni di animo si danno i nomi degli dèi (DK 8A2). Cfr. anche Winiarczyk, 2016, p. 72-74. La cui impronta fondamentalmente “materialistica” è autorevolmente testimoniata da Aristotele:

La maggior parte di coloro che per la prima volta hanno filosofato ha pensato che i soli principi di tutte le cose fossero quelli di tipo materiale: ciò da cui infatti sono composti tutti gli enti, e da cui per primo si generano e in cui da ultimo si corrompono, permanendo come sostanza, ma mutando nelle affezioni, questo dicono essere elemento e questo principio degli enti, e per questo pensano che nulla si generi né si distrugga, ritenendo che tale natura sempre si conservi. (Aristotele, Metaph. I 983b5-10, trad. Berti. )

Converrà fare dunque un breve cenno a queste radici.

Già per i filosofi di Mileto le divinità perdono ogni ruolo sacro, con Anassimandro,13 13 «Neanche lui attribuì alcun ruolo alla mente divina nell’origine delle cose… i cieli infiniti sono dèi… Il movimento è eterno» (DK 12A17). Cfr. Gomperz (1967): “divina” gli appariva soltanto la materia dotata di ogni energia, senza principio né fine; divini anche, ma in quanto nati e perituri, come dèi di second’ordine, i singoli mondi e i cieli, con un’esistenza molto duratura, ma sempre temporanea (p. 87-88). Per Gomperz la materia, secondo tutti e tre gli Ionici, porta in se stessa la ragione del proprio movimento (p. 89). ed entrano a far parte del novero di tutte le cose che nascono dagli elementi che danno loro realtà naturale, con Anassimene.14 14 Per lui l’aria è il principio di tutte le cose, alle quali dà origine con i due processi di rarefazione e condensazione. Dall’aria nascono gli dèi e le cose divine, mentre le altre cose da ciò che è suo prodotto (DK 13A7). Non è l’aria ad esser fatta dagli dèi, ma gli dèi nascono dall’aria (DK 13A10). All’ambiente ionico è legato anche Ippone di Metaponto, o di Reggio, o di Samo (VI-V sec.), studioso di fisica e di biologia, il quale si meritò anche la qualifica di ateo (ἄθεος), perché sosteneva, con Talete, che il principio di tutte le cose è l’acqua (DK 38A4, A6, A8): fu detto ateo perché riteneva che non ci fosse niente oltre le realtà sensibili (DK 38A9). Ma la critica più famosa, nel VI-V secolo a.C., all’antropomorfismo delle divinità, accompagnata da una nuova visione della divinità, nonché da una visione relativista e progressista della cultura che l’uomo si costruisce nel tempo, è certamente quella del poeta-filosofo Senofane di Colofone.15 15 Per lui il dio è spazialmente esteso e si identifica con l’universo; la natura di dio è sferica e non ha nulla di simile all’uomo; è tutto mente e sapienza ed è eterno (DK 21A1). Dio è eterno e deve essere uno; è uguale in ogni sua parte ed è sferico, né si muove né è immobile (DK 21A28). Dio è il tutto ed è corpo: come potrebbe essere sferico se fosse incorporeo? (DK 21A28, A31, A34, A35, A36). Il cosmo è ingenerato, eterno e incorruttibile (21A37). Per la critica all’antropomorfismo si vedano i famosi frammenti DK 21B15-16; per l’immoralità degli dèi, che nasce da Omero ed Esiodo, si vedano DK 21B10, B12; per una cultura che l’uomo si costruisce nel tempo, e che è sempre relativa e migliorabile, si vedano DK 21B18, B34. Tra VI e prima metà del V secolo si collocano anche le riflessioni del filosofo naturalista chiamato l’Oscuro (DK 22A1.), Eraclito di Efeso. Per lui il tutto è limitato ed è un solo cosmo, che nasce dal fuoco e si risolve nel fuoco secondo periodi determinati, in eterno (DK 22A1, A10).

Quest’ordine universale (κόσμος), che è lo stesso per tutte le cose, non lo fece né un dio né un uomo, esso è sempre esistito, è e sarà sempre: è il fuoco sempre vivo, che si accende e si spegne secondo giusta misura (μέτρα). (DK 22B30)16 16 Per la critica alle pratiche religiose tradizionali si vedano DK 22B14: «Le iniziazioni ai misteri che sono in uso tra gli uomini sono empie»; DK 22B5: «Si purificano contaminandosi con altro sangue, come se uno, immersosi nel fango, si lavasse con il fango…. E si mettono a pregare siffatte immagini, come se uno si mettesse a chiacchierare con le mura delle case, ignorando chi sono gli dèi e gli eroi».

Per Empedocle di Agrigento (492-432), gli dèi sono nomi che si attribuiscono ai quattro elementi fondamentali (che egli chiama “radici”): Zeus è il fuoco, Era è l’aria, Adoneo la terra, Nesti l’acqua (DK 31A33, B6). Le quattro radici sono regolate dalle forze di Amicizia e Contesa, che presiedono alla loro mescolanza e disgregazione, che sono i movimenti che danno origine al nascere e al dissolversi di tutte le cose, compresi gli dèi, rimanendo solo esse immortali ed eterne:

da queste, infatti, quante cose furono, sono e saranno, germinarono: gli alberi, gli uomini e le donne, le belve, gli uccelli e i pesci che abitano nell’acqua, e gli dèi dalla lunga vita massimamente onorati. Sono queste dunque le cose che sono e passando le une attraverso le altre (δι’ἀλλήλων θέοντα) divengono varie di aspetto: tanto mescolandosi (διὰ κρῆσις) mutano. (DK 31B21)17 17 L’amicizia produce lo sfero, che è l’insieme armonico di tutte le cose, che egli chiama anche dio, che non ha nessun carattere antrropomorfo: «dal suo dorso non si slanciano due braccia, non ha piedi, non agili ginocchia, ma era sfero, ovunque identico a se stesso (DK 31B29, cfr. anche B31).

Una visione coerentemente razionalista, che escludeva ogni trascendenza, è sostenuta nel V secolo da Anassagora di Clazomene, uno degli intellettuali di spicco appartenenti al “circolo di Pericle”. Per lui tutto l’universo è composto dalla materia, costituita da “semi” qualitativamente diversi, ordinata e regolata da un “intelletto” (νοῦς) ad essa imanente.18 18 L’immanenza del νοῦς anassagoreo è testimoniata, anche se negativamente considerata, da Platone nel famoso passo del Fedone platonico, 97b8 sgg., nel quale Socrate dichiara la sua insoddisfazione per il naturalismo anassagoreo. Principi del tutto sono infatti l’intelletto e la materia (νοῦν καὶ ὕλην)… il sole, la luna e tutti gli astri sono pietre roventi… e non ci rendiamo conto del calore degli astri a causa della loro grande distanza dalla terra (DK 59A42). Anassagora, poiché affermava che gli astri non sono esseri viventi (DK 59A79), e il sole è una pietra infocata (μύδρον), mentre gli Ateniesi lo consideravano un dio, fu accusato di empietà (ἀσέβεια) da Cleone, ma per l’intervento di Pericle fu solo multato e mandato in esilio (DK 59A1, A19). Altri intellettuali di spicco del V e del IV secolo furono suoi discepoli o comunque influenzati dal suo pensiero. Tra di essi, ricordiamo almeno Archelao di Atene, o di Mileto, discepolo di Anassagora e maestro di Socrate,19 19 D.L. II 16 = DKA1: Diogene Laerzio afferma anche che Archelao fu il primo a trasportare la filosofia della natura dalla Ionia ad Atene. Per Porfirio, Histor. philos. fr. 12 Nauck2 p. 11, 23 = DK 60A3, fu anche amante di Socrate. per il quale gli astri non erano dèi, ma ammassi ferrosi roventi, (DK 60A15) e la specie umana è nata da un’evoluzione della materia originaria grazie ai due principi del caldo e del freddo;20 20 D.L. II 17 = DK 60A1, Hippol. Refut. I 9 = DK 60A4. Anche per Archelao il ruolo fondamentale nel divenire delle cose era dovuto al νοῦς (DK 60A18), mentre valori morali o estetici erano stabiliti οὐ φύσει ἀλλὰ νόμωι (Suid. s.v.= DK 60A2). Diogene, nato adApollonia, una città dell’isola di Creta, che fu influenzato da Anassimene e da Anassagora (Simpl. In Ph. 25,1), e fu uno degli uomini più in vista dell’età di Pericle: per lui religioni e miti sono mere allegorie, la natura del tutto è aria, infinita, eterna, da cui tutto si produce21 21 Simplicio in DK 64A5. DK 64B5: «Mi sembra che sia dotato d’intelligenza (νόησις) quel che gli uomini chiamano aria, che tutti siano da essa governati e che tutto essa domini. Questo mi sembra che sia dio e giunga dovunque e tutto disponga e in tutto sia (ἐν παντὶ ἐνεῖναι)». ; Metrodoro di Lampsaco, seguace di Anassagora, che sostenne che

né Atena, né Zeus sono ciò che ritengono coloro che hanno dedicato in loro onore recinti e luoghi sacri, ma sono ipostasi della natura e ordinamento degli elementi (φύσεως ὑποστάσεις καὶ στοιχείων διακοσμήσεις.)22 22 DK 61A3. Metrodoro dette anche un’interpretazione allegorica degli dèi e dei loro nomi, per esempio Demetra è il fegato, Dioniso la milza, Apollo la bile (DK 61A4). Netta la condanna di Platone, in Repubblica II 378d-e, del metodo allegorico nell’interpretazione dei miti: tutte le favole sugli dèi e le battaglie fra loro «non si devono ammettere nella città, abbiano o non abbiano queste invenzioni carattere di allegoria (ἐν ὑπονοίαις: ὑπόνοια, congettura, sospetto, significato profondo, senso allegorico; ὑπόνοια è hapax in Platone). Il giovane non è in grado di giudicare ciò che è allegorico e ciò che non lo è: tutte le impressioni che riceve a quell’età divengono in genere incancellabili e immutabili».

Ma il supporto filosofico più importante all’ateismo, nel periodo che stiamo considerando, fu dato certamente dal pensiero degli atomisti e dalle riflessioni dei sofisti. Per i primi, Leucippo di Mileto (V sec.)23 23 Secondo alttri di Elea o di Abdera, D.L. lo considera allievo di Zenone: D.L. IX 30 = DK 67A1. e il suo allievo Democrito di Abdera (460-360 ca.),24 24 Non considero differenti le dottrine del primo da quelle del secondo, come fa qualche studioso oggi, per esempio Tamagnone, 2005), p. 144 sgg.. il cosmo non è retto né da qualcosa di animato né dalla provvidenza, ma è costituito da atomi (DK 67A22)25 25 Cfr. DK 68A39: l’universo è infinito e non prodotto dall’opera di alcun artefice. che si muovono nel vuoto secondo una legge necessaria e razionale: Leucippo: «Nulla avviene senza motivo (μάτην), ma tutto con ragione e necessariamente (ἐκ λόγου καὶ ὑπ’ἀνάγκης).» (DK 67B2) Democrito: «Nulla accade per caso (τύχη), ma vi è una causa determinata (αἴτιον ὡρισμένον) per tutto ciò che si dice solitamente prodotto spontaneamente o per caso.» (DK 68A68) Per quanto riguarda l’origine della religione, abbiamo un’importante testimonianza di Sesto Empirico, che tra l’altro suggerisce che su questo argomento le tesi di Democrito fossero condivise anche da altri:

Democrito appartiene a quelli che suppongono che noi siamo arrivati a concepire gli dèi in seguito ai fenomeni sorprendenti che si producono nell’universo; … egli dice che gli uomini primitivi, nell’osservare i fenomeni celesti, come tuoni, lampi e fulmini e aggregati di stelle ed eclissi di sole e di luna, furono presi da terrore e credettero che ne fossero causa gli dèi. (DK 68A75)

C’è anche un’altra causa della credenza degli dèi, e si può individuare nell’esistenza delle immagini, dei simulacri (εἴδωλα), che gli uomini a volte percepiscono, ritenendone alcuni di buon, altri di cattivo presagio, e perciò gli antichi ritennero che essi rappresentassero gli dèi. (DK 68B166) Gli dèi, e la vita ultraterrena, inoltre, sono anche fonti di vane speranze e di vani timori.26 26 «Gli uomini tentano di guadagnare la salute dagli dèi, senza sapere di possedere in se stessi tale potere» (DK 68B234). «Non pochi uomini, che non hanno idea della dissoluzione a cui è soggetta la natura mortale, ma che hanno coscienza del loro male operare nella vita, sono agitati per tutta la durata della loro esistenza tra le angosce e le paure, poiché si foggiano nella loro mente favole menzognere (ψεύδεα μυθοπλαστέοντες) intorno al tempo dopo la morte» (DK 68B297).

Con i maggiori sofisti del V secolo si porta a compimento quel processo di desacralizzazione della religione che, come abbiamo visto, era cominciato almeno un secolo prima. Ma non si può non citare, per questo stesso periodo, la lucida testimonianza di Tucidide su quello che potremmo chiamare un “ateismo pratico”, cioè una sfiducia nell’esistenza degli dèi e nel loro intervento nelle vicende umane, specialmente in occasione di grandi eventi tragici, come appunto la peste di Atene. Durante la peste, ci racconta Tucidide, ognuno osava quello che prima si guardava dal fare per il proprio piacere, perché vedevano i rapidi mutamenti per cui coloro che erano felici morivano improvvisamente e coloro che prima non possedevano nulla avevano poi le ricchezze degli altri.

