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Aristotele “eroe non celebrato” dell’emergenza? Ilomorfismo psicologico e tesi della sopravvenienza

Aristotle “Unsung Hero” of Emergency? Psychological Hylomorphism and Supervenience Thesis

Riassunto:

Questo saggio si occupa della tesi contemporanea della sopravvenienza psicofisica e della sua applicazione nell’interpretazione dell’ilomorfismo psicologico di Aristotele. Si dimostrerà che la tesi della sopravvenienza, nelle sue diverse versioni, non è in grado di rendere conto dell’unità essenziale dell’anima e del sinolo psicofisico. Verranno forniti argomenti sulla base della discussione di Aristotele della dottrina dell’anima come harmonia del corpo (de An. I 4) e più in generale sulle sue affermazioni metodologiche in merito alla definizione dell’anima e delle sue affezioni (de An. I 1).

Parole chiave:
de Anima ; Ilomorfismo psicologico; Tesi della sopravvenienza; Emergenza; Anima-harmonia

Abstract:

This paper addresses the contemporary thesis of psychophysical supervenience and its application to the interpretation of Aristotle’s psychological hylomorphism. It will be shown that the supervenience thesis, in its different versions, fails to explain the essential unity of the soul and of the psychophysical compound. Arguments will be provided on the basis of Aristotle’s discussion of the harmony theory of the soul (de An. I 4) and more generally on his methodological claims on the definition of the soul and of its affections (de An. I 1).

Keywords:
Aristotle’s de Anima ; Psychological hylomorphism; Supervenience thesis; Emergency; Soul-Harmony theory

Introduzione

La concezione aristotelica dell’anima come forma di un corpo organico, nota in letteratura con il nome di ilemorfismo o ilomorfismo, è da tempo entrata a pieno titolo nel dibattito contemporaneo sul “problema mente-corpo” - la trama di questioni sollevata dalla relazione tra stati psichici (o mentali) e stati fisici1 1 Impiego il termine ‘stato’ in un’accezione ampia, che include sia quelli che sono chiamati propriamente “stati”, ossia condizioni stabili che rappresentano il possesso di una certa proprietà (gr. ἕξεις) sia “eventi”, ossia accadimenti particolari temporalmente individuati quali attività (gr. ἐνέργειαι) o processi (gr. κινήσεις). Per quanto riguarda invece gli aggettivi ‘psichico’ e ‘