Nessun timore degli dèi o legge degli uomini li tratteneva, ché da un lato consideravano indifferente esser religiosi o no, dato che tutti senza distinzione morivano, e dall’altro lato perché nessuno si aspettava di vivere fino a dover render conto dei suoi misfatti e pagarne il fio; essi consideravano piuttosto che una pena molto più grande era già stata sentenziata ai loro danni e pendeva sulle loro teste, per cui era naturale godere qualcosa della vita prima che tale punizione piombasse su di loro (Th. II 53).

Ancora più chiaro è il biasimo di Tucidide per ogni forma di superstizione, di ricorso agli oracoli, dell’uso della religione per fini politici e di potenza da parte dei più forti.27 27 Classico esempio, il famoso discorso degli Ateniesi ai Meli in V 103. Per la sua critica alla superstizione, qualche esempio in II 54: durante la peste, si sottolinea l’ambiguità dei vaticini e del loro essere variamente manipolati dagli uomini a seconda delle circostanze; II 21: essendo giunta la spedizione peloponnesiaca nelle vicinanze di Atene, gli indovini ateniesi emettevano responsi di ogni genere, che ciascuno interpretava secondo il suo desiderio; VII 50: biasima la superstiziosità di Nicia, «che era anche troppo incline alla superstizione (ἄγαν θειασμῴ)», e che si lascia sgomentare da un normale fenomeno naturale, quale un’eclissi lunare, scambiandola per un segno divino; II 47: totale inutilità delle suppliche nei templi e del ricorso ad oracoli durante la peste di Atene; I 126-128: accuse di sacrilegio e impurità che Ateniesi e Spartani si scambiano: (e quindi) religione come instrumentum regni che le città maneggiano a fini di politica e di potenza. Per questo qualche studioso ha proclamato l’ateismo di Tucidide: Zeppi, 2003, p.116: « Non c’è dubbio che ateo … è Tucidide nei confronti del politeismo tradizionale, fondato sul mitico e sul prodigioso».

Abbiamo un importante frammento di Protagora sugli dèi, che possiamo con certezza ritenere autentico, perché citato quasi con le stesse parole, da Diogene Laerzio,28 28 D.L. IX 51 = DK 80A1. Diogene aggiunge che per il suo scritto Sugli dèi Protagora fu cacciato dagli Ateniesi e i suoi scritti furono bruciati sulla piazza. Filostrato29 29 Philostr. VS. I 10. 2: Protagora è fra quelli «che sovvertono la pubblica credenza nel divino». Sesto Empirico:30 30 Sext. M. IX 55-56 = DK 80A12. Sesto accomuna esplicitamente Protagora ad altri atei, come Diagora, Evemero, Prodico, Crizia, Teodoro l’ateo.

Riguardo agli dèi non posso sapere con certezza (οὐκ ἔχω εἰδέναι) né che esistano né che non esistano, né che natura abbiano; molte cose infatti ci impediscono di saperlo: l’oscurità (ἀδηλότης) dell’argomento e la brevità della vita umana. (DK 80B4)

Alcuni studiosi,31 31 P.e. Tamagnone, 2005, 130-131. Ma già Gomperz, 1964, p. 266-267, aveva affermato che il fr.4 non metteva in discussione la credenza negli dèi, ma la possibilità di averne una conoscenza razionale. Non mi sembra però che la sua affermazione sia corretta, dal momento che l’ἀδηλότης (da ἄδηλος) non indica una conoscenza razionale bensì qualcosa che non è evidente ai sensi. ostili o meno che siano all’idea di ammettere che importanti filosofi possano essere atei, hanno sostenuto che Protagora non può essere dichiarato ateo, ma agnostico. Non mi pare che sia così, non solo per la coerenza del suo ateismo all’impostazione relativistica della sua filosofia, ma anche perché sia la sua vicenda personale, culminata con l’espulsione da Atene, sia tutte le testimonianze antiche intesero il fr.4 come una chiara, anche se parzialmente coperta, dichiarazione di ateismo. Lo dice esplicitamente, per esempio, l’epicureo Diogene di Enoanda:

Sostenne la stessa opinione di Diagora, sia pure con espressioni differenti: asserendo di non sapere se gli dèi esistono equivale a dire di sapere che non esistono. (DK 80A23)

Con Prodico di Ceo abbiamo, insieme a quella di Democrito, una chiara eziologia antropologica del fenomeno religioso.32 32 Sulle origini dell’ateismo e l’eziologia delle credenze religiose cfr. Barnes, 1979, II, p. 149-159. Sostiene infatti che siano stati considerati come dèi le realtà che nutrono e giovano, e poi coloro che inventarono modi di nutrirsi o ripari o altre arti, e inoltre coloro dai quali fu scoperto qualcosa di molto utile alla vita civile, e che queste stesse cose utili e vantaggiose sono state chiamate con nomi di dèi.

Il sole, la luna, i fiumi, le sorgenti, e in genere tutte le cose utili alla nostra vita gli antichi le considerarono dèi per il vantaggio che se ne trae, come fecero gli Egizi con il Nilo. (DK 84B5)

Prodico ricollega tutti i sacrifici fatti dall’uomo e i misteri e le iniziazioni ai frutti dell’agricoltura, convinto che anche il concetto degli dèi, e ogni forma di culto, siano provenuti di lì agli uomini. (Temistio in DK 84B5.) Una negazione degli dèi, o almeno una loro indifferenza nei confronti degli uomini, è sostenuta anche da Trasimaco:

Scrisse in un suo discorso che gli dèi non guardano ai casi umani, infatti non avrebbero trascurato il più importante dei beni umani, la giustizia; vediamo infatti che gli uomini non la praticano. (Hermias in Phdr. p. 23 = DK 85B8.)

La stessa concezione dell’origine della religione come puramente umana, e dovuta a fattori etico-politici, è in Crizia, annoverato da Sesto Empirico nel gruppo degli atei (Sext. IX 54, in DK 88B25), in quanto affermò che gli antichi legislatori inventarono il divino come un supervisore delle buone azioni e degli errori degli uomini, in modo che nessuno arrecasse ingiustizia al prossimo di nascosto, per timore della punizione degli dèi. In un lungo frammento tratto dal suo dramma satiresco Sisifo, leggiamo:

Giacché le leggi distoglievano gli uomini dal compiere aperte violenze, ma di nascosto le compivano, allora, suppongo, un qualche uomo ingegnoso e saggio di mente (σοφὸς γνόμην) inventò per gli uomini il timore degli dèi, perché i malvagi avessero timore, pur agendo o parlando o pensando di nascosto. Allora la divinità fu introdotta come demone… Facendo queste affermazioni svolgeva il più dolce degli insegnamenti coprendo la verità con un finto racconto (ψευδεῖ καλύψας τὴν ἀλήθειαν λόγωι). Asseriva che gli dèi abitano là dove, dicendolo, più avrebbero spaventato gli uomini, poiché di lì provengono paure ai mortali e vantaggi per la loro misera vita, dall’alta sfera… Tali paure egli presentò agli uomini e costruì bene con la parola il divino e lo pose in un luogo acconcio, e con le leggi spense la illegalità… Per questa via in principio qualcuno indusse i mortali a credere che vi sia una stirpe di dèi. (DK 88B25)33 33 Aezio 17, 2, nello stesso luogo, ritiene che il frammento sia non di Crizia. ma di Euripide e che questi, per non rivelarsi apertamente, portò in scena Sisifo come sostenitore di questa opinione. Euripide (485-406), era stato discepolo di Anassagora (DK 59A20a). Nel Bellerofonte (tragedia perduta, su cui Curnis (2003)) si dice: «Qualcuno forse dice che vi siano déi in cielo? No, non ce ne sono; chi ci crede non è altro che uno sciocco che si lascia ingannare guidato da una vecchia favola fasulla». Analogamente nel Phrixos A (Eur. F 912b Kovacs) e B (F 820 Kannicht), dove si parla di uomini che dicono che gli dèi non esistono. In effetti nel teatro euripideo non mancano proclamazioni tutt’altro che episodiche sull’inconoscibilità dell’essenza divina: «Niente delle cose divine è chiaro agli uomini» (Eracle 62); «Come cambia colore e sfugge sempre ad ogni congettura il dio!» (Elena 71); «Zeus, chiunque sia Zeus, poi che non altro se ne conosce che il nome» (fr.480); «Chiunque pretende di possedere scienza del divino, niente di più sa che persuadere parlando» (fr. 793). Zeppi, 2003, p. 86, così commenta: «Disorientamento di chi assiste allo sconcertante spettacolo di inconciliabili vedute che si contendono il monopolio della verità intorno al divino».

In effetti l’acuto legislatore immaginato da Crizia è erede di una lunga tradizione in Grecia, anche nella sua conclusione.34 34 Vedi Mondolfo, 1958, p. 89-92. Per esempio già in Esiodo, Opere e giorni 248-273, gli immortali osservano quanti non curano il timore degli dèi: Zeus ha mandato trentamila immortali che osservano le opere degli uomini e si aggirano su tutta la terra. L’occhio di Zeus tutto scorge e tutto comprende e a lui non sfugge nulla. Né è possibile individuare per Crizia un solido sottofondo filosofico alle sue teorie.35 35 Già nell’antichità Crizia non era giudicato un filosofo importante: «Prendeva parte anche alle discussioni filosofiche, ed era considerato profano tra i filosofi e filosofo tra i profani» (Schol. ad Plat. Tim. 20 = DK 88A3). «Molti dei più importanti elementi da cui risulta la teoria di Crizia si possono considerare, piuttosto che dottrine di pensatori isolati, opinioni diffuse tra le persone colte dell’ambiante in cui egli viveva»: Levi, 1966, p. 37. Anche per Barnes, 1979, II p. 149-150, Crizia non fu un filosofo né un sofista alla maniera di Protagora o di Gorgia; il discorso di Sisifo è di una commedia, e non necessariamente la visione espressa coincide con quella dell’autore. Abbiamo visto (nota 53) che il frammento 25 è stato negato a Crizia e attribuito ad Euripide,36 36 Per esempio da Dihle (1977), che nega anche che Crizia fu un ateo, dal momento che nessun altro suo frammento lo conferma. ed anche il suo ateismo è stato messo in discussione.37 37 Sutton, 1981, p.34-36, sottolinea che noi conosciamo il frammento di Crizia solo perché fu citato sempre come esempio per eccellenza del pensiero ateistico, ma niente nella biografia di Crizia suggerisce il suo ateismo, che fu caratterizzato tale solo da scrittori tardi, mentre nessun suo contemporaneo lo fu, nemmeno Senofonte che non lo sopportava (e inoltre Crizia non fu perseguitato per il suo ateismo, ma fu ucciso dai restauratori della democrazia, alla caduta del governo sanguinario dei Trenta Tiranni: cfr. Philostr. V. soph. I 16 = DK 88A1, che lo definisce «il più malvagio di tutti gli uomini che sono famosi per malvagità»), e aveva detto (Mem. I 2, 12 sgg = DK 88A4) che «di tutti gli oligarchici era il più rapace e violento e sanguinario». Senofonte accusa anche Crizia di essersi unito alla compagnia di Socrate «only to promote his own esteem in the public eye and of never having been Socrate’s earnest student»: così Nails, 2002, p. 109 (la nota su Crizia è alle p. 108-111; sul governo dei Trenta nel 404-403 p. 111-113; sul periodo immediatamente seguente la caduta dei Trenta p. 219-222). Recentemente la Santoro ha sostenuto che il tono del discorso atestico di Crizia, apparentemente ben costruito, non è serio, posto com’è sulle labbra di un personaggio bugiardo.38 38 Santoro, 1994, p. 424. «La ragione del fraintendimento dell’opera criziana è da ricercarsi nell’immagine che il tirranno lasciò di sé e dovette dunque sorgere dopo la sua morte. Allora, come io suppongo, dovette diffondersi la credenza che un uomo spietato come il capo dei Trenta non si sarebbe potuto macchiare di delitti tanto atroci se avesse nutrito un sentimento religioso e avesse temuto una punizione divina» (p. 427). La studiosa offre anche una bibliografia pro e contro l’ateismo di Crizia (n. 5 p. 420-421). Sisifo loda l’uomo che inventò gli dèi come “assennato e sapiente”, ma

essere elogiato da un personaggio tutt’altro che lodevole, e dunque non attendibile nei suoi giudizi, è già di per sé un elemento che tende piuttosto a gettare discredito sul presunto introduttore del θεῖον nella vita umana, e non certo a palesare l’ammirazione del poeta; e tutto il contesto del discorso ha un intento paródico. (Santoro, 1994SANTORO, M. (1994). Sisifo e il presunto ateismo di Crizia. Orpheus 15, n. 2, p. 419-429., p. 424-425)

La studiosa pensa quindi che il dubbio dovrebbe accompagnare l’interpretazione del frammento, almeno fino a quando non si scoprano ulteriori elementi che provino che Crizia sia stato un pensatore serio ed originale di una teoria ateistica sistemática. (p. 429.) Per parte mia, pur condividendo molte affermazioni della Santoro, noto che comunque non è improbabile che Crizia, uomo certamente di cultura anche se non originale, abbia potuto condividere un atteggiamento ateo in un’atmosfera culturale che lo proclamava apertamente.

2. Diagora

Veniamo a Diagora di Melo. Abbiamo poche notizie sulla sua vita e quasi nulla per ricostruire il suo pensiero; tradizionalmente viene considerato il primo ateo, ma, come vedremo, questa notizia non ha alcun fondamento sicuro. Fu incluso nei cataloghi degli atei, redatti per lo più sotto l’impero romano e che si rifacevano ad una lista di atei redatta da Clitomaco di Cartagine, scolarca dell’Accademia platonica negli anni 127/126-110/109.39 39 Cfr. Winiarczyk, 1976 , p. 32-46, e Winiarczyk, 2016, p. 128-129. Le fonti relative a Diagora sono raccolte da Lana (1950LANA, I. (1950). Diagora di Melo. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 1950, p. 161-205.) e da Winiarczyk (1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.a), e sono costituite fondamentalmente da aneddoti riguardanti la sua vita, senza nessun riferimento alle sue dottrrine, che probabilmente nemmeno ebbe. Visse nel V secolo, incerte le date della sua nascita e della sua morte. Sappiamo che fu un poeta lirico con forte ispirazione religiosa,40 40 Ma poco si può dire della sua attività di poeta melico, noto soprattutto per i suoi encomi, citati solitamente per provare la religiosità del suo autore: cfr. Lana, 1950, p. 81. secondo una testimonianza di Aristosseno di Taranto, aristotelico del IV secolo;41 41 Cfr. Winiarczyk, 2016, p. 24. Diagora divenne poi ateo, sembra perché risultò vittima di un’ingiustizia non punita, e quindi perse la fede negli dèi e nella provvidenza.42 42 Cfr. Gomperz, 1964, p.199-200 e n.1; Minois, 2003, p.44. L’incapacità degli dèi a punire i misfatti degli uomini era uno degli argomenti contro la loro esistenza, ed è anche l’argomento centrale dell’attore ateo nel Bellerofonte di Euripide (cfr. Whitmarsh, 2016, p. 184).

Anche la ricostruzione della vita di Diagora è abbastanza ipotetica.43 43 Cfr. Winiarczyk, 2016, p. 43.59. È sintomatico che in questo libro su Diagora, il più attento e completo, credo, a tutt’oggi, l’Autore afferma che molto di ciò in esso è detto è puramente ipotetico (p. VII). Innanzi tutto si può affermare che non è vera la tradizione che lo fa allievo di Democrito.44 44 Cfr. Zeller-Mondofo, 1969, p. 518. Nato nella prima metà del V secolo, divenne un poeta itinerante e compose ditirambi, encomi, peana; arrivò ad Atene probabilmente nel 430, dove criticò i misteri eleusini e si fece la fama di ateo. Negli anni dal 425 al 418 fu a Mantinea, dove divenne amico dell’atleta Nicodoro, che aveva istituito una costituzione democratica, che Diagora celebrò nel suo Μαντινέων ἐγκώμιον45 45 Aristotele riferisce (Pol. 1306a31-35) che contribuì ad abbattere l’oligarchia dei cavalieri, e collaborò con Nicodoro a dare una costituzione a Mantinea (pp.74-75). Cfr. Lana, 1950, p. 74-75. . Ad Atene fu conosciuto principalmente per le sue critiche ai misteri eleusini. Espulso dalla città nel 415/446 46 Per Romer, 1996, p. 396-398, «It is also not possible to state with precision exactly when Diagoras was expelled from Athens». dopo la mutilazione delle erme e la parodia dei misteri eleusini, per i quali fu accusato anche lui, e in pericolo per l’accusa di empietà, si recò a Pellene, città ostile ad Atene. Atene lo condannò per empietà in absentia, e offrì un talento per la sua uccisione e due talenti per la sua cattura,47 47 Questo episodio è accennato da Aristofane, Uccelli, vv.1071-1075: « Chi di voi uccide Diagora di Melo, guadagna un talento; un talento guadagna anche chi elimina uno dei tiranni… già morti». Cfr. Romer, 1996, p. 395: «obvious comic absurdity (tyrants having been dead for decades)». In effetti la tirannia aveva avuto termine alla fine del secolo VI, quando Armodio e Aristogitone uccisero Ipparco, tiranno fratello del tiranno Ippia. Cfr. anche Lintott, 1982, p. 52 sgg. ma Pellene respinse la richiesta ateniese di estradarlo. Probabilmente morì lì prima della fine del V secolo.

Nelle Nuvole di Aristofane, , è stato visto un altro accenno all’ateismo di Diagora, nel dialogo tra Strepsiade e Fidippide:

Tu prima hai giurato per Zeus, no? - Certo. - Vedi allora studiare quant’è bello? Non esiste Zeus, caro Fidippide! - E allora chi? - Il re è Vortice (Δῖνος)48 48 Questa parola è stata forse all’origine della leggenda che voleva Diagora allievo di Democrito. , che ha cacciato Zeus. -… E chi lo dice? - Socrate di Melo. (Ar. Nu. vv. 826-831)

“Definire Socrate “di Melo” significa avallare con la stessa forza del lapsus il legittimo sospetto di ateismo di cui è passibile l’autore di una così stravagante teologia.”49 49 Così Grilli, 2002, n. 206, p. 198. Cfr. Janko, 2003, p. 16: le Nuvole di Aristofane mostrano che Socrate sosteneva le opinioni di Diagora: anche se questo non è vero, la gente certamente lo credeva, come mostra anche l’accusa a Socrate di Policrate. Altri aneddoti sulla sua vita: una volta gettò una statua lignea di Eracle nel fuoco;50 50 Aneddoto inventato nel periodo ellenistico secondo Winiarczyk, 2016, p. 98-101. durante una tempesta in mare gli occupanti della nave volevano gettare Diagora a mare, perché un ateo procurava tutti quei pericoli alla nave, e Diagora chiese allora ironicamente se anche in altre navi affondate ci fosse stato un altro Diagora; (Cic. Nat. D. III 89) in un famoso santuario dell’isola di Samotracia gli furono mostrate le offerte votive di persone salvate dagli dèi da tempeste violente, e Diagora rispose che ce ne sarebbero state molte di più se ci fossero state anche quelle di coloro che perirono in quelle tempeste. (D.L. VI 59, Cic. Nat. D. III 89) Ad Atene profanò i misteri di Eleusi, sia a parole, sia con i fatti, cercando di impedire che gli Ateniesi vi si facessero iniziare, (Suida s.v. Diagora; Athenag., suppl. pro Christ. 4, 1.) e questa è forse l’unica notizia certa che abbiamo su di lui.51 51 Lana, 1950, p. 78-79: per aver schernito i misteri di Eleusi, col procedere dei secoli, fu ritenuto schernitore di tutte le divinità. Cfr. anche Winiarczyk, 2016, p. 130; Woodbury, 1965, p. 208-209.

Diagora fu ritenuto autore di due opere in prosa, gli Ἀποπυργίζοντες λόγοι, e i Φρύγιοι λόγοι, dei quali non è possibie ricostruire il contenuto, ma che è probabile fossero due scritti ateistici. I dubbi sul primo di questi due libri,52 52 Dubita dell’attribuzione del libro a Diagora Woodbury, 1965, p. 203, 205-207. Per questo studioso l’ateismo di Diagora, anche se noto e tramandato, è elusivo e indefinito e Diagora non fu certamente un pensatore con una filosofia. anche da chi è convinto che l’ateismo inizi con Diagora, così come la filosofia inizia con Talete,53 53 Cfr. Fahr, 1969, p. 91. riguardano proprio il contenuto; in effetti non possiamo sapere se vi fossero realmente dei radicali argomenti contro l’esistenza degli dèi. (Fahr, 1969FAHR, W. (1969). ΘΕΟΥΣ ΝΟΜΙΖΕΙΝ. Zum Problem der Anfänge des Atheismus bei den Griechen. Hildesheim-New York, Olms., p. 91.) Ma già il titolo stesso è ambiguo, e può essere interpretato in modi diversi, se non opposti. Ἀποπυργίζω infatti (da πύργος = torre) è un hapax legomenon, dal significato dubbio, potendosi intendere sia come “che distrugge le torri (degli dèi)” o “gettar giù gli dèi dalle loro torri”, sia come “difendere con torri.”54 54 Cfr. Woodbury, 1965, p. 204; Winiarczyk, 2016, p. 80-81. Cfr. anche Whitmarsh, 2016, p. 183: «It seems prima facie plausible, then, that Diagoras' arguments (ἀποπυργίζοντες λόγοι) were intended, metaphorically, to destroy city fortifications by a kind of intellectual siege». Per Winiarczyk non c’è nessuna informazione plausibile sul contenuto del libro, ed è anche possibile che il libro fosse falsamente attribuito a Diagora; probabilmente l’autore era un sofista e scelse il nome di Diagora per pubblicare la sua opera ateistica nella prima metà del IV secolo. (2016, p. 82-86)

Lo stesso discorso si può fare per Φρύγιοι λόγοι, Discorsi frigi. Per Winiarczyk l’opera fu scritta nell’età ellenistica, non prima del III secolo; scritto nel periodo ellenistico, sembra dubbio anche che fosse una critica dei misteri di Cibele; appartiene alla letteratura evemeristica e l’attribuzione a Diagora è una conseguenza della falsa tradizione di un Diagora allievo di Democrito e ateo. (Winiarczyk, 2016, p. 89-98) Priva di fondamento è infine l’attribuzione a Diagora del Papiro di Derveni.55 55 Ha sostenuto questa tesi Janko, 2001, p. 2 e passim, per il quale Diagora, non fu un ateo in senso moderno, ma un sofista come Crizia e Prodico. Un ampio commento delle tesi di questo studioso in Winiarczyk, 2016, p. 118 sgg.

In conclusione, credo che si possa escludere Diagora dall’elenco degli antichi atei. Fu probabilmente legato alla corrente democratica; un poeta abbastanza tradizionale e dalla religiosità convenzionale,56 56 Woodbury, 1965, p. 179,184. L’autore inizia il suo articolo con queste parole: «A small poet, a great name, a doubtful date». Poi la tradizione lo indicò senz’altro come “Diagora l’ateo”, e ci chiede «to believe in a poet of traditional piety who turns to prose to write a book in which he rehearses arguments borrowed from the philosophicl schools and designed to disprove the existence of goods» (p. 198). anche se l’aneddoto della nave e quello degli ex voto degli scampati alla tempesta a Salamina rivelano una certa dose di sagacia sarcastica, ma della sua opera di poeta non ci rimane quasi nulla; fu un empio, stando alle testimonianze antiche, e questo bastava per essere accusato e bandito da Atene, dal momento che l’empietà57 57 Fahr, 1969, p.180-184, ci offre un catalogo dei cosiddetti atei e dei processi per asebeia. era spesso assimilata all’ateismo ed era motivo sufficiente per un decreto di espulsione.58 58 Hordern, 2001, p. 34, esclude che una visione ateistica possa essere attribuita a Diagora. Anche se l’empietà (ἀσέβεια), che indica il profanare, il commettere atti sacrileghi (e questo è molto probabilmente il caso di Diagora), è cosa ben diversa dall’ateismo (ἀθεότης), che comporta una globale visione del mondo e del posto dell’uomo in esso, i due termini, avendo molti significati e non essendo definiti con precisione, venivano indifferentemente usati spesso per discreditare persone, e spesso per motivi politici o morali.59 59 Cfr. Winiarczyk, 2016, p. VIII. E questo per un’antichissima credenza (durata millenni) che una persona moralmente discutibile debba per forza non credere negli dèi, e quindi essere atea.60 60 Cfr supra le note 8, 9 e 11. Singolare il giudizio di Clemente Alessandrino (in DK 38A8), che difende Diagora e altri personaggi dall’accusa di ateismo proprio in base alla loro condotta di vita: «Mi viene da meravigliarmi come mai abbiano chiamati atei Evemero di Agrigento, Nicanore di Cipro e Ippone e Diagora di Melo e, oltre a questi, il filosofo di Cirene - si chiama Teodoro - e molti altri che vissero saggiamente e videro con più acutezza l’errore relativo agli dèi». Viceversa, per un acceso difensore dell’ortodossia cristiana come il vescovo Teodoreto, atei erano tutti i Greci, a partire da Omero: «In effetti non sono atei soltanto Diagora, Teodoro ed Evemero, i quali negarono in modo assoluto che esistessero gli dèi, ma anche Omero ed Esiodo e le schiere dei filosofi che favoleggiarono un gran numero di dèi litigiosi e schiavi e li dissero succubi di passioni umane» (Theodoret., cur. gr. aff., III 4 = Giannantoni, 1958, 41). Era dunque possibile accusare di empietà dinanzi ai tribunali ateniesi sulla base di leggi non scritte, ma scrupolosamente conservate dalle famiglie sacerdotali, e questo fu il caso probabilmente di Diagora.61 61 Cfr. Rudhart, 1960, p. 98; lo studioso poi cita una serie di altri processi per empietà.

Empio, forse, Diagora, ma certamente non ateo. Non sappiamo nulla di una sua riflessione sul problema degli dèi, del tipo dell’antica tradizione filosofica che è al fondo della negazione dell’esistenza degli dèi e quindi del loro intervento nelle vicende umane, così come sopra l’abbiamo brevemente delineata.62 62 Cfr. Kern, 1975, p. 7: sui fondamenti filosofici del suo ateismo non si sa nulla. L’inconsistenza filosofica di Diagora, ma anche di Teodoro, era stata già riconosciuta da uno scrittore cristiano come Lattanzio: «Dopo quei tempi in cui la filosofia aveva già cominciato a fiorire, esistette un certo Diagora di Melo, che negò del tutto l’esistenza di dio, e per questa sua dottrina fu chiamato ateo, e egualmente Teodoro di Cirene, e tutti e due, poiché non riuscirono a trovare nulla di nuovo, essendo stato già tutto detto e scoperto, preferirono andare contro la verità e negare ciò in cui tutti quelli vissuti prima di loro si erano trovati chiaramente d’accordo» (Giannantoni, 1958, 33 = Lact. de ira Dei 9,7). D’altra parte, che l’“ateismo” di Diagora, ammesso che fosse stato professato, non avesse alcun fondamento filosofico, è stato riconosciuto dagli studiosi.63 63 Cfr. per esempio Lana, 1950, p. 66-67; l’accusa di ateismo gli è riferita senza fondamento, e sorge da una non esatta interpretazione dell’accusa di ἀσέβεια: il termine «è così largo da includere sia l’ateismo, in quanto negazione degli dèi, sia l’empietà, in quanto derisione dei culti della città, sia i tentativi di trasformare la religione ufficiale con l’introduzione di nuove divinità; ed altre colpe ancora» (pp. 77-78). Così anche Winiarczyk, 2016, p. 113-115, che sostiene che è anche dubbio che partecipasse alle parodie dei misteri eleusini a casa di Alcibiade e che la storia del poeta pio che si convertì all’ateismo fu un’invenzione dei biografi ellenistici (p. 130; cfr. anche p. 65). Possiamo quindi tranquillamente cancellare Diagora dal catalogo degli atei.

3. Teodoro

Di altra tempra appare, rispetto a quella di Diagora, la figura di Teodoro cirenaico, sul quale, a differenza che per Diagora, possediamo testimonianze delle sue tesi.64 64 Le testimonianze su Teodoro sono in Winiarczyk (1981a) e in Giannantoni, 1990, vol. II, p.119-133, e vol. IV, nota 20, p.189-193. I cirenaici furono una delle scuole, comunemente dette “scuole socratiche minori”, nate dopo Socrate, e presero appunto il nome di “scuola cirenaica”, il cui fondatore fu Aristippo di Cirene. Aristippo non sviluppò una dottrina sistematica; le sue dottrine, di carattere fondamentalmente etico, risentono sia dell’insegnamento di Socrate che delle riflessioni dei sofisti.65 65 Suida s.v. Teodoro, dice che Teodoro fu discepolo anche di Pirrone. Cfr. l’articolo di Brancacci (1982). La loro fonte principale è Diogene Laerzio.66 66 Gigante, 1983, n. 237 al libro II, sottolinea giustamente che è dubbio se la dossografia cirenaica possa risalire tutta ad Aristippo o sia dottrina di scuola; i Cirenaici accettarono il suo modo di vita ma svilupparono le loro dottrine indipendentemente e a volte contraddicendo Aristippo. Per i cirenaici i piaceri fisici sono preferibili ai piaceri dell’anima, e le pene fisiche peggiori di quelle spiritual; (D.L. II 90) nulla è giusto o onesto o turpe per natura, bensì per convenzione e abitudine; (D.L. II 93) non esiste per natura qualcosa di piacevole o di spiacevole, ma solo per penuria o rarità o abbondanza alcuni godono, altri si affliggono; povertà e ricchezza nulla conferiscono al calcolo del piacere, perché i ricchi non godono in maniera diversa dai poveri; servitù e libertà, nobiltà e oscurità di nascita, onore e infamia sono egualmente indifferenti alla misura del piacere (D.L. II 94). I cirenaici ammettono due stati d’animo, il piacere come movimento calmo, il dolore come movimento aspro: tutti gli esseri animati aspirano al piacere e rifuggono dal dolore; il piacere fisico è il fine supremo, essendo la felicità la somma dei piaceri (D.L. II 96-7), e il piacere è sempre un bene, anche se deriva da atti vergognosi (D.L. II 88).

Non si conosce bene la data di nascita di Teodoro, forse il 340 a.C., a Cirene.67 67 Sulla vita di Teodoro vedi Winiarczyk, 1981b, p.65-71. Intorno al 313 è vissuto ad Atene, al tempo di Demetrio del Falero, che governò Atene nel 317-307.68 68 Ad Atene fu insieme a Pirrone e Bione (cfr. Brancacci, 1982, p. 58 e n.6). Demetrio fu allievo di Aristotele e amico di Teofrasto; divenne governatore di Atene nel 417 per volere del diadoco Cassandro. Fu cacciato da Demetrio Poliorcete nel 307, e riparò prima a Tebe e poi ad Alessandria. Ad Atene ebbe contatti con vari intellettuali, come Stilpone di Megara, Bione di Boristene e Metrocle cínico.69 69 Secondo Suida s.v. Teodoro e s.v. Socrate (= Giannantoni, 1958, 2-3) ascoltò anche Zenone di Cizico. Probabilmente nel 309 lasciò spontaneamente Atene, accusato di ateismo o di asebeia, con la protezione di Demetrio Falereo, per sfuggire al processo intentatogli dall’Aeropago; nella stessa data andò ad Alessandria dove ebbe la stima di Tolomeo I, che lo mandò in ambasceria da Lisimaco, re di Tracia. Più tardi tornò a Cirene, dove fondò una propria scuola filosofica, e dove morì nella prima metà del III sec. (250 circa). Le fonti antiche danno ben sei maestri di Teodoro: Aristippo, Anniceride e il megarico Dionisio di Calcedonia, Pirrone di Elide,70 70 Winiarczyk, 1981b, p. 71. Per l’inflenza di Pirrone su Teodoro, si veda l’articolo di Brancacci (1982): discepolo di Teodoro fu Bione di Boristene, e quindi anche questi, tramite Teodoro, ebbe una conoscenza qualificata della filosofia di Pirrone (p. 72 sgg.). Un percorso dunque del pirronismo che non solo porta alla scepsi accademica, ma che ha anche una relazione molto stretta con un’area filosofica fortemente attiva all’epoca di Pirrone, il tardo socratismo minore (p. 82). Brisone, Socrate, il che dimostra se non altro un’ampiezza di informazioni filosofiche.71 71 Scrisse un libro, Sulle scuole filosofiche, in cui, tra l’altro, criticò il suo maestro Aristippo: D.L. II 65 (cfr. supra la nota 94).

Anche su Teodoro abbiamo una serie di aneddoti, riportati specialmente da Diogene Laerzio, quasi sempre non collocabili cronologicamente.: vedendo un tale che faceva abluzioni purificatorie,

O infelice, non sai che come purificandoti non potresti liberarti dagli errori di grammatica, così neppure dai peccati della tua vita potresti liberarti?

Trovava da ridire sulle preghiere degli uomini, osservando che essi non chiedono i veri beni, ma ciò che a loro sembra bene.72 72 D.L. VI 42; questa due battute e queste tesi sono attribuite anche a Diogene di Sinope. Una volta, a Stilpone, che indicando la statua di Atena scolpita da Fidia, chiese «non è questa Atena, figlia di Zeus?», rispondendo l’altro affermativamente, replicò «ma questa non è di Zeus, ma di Fidia, e dunque non è una divinità.»73 73 D.L. II 116 = Giannantoni, 1958, 7. Per questo fu denunciato dinanzi all’Aeropago, ma non ritrattò e i giudici dell’Aeropago gli imposero di lasciare Atene. Diogene commenta: «Questo Teodoro in verità era assai impudente (θρασύτατος), mentre Stilpone era raffinatissimo». Abbiamo anche un episodio che riguarda la sua missione diplomatica presso Lisimaco,74 74 Lisimaco (361/355-281) fu uno dei diadochi di Alessandro Magno, alla cui morte fu satrapo della Tracia, dove poi si proclamò re. Alla sua corte giunse Teodoro dopo la cacciata da Atene. e che dimostra la sua libertà spirituale, di matrice socratica:

Teodoro cirenaico, poiché aveva parlato con grande libertà nei confronti del re Lisimaco e questi lo minacciava di farlo morire, disse: “non provi vergogna, Lisimaco, che un re, quale sei tu, minacci ai giusti l’opera della cantaride, non potendo prevalere su di essi?” (Gnom. Vat. 743 n. 352 = Giannantoni, 1958GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici. Firenze, Sansoni., 12)

Un gustoso episodio riguarda il suo rappporto polemico con Ipparchia, filosofa cinica, sposa di Cratete cinico, di Atene: una volta fu criticato da Ipparchia, con questo sofisma: ciò che fa Teodoro senza essere ritenuto ingiusto lo fa anche Ipparchia senza essere ritenuta ingiusta; Teodoro non commette torto ferendo se stesso, dunque anche Ipparchia non commette torto ferendo Teodoro. Teodoro non fece obiezioni, ma cercò di denudarla. Ipparchia non si scompose, ma quando Teodoro le disse “questa è colei che abbandonò le spole presso i telai”, rispose

Sono io, ma credi tu che abbia preso una cattiva decisione se il tempo che avrei dovuto dedicare al telaio lo dedicai alla mia educazione? (D.L. VI 97).75 75 Suida, s.v. Ipparchia, testimonia che Ipparchia scrisse due opere, Argomentazioni e Tesi, proprio contro Teodoro.

Abbiamo però su Teodoro anche testimonianze sulle sue dottrine, che riflettono non solo l’influsso di Aristippo, ma anche delle problematiche dei cinici e dei sofisti. Teodoro si dedicò a «eliminare radicalmente le comuni credenze negli dèi (τὰς περὶ θεῶν δόξας». Scrisse un libro Degli dèi, per nulla spregevole, che alcuni dicono sia stato la fonte principale di Epicuro (D.L. II 97).76 76 Alcuni hanno emendato il testo leggendo, al posto di Epicuro, Evemero: Winiarczyk, 1981b, p. 84-85. Concepì la felicità e l’infelicità come il bene e il male supremo, l’una deriva dalla prudenza (ἐπί φρονήσει), l’altra dalla stoltezza (ἐπί ἀφροσύνῃ). Non ammetteva l’amicizia, né tra gli stolti né tra i sapienti: per gli uni, eliminato il bisogno, svanisce anche l’amicizia, mentre i sapienti bastano a se stessi e non hanno bisogno di amici. Sosteneva anche che è ragionevole che l’uomo buono non esponga al pericolo la propria vita per la patria, perché non deve rigettare la propria saggezza per l’utilità degli stolti. Nostra patria è infatti il mondo. A tempo opportuno si può rubare, commettere aduterio o sacrilegio, perché nessuno di questi atti è turpe per natura, e c’è un’opposizione tra ciò che è per natura e ciò che è per opinione (D.L. II 98-99). 77 77 D.L. IV 52: Teodoro l’ateo adottava ogni specie di argomenti sofistici. Scrisse un trattato Intorno agli dèi di cui non si sa quasi nulla. Aderì alla contrapposizione sofistica nomos-physis, come Aristippo, che disse che μηδέν τε είναι φύσει δίκαιον ή καλόν ή αισχρόν, άλλα νόμω καὶ ἒθει (D.L. II 93). Condivise anche il detto di Aristippo che, interrogato su quale fosse il privilegio dei filosofi, rispose: «Se pure tutte le leggi fossero eliminate, noi (filosofi) vivremo egualmente» (D.L. II 68).

Testimonianze esplicite sull’ateismo di Teodoro le troviamo in Sesto Empirico e in Epifanio, vescovo di Salamina. Nei libri III e IV dell’opera Contro i Dogmatici, che si intitolano Contro i fisici,78 78 Sesto Empirico, P. I 13-194: sugli dèi. abbiamo una testimonianza sull’ateismo di Teodoro, chiaramente influenzata dalle riflessioni di Prodico e di Crizia:79 79 Sull’influsso della prima sofistica sui discorsi di Teodoro cfr. Winiarczyk, 1981b , p. 79.

[14]: alcuni hanno affermato che i primi capi del genere umano e i primi ricercatori di ciò che è conveniente alla vita… inventarono il modo di immaginare gli dèi e la credenza nelle leggende dell’Ade… [15] volendo frenare i sopraffattori, dapprima sancirono leggi per punire quelli che manifestamente erano ingiusti, [16] e dopo di ciò plasmarono gli dèi come controllori di tutte le colpe e le azioni rette degli uomini, di modo che neanche di nascosto taluni ardissero di commettere ingiustizia.80 80 Poi, fino a P. 194, naturalmente Sesto critica con molti esempi le argomentazioni sia di coloro che credono negli dèi, sia di coloro che non vi credono.

Teodoro, soprannominato l’ateo, sostenne che tutti i ragionamenti sulla divinità altro non erano che vuote chiacchiere. Pensava infatti che la divinità non esistesse e perciò incitava tutti a rubare, spergiurare, rapinare e a non morire per la patria. Diceva infatti che la sola vera patria è l’universo e chiamava buono solo colui che è felice. (Epiphan., adv. haeres., III 2,9 = Giannantoni, 1958GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici. Firenze, Sansoni., 26.) 81 81 Epifanio, vescovo bizantino e patriarca di Costantinopoli, morto nel 535, in adv. haereses III, 2, 9, 24, dice che Teodoro aveva «negato la divinità e perciò aveva istigato tutti allo spergiuro, al furto, alla rapina». L’ostilità verso Teodoro fu comune agli scrittori cristiani, per esempio si veda Lattanzio, per il quale il suo ateismo derivava anche dall’impossibilità di dire qualcosa di nuovo, dopo che la filosofia aveva già conosciuto la sua fioritura (vedi supra, nota 90). Cfr. anche Minucio Felice, Octoav. 8. 1-2 (= Giannantoni, 1990, 21): Teodoro di Cirene, e prima di lui Diagora di Melo, «sradicarono dal profondo ogni venerazione e ogni timore, con cui si regge l’umanità».

Concludendo, credo che si possa affermare che, anche se il suo ateismo non fu di stretta osservanza,82 82 «Öffentlich hat Theodoros einen Atheismus strenger Observanz wohl nicht verkündet»: Winiarczyk, 1981b, p. 90. cioè rigorosamente argomentato e giustificato, fu certamente affermato e sostenuto con argomentazioni filosofiche che risentivano di una tendenza culturale saldamente radicata nella speculazione greca. Il suo ateismo segnala l’attitudine sospensiva praticata sulle cose di cui non è possibile determinare la natura, quali appunto gli dèi.83 83 Cfr. Brancacci, 1982, p. 66. Comune a Teodoro e Pirrone è l’assunto secondo cui non esiste un criterio universale né realtà intellegibili su cui possano fondarsi i valori morali; solo il saggio può porsi come criterio ed è la fonte di tutti i valori.84 84 Cfr. Brancacci, 1982, p. 67-68. L’etica di Teodoro si fonda su due assunti essenziali: da un lato fine della morale sono gioia e dolore, la prima risiede nella phronesis, la seconda nell’aphrosyne; dall’altro tutte le cose sono divise in tre classi: buone sono phronesis e giustizia, cattive le disposizioni contrarie, medie sono piacere e fatica: Brancacci, 1982, p. 68. Anche la sua vita dimostra la ferma convinzione dell’autonomia del saggio e la rivendicazione della sua libertà, di fronte a tutti, come dimostra anche il suo atteggiamento nei confronti di Lisimaco.85 85 Che in tutta la sua vita abbia sostenuto gli ideali di libertà interiore ed autosufficienza, lo riconosce anche Winiarczyk, 1981b, p. 83. Anche Cicerone (bontà sua!) lo ritenne «filosofo non disprezzabile»: Cic. tusc.disp., I 43, 102 = Giannantoni, 1958, 14.

Riferimenti bibliografici

  • ADORNO, F. (1961). La filosofia antica Vol. I. Milano, Feltrinelli.
  • ADORNO, F. (1965). La filosofia antica Vol. I I. Milano, Feltrinelli .
  • BARNES, J. (1979). The Presocratic Philosophers London, Routledge.
  • BONAZZI, M. (2020) Creature di un sol giorno Torino, Einaudi.
  • BRANCACCI, A. (1982). Teodoro l’ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao. Elenchos III, n. 1, p. 55-85.
  • BRANCACCI, A. (1990). Oikeios logos. La filosofia del linguaggio di Antistene Napoli, Bibliopolis.
  • CASERTANO, G. (1971). Natura e istituzioni umane nelle dotttrine dei sofisti Napoli, Il Tripode.
  • CURNIS, M. (ed.) (2003). Euripide. Il Bellerofonte di Euripide. Edizione e commento dei frammenti Alessandria, Edizioni dell’Orso.
  • DECLEVA CAIZZI, F. (ed.) (1966). Antistene. Antisthenis Fragmenta Milano-Varese, Cisalpino.
  • DERENNE, E. (1930). Les procès d’impieté intentés aux philosophes à Athènes, aux V et IV siècles a.C. Lièges, Vaillant-Carmanne.
  • DIELS, H.; KRANZ, W. (1968) Die Fragmente der Vorsokratiker 13th ed. Dublin-Zürich, Weidmann.
  • DIHLE, A. (1977). Das Satyrspiele “Sisyphos”. Hermes 105, p. 28-42.
  • DONINI, A. (1959). Lineamenti di storia delle religioni Roma, Editori Eiuniti.
  • DRACHMANN, A.B. (1922). Atheism in the pagan antiquity, Chicago, Ares Publishing.
  • FAHR, W. (1969). ΘΕΟΥΣ ΝΟΜΙΖΕΙΝ. Zum Problem der Anfänge des Atheismus bei den Griechen Hildesheim-New York, Olms.
  • FARRINGTON, B. (1978). La scienza nell’antichità Milano, Longanesi.
  • GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici Firenze, Sansoni.
  • GIANNANTONI, G. (1996). Epicuro e l’ateismo antico In: GIANNANTONI, G.; GIGANTE, M. (eds.). Atti del convegno internazionale di Napoli sull’epicureismo, vol.I. Napoli, Bibliopolis , p. 21-63.
  • GIANNANTONI, G. (1990). Socratis et socraticorum reliquiae Napolis, Bibliopolis.
  • GIGANTE, M. (trans.) (1983) Diogene Laerzio. Vite dei filosofi Bari-Roma, Laterza.
  • GIORDANO-ZECHARYA, M. (2005). As Socrates Shows, the Athenians Did Not Believe in Gods. Numen 52, n. 3 ,p. 325-355
  • GOMPERZ , T. (1944). Pensatori greci III Firenze, La Nuova Italia.
  • GOMPERZ , T. (1962). Pensatori greci IV Firenze, La Nuova Italia .
  • GOMPERZ , T. (1964). Pensatori greci II Firenze, La Nuova Italia .
  • GOMPERZ , T. (1967). Pensatori greci I Firenze, La Nuova Italia .
  • GRILLI, A. (trans.) (2002). Aristofane. Le nuvole Milano, Biblioteca Universale Rizzoli.
  • HITCHENS, C. (2006). God Is Not Great: How Religion Poisons Everything New York, Twelve.
  • HORDERN, J. (2001). Philodemus and the poems of Diagoras. Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 136, p. 33-38.
  • JACOBI, F. (1959). Diagoras ὁ Ἄθεος Berlin, Akademie Verlag.
  • JANKO, R. (2001). The Derveni Papyrus (Diagoras of Melos, Apopyrgizontes logoi?): a new translation. Classical Philology 96, n. 1, p. 1-32.
  • JANKO, R. (2003). God, science and Socrates. Bulletin of the Institute of Classical Studies 46, p. 1-18.
  • KERN, W. (1975). ATHEISMUS: Eine philosophiegeschichtliche Information. Zeitschrift für katholische Theologie 97, n. 1/2, p. 3-40.
  • LANA, I. (1950). Diagora di Melo. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 1950, p. 161-205.
  • LANA, I. (1973). Diagora di Melo e la costituzione di Mantinea. In: LANA, I (1973) Studi sul pensiero politico clássico Napoli, Guida, pp. 63-105.
  • LEVI, A. (1966). Storia della sofistica Napoli, Morano.
  • LEY, H. (1966). Geschichte der Aufklärung und des Atheismus, Berlin, Deutscher Verlag der Wissenschaften.
  • LINTOTT, A. (1982). Violence, civil strife and revolution in the Classical city Baltimore, Johns Hopkins University Press.
  • MAUTNER, E. (1920). Der Atheismus und seine Geschichte im Abendlande I. Stuttgart-Berlin, Deutsche Verlagsanstalt.
  • MAUTNER, E. (1921). Der Atheismus und seine Geschichte im Abendlande II. Stuttgart-Berlin, Deutsche Verlagsanstalt .
  • MAUTNER, E. (1922). Der Atheismus und seine Geschichte im Abendlande III Stuttgart-Berlin, Deutsche Verlagsanstalt .
  • MAUTNER, E. (1923). Der Atheismus und seine Geschichte im Abendlande IV. Stuttgart-Berlin, Deutsche Verlagsanstalt .
  • MINOIS, G. (2003). Storia dell’ateismo Roma, Editori Riuniti.
  • MONDOLFO, R. (1958). R. Mondolfo, La comprensione del soggetto umano nell’antichitò classica, La Nuova Italia, Firenze 1958.
  • MINOIS, G. (2012) Dictionnaire des athées, agnostiques, sceptiques et autres mécréants Paris, Albin Michel.
  • NAILS, D. (2002). The People of Plato. A Prosopography of Plato and other Socratics. Indianapolis, Hackett.
  • O’SULLIVAN, L. L. (1997). Athenian Impiety Trials in the Late Fourth Century B. C.The Classical Quarterly 47, n. 1, p. 136-152.
  • ROMER, F.E. (1996). Diagoras the Melian (Diod. Sic. 13.6.7). Classical World 89, p. 393-401.
  • RUDHART, J. (1960). La définition du délit d'impiété d'après la législation attique. Museum Helveticum 17, n. 2, p. 87-105.
  • RUSSO, L. (1997). La rivoluzione dimenticata Milano, Feltrinelli .
  • SANTORO, M. (1994). Sisifo e il presunto ateismo di Crizia. Orpheus 15, n. 2, p. 419-429.
  • SCOTT, A. (1991). Origen and the Life of the Stars Oxford, Oxford University Press.
  • SEDLEY, D. (2013). The Atheist Underground. In: HARTE, V; LANE, M. (eds.). Politeia in Greek and Roman Philosophy. Cambridge, Cambridge University Press, pp. 329-348.
  • SUTTON, D. (1981). Critias and Atheism. The Classical Quarterly 31, n. 1, p. 33-38.
  • TAMAGNONE, C. (2005). Ateismo filosofico nel mondo antico Firenze, Clinamen.
  • TRESMONTANT, C. (1972). Le problème de l’athéisme Paris, Seuil.
  • UNTERSTEINER, M. (1961). Sofisti. Testimonianze e frammenti, Vol. I-III Firenze, La Nuova Italia .
  • UNTERSTEINER, M.; BATTEGAZZORE, A.M. (ed.) (1962) Sofisti. Testimonianze e frammenti. Vol. IV: Crizia Firenze, La Nuova Italia .
  • UNTERSTEINER, M. (1967). I sofisti Milano, Lampugnani Nigri.
  • VALLAURI, G. (1956). Evemero di Messene Torino, Università di Torino.
  • WINIARCZYK, M. (1976). Der erste Atheistenkatalog des Kleitomachos. Philologus 120, p. 32-46.
  • WINIARCZYK, M. (1979). Diagoras von Melos. Wahrheit und Legende I. Eos 67, p. 191-213.
  • WINIARCZYK, M. (1980). Diagoras von Melos. Wahrheit und Legende II. Eos 68, p. 51-75.
  • WINIARCZYK, M. (ed.) (1981a). Diagoras Melius, Theodorus Cyraenaeus Leipzig, Teubner.
  • WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.
  • WINIARCZYK, M. (1984). Wer galt im Altertum als Atheist? Philologus 128, p. 157-183.
  • WINIARCZYK, M. (1989). Bibliographie zum antiken Atheismus. Elenchos X, n. 1, p. 103-192.
  • WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos A contribution to the history of ancient atheism Berlin-Boston, de Gruyter.
  • WHITMARSH, T. (2015). Battling the Gods: Atheism in the Ancient World New York, Knopf.
  • WHITMARSH, T. (2016). Diagoras, Bellerophon and the siege of Olympus. Journal of Hellenic Studies 136, p. 182-186.
  • WOODBURY, L. (1965). The date and atheism of Diagoras of Melos. Phoenix 19, n. 3, p. 178-211.
  • ZELLER, E.; MONDOLFO, R. (tr.) (1967a) La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico I,1 Firenze, La Nuova Italia .
  • ZELLER, E.; MONDOLFO, R. (tr.) (1967b) La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico I,2. Firenze, La Nuova Italia .
  • ZELLER, E.; MONDOLFO, R. (tr.) (1967c) La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico I,3. Firenze, La Nuova Italia .
  • ZELLER, E.; REALE, G. (tr.) (1961) La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico I,4. Firenze, La Nuova Italia .
  • ZELLER, E.; MONDOLFO, R. (tr.) (1969) La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico I,5 Firenze, La Nuova Italia .
  • ZEPPI, S. (2003). Il pensiero religioso nei presocratici (Alle radici dell’ateismo). Roma, Edizioni Studium
  • 1
    L’antichità ci ha tramandato diversi cataloghi di atei, il primo dei quali sembra essere stato quello di Clitomaco (187 ca.-110 a.C.), filosofo di origine cartaginese, poi giunto ad Atene e divenuto allievo dello scettico Carneade. Su questi cataloghi cfr. Winiarczyk (1976WINIARCZYK, M. (1976). Der erste Atheistenkatalog des Kleitomachos. Philologus 120, p. 32-46.), Winiarczyk (1981b, p. 88 e n. 103.)
  • 2
    Ma atei venivano considerati anche i cristiani nell’impero romano: Clemente Flavio (m. 95 d.C.), console, che sposò Flavia Domitilla, nipote di Vespasiano, venne condannato per ateismo e giustiziato per la sua adesione al cristianesimo.
  • 3
    Cfr. Tamagnone, 2005TAMAGNONE, C. (2005). Ateismo filosofico nel mondo antico. Firenze, Clinamen., p. 72.
  • 4
    Tamagnone, 2005TAMAGNONE, C. (2005). Ateismo filosofico nel mondo antico. Firenze, Clinamen., p. 53. In effetti la Teogonia di Esiodo, all’alba dell’VIII secolo, è anche un tentativo di mettere ordine nella molteplicità dei miti cosmogonici ellenici, in quella miriade di entità divine che esprimevano ogni elemento del mondo, in una «complessa struttura narrativa dell’immanenza» (p. 54-58). Il politeismo ellenico si è presentato da subito come una religione ricca di elementi naturalistici, basata su di un pluralismo di divinità perfettamente integrate entro la totalità di una natura onnicomprensiva, esse stesse espressione di aspetti e forze di essa (Tamagnone, 2005, p. 91).
  • 5
    Minois, 2003MINOIS, G. (2003). Storia dell’ateismo. Roma, Editori Riuniti., p. 23-24. È solo quando poi il mito viene concettualizzato dalla ragione che si fa strada anche la possibilità del dubbio (p. 25).
  • 6
    Cfr. Tamagnone, 2005TAMAGNONE, C. (2005). Ateismo filosofico nel mondo antico. Firenze, Clinamen., p. 60.
  • 7
    La “religione greca” è da essere intesa principalmente come qualcosa di civico, legata alla vita della città: la religiosità si misurava nei termini di aderenza ai costumi della città: Giordano-Zecharya, 2005, p. 347-348.
  • 8
    Cfr.Zeller-Mondofo, 1967ZELLER, E.; MONDOLFO, R. (tr.) (1967c) La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico I,3. Firenze, La Nuova Italia .a, p. 112 e la nota di Mondolfo, che sottolinea che il fatto caratteristico è che la persecuzione proveniva dall’autorità civile, non dal sacerdozio, e colpiva l’empietà individuale, p. 112-113.
  • 9
    Cfr. Minois, 2003MINOIS, G. (2003). Storia dell’ateismo. Roma, Editori Riuniti., p. 19. Cfr. anche Rudhart (1960RUDHART, J. (1960). La définition du délit d'impiété d'après la législation attique. Museum Helveticum 17, n. 2, p. 87-105.): «La piété consiste pour le Grec dans une série de comportements qui intéressent les objets les plus disparates, les rites, les dieux ou les morts, aussi bien que la famille et la cité; tous ces comportements pourtant - et c'est leur vertu spécifique - procèdent d'un sentiment commun, fait de respect, de soumission et de confiance, et désigné par le verbe σέβειν. L'impiété (ἀσέβεια, δυσσέβεια) consiste dans une absence ou dans une altération de ce sentiment fondamental» (p.103). Cfr. p. 104-105: i sentimenti religiosi e i sentimenti politici erano in Grecia strettamente uniti; la critica teologica cade sotto i colpi della legge allorché mette in causa la relazione della città con gli dèi, questo è ciò che indica il verbo nomizein; la legislazione concerne le manifestazioni visibili dell’irreligione, come l’insegnamento.
  • 10
    Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter.,. Ma da questo punto di vista, è stato notato, l’ateismo non è solo e unicamente un atteggiamento di rifiuto, ma è anche un atteggiamento positivo, costruttivo e autonomo; contrariamente a quanto ha supposto la storiografia religiosa, l’ateo non è colui che non crede, egli è colui che crede non in dio ma nell’uomo e nella ragione: Minois, 2003MINOIS, G. (2003). Storia dell’ateismo. Roma, Editori Riuniti., p. 31. La definizione infatti che questo studioso propone è: «L’ateismo, indipendentemente dalle religioni, può essere definito come un grandioso tentativo dell’uomo di trovare un senso alla propria esistenza, di autogiustificare la sua presenza nell’universo materiale, di costituirsi una posizione inespugnabile» (p, 12). La volontà di estirpare l’ateismo, nella società greca antica (ma forse non solo in essa) è prevalsa perché si è ritenuto che la mancanza di fede potesse dar luogo a comportamenti individuali e sociali diversi da quelli accettati. Questa è anche la convinzione che sottende ai processi per empietà che si svolsero ad Atene: nel 432 c’è il decreto di Diopite che prevedeva di procedere penalmente contro tutti coloro che non credessero negli dèi riconosciuti dalla polis. Questo clima di ostilità verso gli “atei”, o gli “empi”, si rafforzò al tempo della guerra del Peloponneso, dalla quale Atene uscì sconfitta e umiliata, e fu in questo clima, anche culturale, che si rafforzò l’idea che mettere in discussione gli dèi della città significava essere non solo empi, ma anche traditori: in questo legame tra religione e politica risiede una causa della repressione dell’ateismo (cfr. Minois, 2003, p. 41-44). Su questo clima sono sempre illuminanti le mirabili pagine che Tucidide vi ha dedicato nel secondo libro della sua opera. Derenne (1930DERENNE, E. (1930). Les procès d’impieté intentés aux philosophes à Athènes, aux V et IV siècles a.C. Lièges, Vaillant-Carmanne.) ha mostrato i motivi politici che hanno ispirato i processi d’empietà intentati ai filosofi di Atene, compreso Teofrasto, che pure godeva di ottima fama in Atene, ma fu accusato di empietà e dovette allontanarsi dalla città per un certo periodo per un decreto che stabiliva che nessun filosofo potesse essere a capo di una scuola, ma poi tornò perché il decreto fu ritirato per illegalità: D.L. V 37-38. Cfr. anche Rudhart, 1960RUDHART, J. (1960). La définition du délit d'impiété d'après la législation attique. Museum Helveticum 17, n. 2, p. 87-105., p. 87, p. 98-105, e, sul processo a Socrate, Giordano-Zecharya, 2005, p. 328 sgg.. Sul sottofondo politico dei processi, sullo sfondo in genere dello scontro tra i filomacedoni e i democratici, cfr. O’Sullivan, 1997, p. 147-148.
  • 11
    Per il rapporto φύσις/νόμος nelle dottrine dei sofisti mi permetto di rimandare al mio vecchio lavoro Casertano (1971CASERTANO, G. (1971). Natura e istituzioni umane nelle dotttrine dei sofisti. Napoli, Il Tripode.).
  • 12
    Ma anche la critica all’antromorfismo e all’immoralità degli dèi tradizionali era presente in intellettuali che non furono filosofi in senso stretto: vedi, per esempio, Ferecide di Siro (600/597 ca.-520), annoverato tra i Sette Sapienti (DK 7A2a); per lui i nomi di Zeus, Chtonia e Kronos non sono altro che nomi allegorici a indicare i tre elementi che sono all’origine di tutte le cose, il fuoco, la terra e il tempo (DK 7A9, B2). «Primo a scrivere sulla natura e sull’origine degli dèi» (7A1), la sua opera fu sfruttata dagli scrittori cristiani a supporto della loro critica all’immoralità degli dèi pagani: «Prima di chiunque altro descrisse la natura e l’origine degli dèi: la quale opera è provato che molto giova alla nostra religione, perché ha fatto sapere che tutti quelli che l’idolatra afferma essere dèi sono nati turpemente e nella vita si sono comportati ancora più turpemente e sono morti in maniera ancora più sconveniente» (da Aponio, esegeta latino del V-VI sec. d.C. = DK 7A5). Anche Teagene di Reggio (floruit 529-522) dice che non sono convenienti i miti che si narrano sugli dèi, e che la contrarietà che c’è tra gli elementi e la loro natura è detta allegoricamente, come se si trattasse di contrarietà tra gli dèi; e anche alle disposizioni di animo si danno i nomi degli dèi (DK 8A2). Cfr. anche Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 72-74.
  • 13
    «Neanche lui attribuì alcun ruolo alla mente divina nell’origine delle cose… i cieli infiniti sono dèi… Il movimento è eterno» (DK 12A17). Cfr. Gomperz (1967GOMPERZ , T. (1967). Pensatori greci I. Firenze, La Nuova Italia .): “divina” gli appariva soltanto la materia dotata di ogni energia, senza principio né fine; divini anche, ma in quanto nati e perituri, come dèi di second’ordine, i singoli mondi e i cieli, con un’esistenza molto duratura, ma sempre temporanea (p. 87-88). Per Gomperz la materia, secondo tutti e tre gli Ionici, porta in se stessa la ragione del proprio movimento (p. 89).
  • 14
    Per lui l’aria è il principio di tutte le cose, alle quali dà origine con i due processi di rarefazione e condensazione. Dall’aria nascono gli dèi e le cose divine, mentre le altre cose da ciò che è suo prodotto (DK 13A7). Non è l’aria ad esser fatta dagli dèi, ma gli dèi nascono dall’aria (DK 13A10). All’ambiente ionico è legato anche Ippone di Metaponto, o di Reggio, o di Samo (VI-V sec.), studioso di fisica e di biologia, il quale si meritò anche la qualifica di ateo (ἄθεος), perché sosteneva, con Talete, che il principio di tutte le cose è l’acqua (DK 38A4, A6, A8): fu detto ateo perché riteneva che non ci fosse niente oltre le realtà sensibili (DK 38A9).
  • 15
    Per lui il dio è spazialmente esteso e si identifica con l’universo; la natura di dio è sferica e non ha nulla di simile all’uomo; è tutto mente e sapienza ed è eterno (DK 21A1). Dio è eterno e deve essere uno; è uguale in ogni sua parte ed è sferico, né si muove né è immobile (DK 21A28). Dio è il tutto ed è corpo: come potrebbe essere sferico se fosse incorporeo? (DK 21A28, A31, A34, A35, A36). Il cosmo è ingenerato, eterno e incorruttibile (21A37). Per la critica all’antropomorfismo si vedano i famosi frammenti DK 21B15-16; per l’immoralità degli dèi, che nasce da Omero ed Esiodo, si vedano DK 21B10, B12; per una cultura che l’uomo si costruisce nel tempo, e che è sempre relativa e migliorabile, si vedano DK 21B18, B34.
  • 16
    Per la critica alle pratiche religiose tradizionali si vedano DK 22B14: «Le iniziazioni ai misteri che sono in uso tra gli uomini sono empie»; DK 22B5: «Si purificano contaminandosi con altro sangue, come se uno, immersosi nel fango, si lavasse con il fango…. E si mettono a pregare siffatte immagini, come se uno si mettesse a chiacchierare con le mura delle case, ignorando chi sono gli dèi e gli eroi».
  • 17
    L’amicizia produce lo sfero, che è l’insieme armonico di tutte le cose, che egli chiama anche dio, che non ha nessun carattere antrropomorfo: «dal suo dorso non si slanciano due braccia, non ha piedi, non agili ginocchia, ma era sfero, ovunque identico a se stesso (DK 31B29, cfr. anche B31).
  • 18
    L’immanenza del νοῦς anassagoreo è testimoniata, anche se negativamente considerata, da Platone nel famoso passo del Fedone platonico, 97b8 sgg., nel quale Socrate dichiara la sua insoddisfazione per il naturalismo anassagoreo.
  • 19
    D.L. II 16 = DKA1: Diogene Laerzio afferma anche che Archelao fu il primo a trasportare la filosofia della natura dalla Ionia ad Atene. Per Porfirio, Histor. philos. fr. 12 Nauck2 p. 11, 23 = DK 60A3, fu anche amante di Socrate.
  • 20
    D.L. II 17 = DK 60A1, Hippol. Refut. I 9 = DK 60A4. Anche per Archelao il ruolo fondamentale nel divenire delle cose era dovuto al νοῦς (DK 60A18), mentre valori morali o estetici erano stabiliti οὐ φύσει ἀλλὰ νόμωι (Suid. s.v.= DK 60A2).
  • 21
    Simplicio in DK 64A5. DK 64B5: «Mi sembra che sia dotato d’intelligenza (νόησις) quel che gli uomini chiamano aria, che tutti siano da essa governati e che tutto essa domini. Questo mi sembra che sia dio e giunga dovunque e tutto disponga e in tutto sia (ἐν παντὶ ἐνεῖναι)».
  • 22
    DK 61A3. Metrodoro dette anche un’interpretazione allegorica degli dèi e dei loro nomi, per esempio Demetra è il fegato, Dioniso la milza, Apollo la bile (DK 61A4). Netta la condanna di Platone, in Repubblica II 378d-e, del metodo allegorico nell’interpretazione dei miti: tutte le favole sugli dèi e le battaglie fra loro «non si devono ammettere nella città, abbiano o non abbiano queste invenzioni carattere di allegoria (ἐν ὑπονοίαις: ὑπόνοια, congettura, sospetto, significato profondo, senso allegorico; ὑπόνοια è hapax in Platone). Il giovane non è in grado di giudicare ciò che è allegorico e ciò che non lo è: tutte le impressioni che riceve a quell’età divengono in genere incancellabili e immutabili».
  • 23
    Secondo alttri di Elea o di Abdera, D.L. lo considera allievo di Zenone: D.L. IX 30 = DK 67A1.
  • 24
    Non considero differenti le dottrine del primo da quelle del secondo, come fa qualche studioso oggi, per esempio Tamagnone, 2005TAMAGNONE, C. (2005). Ateismo filosofico nel mondo antico. Firenze, Clinamen.), p. 144 sgg..
  • 25
    Cfr. DK 68A39: l’universo è infinito e non prodotto dall’opera di alcun artefice.
  • 26
    «Gli uomini tentano di guadagnare la salute dagli dèi, senza sapere di possedere in se stessi tale potere» (DK 68B234). «Non pochi uomini, che non hanno idea della dissoluzione a cui è soggetta la natura mortale, ma che hanno coscienza del loro male operare nella vita, sono agitati per tutta la durata della loro esistenza tra le angosce e le paure, poiché si foggiano nella loro mente favole menzognere (ψεύδεα μυθοπλαστέοντες) intorno al tempo dopo la morte» (DK 68B297).
  • 27
    Classico esempio, il famoso discorso degli Ateniesi ai Meli in V 103. Per la sua critica alla superstizione, qualche esempio in II 54: durante la peste, si sottolinea l’ambiguità dei vaticini e del loro essere variamente manipolati dagli uomini a seconda delle circostanze; II 21: essendo giunta la spedizione peloponnesiaca nelle vicinanze di Atene, gli indovini ateniesi emettevano responsi di ogni genere, che ciascuno interpretava secondo il suo desiderio; VII 50: biasima la superstiziosità di Nicia, «che era anche troppo incline alla superstizione (ἄγαν θειασμῴ)», e che si lascia sgomentare da un normale fenomeno naturale, quale un’eclissi lunare, scambiandola per un segno divino; II 47: totale inutilità delle suppliche nei templi e del ricorso ad oracoli durante la peste di Atene; I 126-128: accuse di sacrilegio e impurità che Ateniesi e Spartani si scambiano: (e quindi) religione come instrumentum regni che le città maneggiano a fini di politica e di potenza. Per questo qualche studioso ha proclamato l’ateismo di Tucidide: Zeppi, 2003ZEPPI, S. (2003). Il pensiero religioso nei presocratici (Alle radici dell’ateismo). Roma, Edizioni Studium, p.116: « Non c’è dubbio che ateo … è Tucidide nei confronti del politeismo tradizionale, fondato sul mitico e sul prodigioso».
  • 28
    D.L. IX 51 = DK 80A1. Diogene aggiunge che per il suo scritto Sugli dèi Protagora fu cacciato dagli Ateniesi e i suoi scritti furono bruciati sulla piazza.
  • 29
    Philostr. VS. I 10. 2: Protagora è fra quelli «che sovvertono la pubblica credenza nel divino».
  • 30
    Sext. M. IX 55-56 = DK 80A12. Sesto accomuna esplicitamente Protagora ad altri atei, come Diagora, Evemero, Prodico, Crizia, Teodoro l’ateo.
  • 31
    P.e. Tamagnone, 2005TAMAGNONE, C. (2005). Ateismo filosofico nel mondo antico. Firenze, Clinamen., 130-131. Ma già Gomperz, 1964GOMPERZ , T. (1964). Pensatori greci II. Firenze, La Nuova Italia ., p. 266-267, aveva affermato che il fr.4 non metteva in discussione la credenza negli dèi, ma la possibilità di averne una conoscenza razionale. Non mi sembra però che la sua affermazione sia corretta, dal momento che l’ἀδηλότης (da ἄδηλος) non indica una conoscenza razionale bensì qualcosa che non è evidente ai sensi.
  • 32
    Sulle origini dell’ateismo e l’eziologia delle credenze religiose cfr. Barnes, 1979BARNES, J. (1979). The Presocratic Philosophers. London, Routledge., II, p. 149-159.
  • 33
    Aezio 17, 2, nello stesso luogo, ritiene che il frammento sia non di Crizia. ma di Euripide e che questi, per non rivelarsi apertamente, portò in scena Sisifo come sostenitore di questa opinione. Euripide (485-406), era stato discepolo di Anassagora (DK 59A20a). Nel Bellerofonte (tragedia perduta, su cui Curnis (2003CURNIS, M. (ed.) (2003). Euripide. Il Bellerofonte di Euripide. Edizione e commento dei frammenti. Alessandria, Edizioni dell’Orso.)) si dice: «Qualcuno forse dice che vi siano déi in cielo? No, non ce ne sono; chi ci crede non è altro che uno sciocco che si lascia ingannare guidato da una vecchia favola fasulla». Analogamente nel Phrixos A (Eur. F 912b Kovacs) e B (F 820 Kannicht), dove si parla di uomini che dicono che gli dèi non esistono. In effetti nel teatro euripideo non mancano proclamazioni tutt’altro che episodiche sull’inconoscibilità dell’essenza divina: «Niente delle cose divine è chiaro agli uomini» (Eracle 62); «Come cambia colore e sfugge sempre ad ogni congettura il dio!» (Elena 71); «Zeus, chiunque sia Zeus, poi che non altro se ne conosce che il nome» (fr.480); «Chiunque pretende di possedere scienza del divino, niente di più sa che persuadere parlando» (fr. 793). Zeppi, 2003ZEPPI, S. (2003). Il pensiero religioso nei presocratici (Alle radici dell’ateismo). Roma, Edizioni Studium, p. 86, così commenta: «Disorientamento di chi assiste allo sconcertante spettacolo di inconciliabili vedute che si contendono il monopolio della verità intorno al divino».
  • 34
    Vedi Mondolfo, 1958MONDOLFO, R. (1958). R. Mondolfo, La comprensione del soggetto umano nell’antichitò classica, La Nuova Italia, Firenze 1958., p. 89-92. Per esempio già in Esiodo, Opere e giorni 248-273, gli immortali osservano quanti non curano il timore degli dèi: Zeus ha mandato trentamila immortali che osservano le opere degli uomini e si aggirano su tutta la terra. L’occhio di Zeus tutto scorge e tutto comprende e a lui non sfugge nulla.
  • 35
    Già nell’antichità Crizia non era giudicato un filosofo importante: «Prendeva parte anche alle discussioni filosofiche, ed era considerato profano tra i filosofi e filosofo tra i profani» (Schol. ad Plat. Tim. 20 = DK 88A3). «Molti dei più importanti elementi da cui risulta la teoria di Crizia si possono considerare, piuttosto che dottrine di pensatori isolati, opinioni diffuse tra le persone colte dell’ambiante in cui egli viveva»: Levi, 1966LEVI, A. (1966). Storia della sofistica. Napoli, Morano., p. 37. Anche per Barnes, 1979BARNES, J. (1979). The Presocratic Philosophers. London, Routledge., II p. 149-150, Crizia non fu un filosofo né un sofista alla maniera di Protagora o di Gorgia; il discorso di Sisifo è di una commedia, e non necessariamente la visione espressa coincide con quella dell’autore.
  • 36
    Per esempio da Dihle (1977DIHLE, A. (1977). Das Satyrspiele “Sisyphos”. Hermes 105, p. 28-42.), che nega anche che Crizia fu un ateo, dal momento che nessun altro suo frammento lo conferma.
  • 37
    Sutton, 1981SUTTON, D. (1981). Critias and Atheism. The Classical Quarterly 31, n. 1, p. 33-38., p.34-36, sottolinea che noi conosciamo il frammento di Crizia solo perché fu citato sempre come esempio per eccellenza del pensiero ateistico, ma niente nella biografia di Crizia suggerisce il suo ateismo, che fu caratterizzato tale solo da scrittori tardi, mentre nessun suo contemporaneo lo fu, nemmeno Senofonte che non lo sopportava (e inoltre Crizia non fu perseguitato per il suo ateismo, ma fu ucciso dai restauratori della democrazia, alla caduta del governo sanguinario dei Trenta Tiranni: cfr. Philostr. V. soph. I 16 = DK 88A1, che lo definisce «il più malvagio di tutti gli uomini che sono famosi per malvagità»), e aveva detto (Mem. I 2, 12 sgg = DK 88A4) che «di tutti gli oligarchici era il più rapace e violento e sanguinario». Senofonte accusa anche Crizia di essersi unito alla compagnia di Socrate «only to promote his own esteem in the public eye and of never having been Socrate’s earnest student»: così Nails, 2002NAILS, D. (2002). The People of Plato. A Prosopography of Plato and other Socratics. Indianapolis, Hackett., p. 109 (la nota su Crizia è alle p. 108-111; sul governo dei Trenta nel 404-403 p. 111-113; sul periodo immediatamente seguente la caduta dei Trenta p. 219-222).
  • 38
    Santoro, 1994SANTORO, M. (1994). Sisifo e il presunto ateismo di Crizia. Orpheus 15, n. 2, p. 419-429., p. 424. «La ragione del fraintendimento dell’opera criziana è da ricercarsi nell’immagine che il tirranno lasciò di sé e dovette dunque sorgere dopo la sua morte. Allora, come io suppongo, dovette diffondersi la credenza che un uomo spietato come il capo dei Trenta non si sarebbe potuto macchiare di delitti tanto atroci se avesse nutrito un sentimento religioso e avesse temuto una punizione divina» (p. 427). La studiosa offre anche una bibliografia pro e contro l’ateismo di Crizia (n. 5 p. 420-421).
  • 39
    Cfr. Winiarczyk, 1976WINIARCZYK, M. (1976). Der erste Atheistenkatalog des Kleitomachos. Philologus 120, p. 32-46. , p. 32-46, e Winiarczyk, 2016, p. 128-129.
  • 40
    Ma poco si può dire della sua attività di poeta melico, noto soprattutto per i suoi encomi, citati solitamente per provare la religiosità del suo autore: cfr. Lana, 1950LANA, I. (1950). Diagora di Melo. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 1950, p. 161-205., p. 81.
  • 41
    Cfr. Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 24.
  • 42
    Cfr. Gomperz, 1964GOMPERZ , T. (1964). Pensatori greci II. Firenze, La Nuova Italia ., p.199-200 e n.1; Minois, 2003MINOIS, G. (2003). Storia dell’ateismo. Roma, Editori Riuniti., p.44. L’incapacità degli dèi a punire i misfatti degli uomini era uno degli argomenti contro la loro esistenza, ed è anche l’argomento centrale dell’attore ateo nel Bellerofonte di Euripide (cfr. Whitmarsh, 2016WHITMARSH, T. (2016). Diagoras, Bellerophon and the siege of Olympus. Journal of Hellenic Studies 136, p. 182-186., p. 184).
  • 43
    Cfr. Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 43.59. È sintomatico che in questo libro su Diagora, il più attento e completo, credo, a tutt’oggi, l’Autore afferma che molto di ciò in esso è detto è puramente ipotetico (p. VII).
  • 44
    Cfr. Zeller-Mondofo, 1969ZELLER, E.; MONDOLFO, R. (tr.) (1969) La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico I,5. Firenze, La Nuova Italia ., p. 518.
  • 45
    Aristotele riferisce (Pol. 1306a31-35) che contribuì ad abbattere l’oligarchia dei cavalieri, e collaborò con Nicodoro a dare una costituzione a Mantinea (pp.74-75). Cfr. Lana, 1950LANA, I. (1950). Diagora di Melo. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 1950, p. 161-205., p. 74-75.
  • 46
    Per Romer, 1996ROMER, F.E. (1996). Diagoras the Melian (Diod. Sic. 13.6.7). Classical World 89, p. 393-401., p. 396-398, «It is also not possible to state with precision exactly when Diagoras was expelled from Athens».
  • 47
    Questo episodio è accennato da Aristofane, Uccelli, vv.1071-1075: « Chi di voi uccide Diagora di Melo, guadagna un talento; un talento guadagna anche chi elimina uno dei tiranni… già morti». Cfr. Romer, 1996ROMER, F.E. (1996). Diagoras the Melian (Diod. Sic. 13.6.7). Classical World 89, p. 393-401., p. 395: «obvious comic absurdity (tyrants having been dead for decades)». In effetti la tirannia aveva avuto termine alla fine del secolo VI, quando Armodio e Aristogitone uccisero Ipparco, tiranno fratello del tiranno Ippia. Cfr. anche Lintott, 1982LINTOTT, A. (1982). Violence, civil strife and revolution in the Classical city. Baltimore, Johns Hopkins University Press., p. 52 sgg.
  • 48
    Questa parola è stata forse all’origine della leggenda che voleva Diagora allievo di Democrito.
  • 49
    Così Grilli, 2002GRILLI, A. (trans.) (2002). Aristofane. Le nuvole. Milano, Biblioteca Universale Rizzoli., n. 206, p. 198. Cfr. Janko, 2003JANKO, R. (2003). God, science and Socrates. Bulletin of the Institute of Classical Studies 46, p. 1-18., p. 16: le Nuvole di Aristofane mostrano che Socrate sosteneva le opinioni di Diagora: anche se questo non è vero, la gente certamente lo credeva, come mostra anche l’accusa a Socrate di Policrate.
  • 50
    Aneddoto inventato nel periodo ellenistico secondo Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 98-101.
  • 51
    Lana, 1950LANA, I. (1950). Diagora di Melo. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 1950, p. 161-205., p. 78-79: per aver schernito i misteri di Eleusi, col procedere dei secoli, fu ritenuto schernitore di tutte le divinità. Cfr. anche Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 130; Woodbury, 1965WOODBURY, L. (1965). The date and atheism of Diagoras of Melos. Phoenix 19, n. 3, p. 178-211., p. 208-209.
  • 52
    Dubita dell’attribuzione del libro a Diagora Woodbury, 1965WOODBURY, L. (1965). The date and atheism of Diagoras of Melos. Phoenix 19, n. 3, p. 178-211., p. 203, 205-207. Per questo studioso l’ateismo di Diagora, anche se noto e tramandato, è elusivo e indefinito e Diagora non fu certamente un pensatore con una filosofia.
  • 53
    Cfr. Fahr, 1969FAHR, W. (1969). ΘΕΟΥΣ ΝΟΜΙΖΕΙΝ. Zum Problem der Anfänge des Atheismus bei den Griechen. Hildesheim-New York, Olms., p. 91.
  • 54
    Cfr. Woodbury, 1965WOODBURY, L. (1965). The date and atheism of Diagoras of Melos. Phoenix 19, n. 3, p. 178-211., p. 204; Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 80-81. Cfr. anche Whitmarsh, 2016WHITMARSH, T. (2016). Diagoras, Bellerophon and the siege of Olympus. Journal of Hellenic Studies 136, p. 182-186., p. 183: «It seems prima facie plausible, then, that Diagoras' arguments (ἀποπυργίζοντες λόγοι) were intended, metaphorically, to destroy city fortifications by a kind of intellectual siege».
  • 55
    Ha sostenuto questa tesi Janko, 2001JANKO, R. (2001). The Derveni Papyrus (Diagoras of Melos, Apopyrgizontes logoi?): a new translation. Classical Philology 96, n. 1, p. 1-32., p. 2 e passim, per il quale Diagora, non fu un ateo in senso moderno, ma un sofista come Crizia e Prodico. Un ampio commento delle tesi di questo studioso in Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 118 sgg.
  • 56
    Woodbury, 1965WOODBURY, L. (1965). The date and atheism of Diagoras of Melos. Phoenix 19, n. 3, p. 178-211., p. 179,184. L’autore inizia il suo articolo con queste parole: «A small poet, a great name, a doubtful date». Poi la tradizione lo indicò senz’altro come “Diagora l’ateo”, e ci chiede «to believe in a poet of traditional piety who turns to prose to write a book in which he rehearses arguments borrowed from the philosophicl schools and designed to disprove the existence of goods» (p. 198).
  • 57
    Fahr, 1969FAHR, W. (1969). ΘΕΟΥΣ ΝΟΜΙΖΕΙΝ. Zum Problem der Anfänge des Atheismus bei den Griechen. Hildesheim-New York, Olms., p.180-184, ci offre un catalogo dei cosiddetti atei e dei processi per asebeia.
  • 58
    Hordern, 2001HORDERN, J. (2001). Philodemus and the poems of Diagoras. Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 136, p. 33-38., p. 34, esclude che una visione ateistica possa essere attribuita a Diagora.
  • 59
    Cfr. Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. VIII.
  • 60
    Cfr supra le note 8, 9 e 11. Singolare il giudizio di Clemente Alessandrino (in DK 38A8), che difende Diagora e altri personaggi dall’accusa di ateismo proprio in base alla loro condotta di vita: «Mi viene da meravigliarmi come mai abbiano chiamati atei Evemero di Agrigento, Nicanore di Cipro e Ippone e Diagora di Melo e, oltre a questi, il filosofo di Cirene - si chiama Teodoro - e molti altri che vissero saggiamente e videro con più acutezza l’errore relativo agli dèi». Viceversa, per un acceso difensore dell’ortodossia cristiana come il vescovo Teodoreto, atei erano tutti i Greci, a partire da Omero: «In effetti non sono atei soltanto Diagora, Teodoro ed Evemero, i quali negarono in modo assoluto che esistessero gli dèi, ma anche Omero ed Esiodo e le schiere dei filosofi che favoleggiarono un gran numero di dèi litigiosi e schiavi e li dissero succubi di passioni umane» (Theodoret., cur. gr. aff., III 4 = Giannantoni, 1958GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici. Firenze, Sansoni., 41).
  • 61
    Cfr. Rudhart, 1960RUDHART, J. (1960). La définition du délit d'impiété d'après la législation attique. Museum Helveticum 17, n. 2, p. 87-105., p. 98; lo studioso poi cita una serie di altri processi per empietà.
  • 62
    Cfr. Kern, 1975KERN, W. (1975). ATHEISMUS: Eine philosophiegeschichtliche Information. Zeitschrift für katholische Theologie 97, n. 1/2, p. 3-40., p. 7: sui fondamenti filosofici del suo ateismo non si sa nulla. L’inconsistenza filosofica di Diagora, ma anche di Teodoro, era stata già riconosciuta da uno scrittore cristiano come Lattanzio: «Dopo quei tempi in cui la filosofia aveva già cominciato a fiorire, esistette un certo Diagora di Melo, che negò del tutto l’esistenza di dio, e per questa sua dottrina fu chiamato ateo, e egualmente Teodoro di Cirene, e tutti e due, poiché non riuscirono a trovare nulla di nuovo, essendo stato già tutto detto e scoperto, preferirono andare contro la verità e negare ciò in cui tutti quelli vissuti prima di loro si erano trovati chiaramente d’accordo» (Giannantoni, 1958GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici. Firenze, Sansoni., 33 = Lact. de ira Dei 9,7).
  • 63
    Cfr. per esempio Lana, 1950LANA, I. (1950). Diagora di Melo. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 1950, p. 161-205., p. 66-67; l’accusa di ateismo gli è riferita senza fondamento, e sorge da una non esatta interpretazione dell’accusa di ἀσέβεια: il termine «è così largo da includere sia l’ateismo, in quanto negazione degli dèi, sia l’empietà, in quanto derisione dei culti della città, sia i tentativi di trasformare la religione ufficiale con l’introduzione di nuove divinità; ed altre colpe ancora» (pp. 77-78). Così anche Winiarczyk, 2016WINIARCZYK, M. (2016). Diagoras of Melos. A contribution to the history of ancient atheism. Berlin-Boston, de Gruyter., p. 113-115, che sostiene che è anche dubbio che partecipasse alle parodie dei misteri eleusini a casa di Alcibiade e che la storia del poeta pio che si convertì all’ateismo fu un’invenzione dei biografi ellenistici (p. 130; cfr. anche p. 65).
  • 64
    Le testimonianze su Teodoro sono in Winiarczyk (1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.a) e in Giannantoni, 1990GIANNANTONI, G. (1990). Socratis et socraticorum reliquiae Napolis, Bibliopolis., vol. II, p.119-133, e vol. IV, nota 20, p.189-193.
  • 65
    Suida s.v. Teodoro, dice che Teodoro fu discepolo anche di Pirrone. Cfr. l’articolo di Brancacci (1982BRANCACCI, A. (1982). Teodoro l’ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao. Elenchos III, n. 1, p. 55-85.).
  • 66
    Gigante, 1983GIGANTE, M. (trans.) (1983) Diogene Laerzio. Vite dei filosofi. Bari-Roma, Laterza., n. 237 al libro II, sottolinea giustamente che è dubbio se la dossografia cirenaica possa risalire tutta ad Aristippo o sia dottrina di scuola; i Cirenaici accettarono il suo modo di vita ma svilupparono le loro dottrine indipendentemente e a volte contraddicendo Aristippo.
  • 67
    Sulla vita di Teodoro vedi Winiarczyk, 1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.b, p.65-71.
  • 68
    Ad Atene fu insieme a Pirrone e Bione (cfr. Brancacci, 1982BRANCACCI, A. (1982). Teodoro l’ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao. Elenchos III, n. 1, p. 55-85., p. 58 e n.6). Demetrio fu allievo di Aristotele e amico di Teofrasto; divenne governatore di Atene nel 417 per volere del diadoco Cassandro. Fu cacciato da Demetrio Poliorcete nel 307, e riparò prima a Tebe e poi ad Alessandria.
  • 69
    Secondo Suida s.v. Teodoro e s.v. Socrate (= Giannantoni, 1958GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici. Firenze, Sansoni., 2-3) ascoltò anche Zenone di Cizico.
  • 70
    Winiarczyk, 1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.b, p. 71. Per l’inflenza di Pirrone su Teodoro, si veda l’articolo di Brancacci (1982BRANCACCI, A. (1982). Teodoro l’ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao. Elenchos III, n. 1, p. 55-85.): discepolo di Teodoro fu Bione di Boristene, e quindi anche questi, tramite Teodoro, ebbe una conoscenza qualificata della filosofia di Pirrone (p. 72 sgg.). Un percorso dunque del pirronismo che non solo porta alla scepsi accademica, ma che ha anche una relazione molto stretta con un’area filosofica fortemente attiva all’epoca di Pirrone, il tardo socratismo minore (p. 82).
  • 71
    Scrisse un libro, Sulle scuole filosofiche, in cui, tra l’altro, criticò il suo maestro Aristippo: D.L. II 65 (cfr. supra la nota 94).
  • 72
    D.L. VI 42; questa due battute e queste tesi sono attribuite anche a Diogene di Sinope.
  • 73
    D.L. II 116 = Giannantoni, 1958GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici. Firenze, Sansoni., 7. Per questo fu denunciato dinanzi all’Aeropago, ma non ritrattò e i giudici dell’Aeropago gli imposero di lasciare Atene. Diogene commenta: «Questo Teodoro in verità era assai impudente (θρασύτατος), mentre Stilpone era raffinatissimo».
  • 74
    Lisimaco (361/355-281) fu uno dei diadochi di Alessandro Magno, alla cui morte fu satrapo della Tracia, dove poi si proclamò re. Alla sua corte giunse Teodoro dopo la cacciata da Atene.
  • 75
    Suida, s.v. Ipparchia, testimonia che Ipparchia scrisse due opere, Argomentazioni e Tesi, proprio contro Teodoro.
  • 76
    Alcuni hanno emendato il testo leggendo, al posto di Epicuro, Evemero: Winiarczyk, 1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.b, p. 84-85.
  • 77
    D.L. IV 52: Teodoro l’ateo adottava ogni specie di argomenti sofistici. Scrisse un trattato Intorno agli dèi di cui non si sa quasi nulla. Aderì alla contrapposizione sofistica nomos-physis, come Aristippo, che disse che μηδέν τε είναι φύσει δίκαιον ή καλόν ή αισχρόν, άλλα νόμω καὶ ἒθει (D.L. II 93). Condivise anche il detto di Aristippo che, interrogato su quale fosse il privilegio dei filosofi, rispose: «Se pure tutte le leggi fossero eliminate, noi (filosofi) vivremo egualmente» (D.L. II 68).
  • 78
    Sesto Empirico, P. I 13-194: sugli dèi.
  • 79
    Sull’influsso della prima sofistica sui discorsi di Teodoro cfr. Winiarczyk, 1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.b , p. 79.
  • 80
    Poi, fino a P. 194, naturalmente Sesto critica con molti esempi le argomentazioni sia di coloro che credono negli dèi, sia di coloro che non vi credono.
  • 81
    Epifanio, vescovo bizantino e patriarca di Costantinopoli, morto nel 535, in adv. haereses III, 2, 9, 24, dice che Teodoro aveva «negato la divinità e perciò aveva istigato tutti allo spergiuro, al furto, alla rapina». L’ostilità verso Teodoro fu comune agli scrittori cristiani, per esempio si veda Lattanzio, per il quale il suo ateismo derivava anche dall’impossibilità di dire qualcosa di nuovo, dopo che la filosofia aveva già conosciuto la sua fioritura (vedi supra, nota 90). Cfr. anche Minucio Felice, Octoav. 8. 1-2 (= Giannantoni, 1990GIANNANTONI, G. (1990). Socratis et socraticorum reliquiae Napolis, Bibliopolis., 21): Teodoro di Cirene, e prima di lui Diagora di Melo, «sradicarono dal profondo ogni venerazione e ogni timore, con cui si regge l’umanità».
  • 82
    «Öffentlich hat Theodoros einen Atheismus strenger Observanz wohl nicht verkündet»: Winiarczyk, 1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.b, p. 90.
  • 83
    Cfr. Brancacci, 1982BRANCACCI, A. (1982). Teodoro l’ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao. Elenchos III, n. 1, p. 55-85., p. 66.
  • 84
    Cfr. Brancacci, 1982BRANCACCI, A. (1982). Teodoro l’ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao. Elenchos III, n. 1, p. 55-85., p. 67-68. L’etica di Teodoro si fonda su due assunti essenziali: da un lato fine della morale sono gioia e dolore, la prima risiede nella phronesis, la seconda nell’aphrosyne; dall’altro tutte le cose sono divise in tre classi: buone sono phronesis e giustizia, cattive le disposizioni contrarie, medie sono piacere e fatica: Brancacci, 1982, p. 68.
  • 85
    Che in tutta la sua vita abbia sostenuto gli ideali di libertà interiore ed autosufficienza, lo riconosce anche Winiarczyk, 1981WINIARCZYK, M. (1981b). Theodoros Ὁ ἊΘΕΟΣ. Philologus CXXV, p. 64-94.b, p. 83. Anche Cicerone (bontà sua!) lo ritenne «filosofo non disprezzabile»: Cic. tusc.disp., I 43, 102 = Giannantoni, 1958GIANNANTONI, G. (1958). I Cirenaici. Firenze, Sansoni., 14.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    21 Apr 2023
  • Date of issue
    2023

History

  • Received
    13 Jan 2022
  • Accepted
    19 Jan 2022
Universidade de Brasília / Imprensa da Universidade de Coimbra Universidade de Brasília / Imprensa da Universidade de Coimbra, Campus Darcy Ribeiro, Cátedra UNESCO Archai, CEP: 70910-900, Brasília, DF - Brasil, Tel.: 55-61-3107-7040 - Brasília - DF - Brazil
E-mail: archai@unb.br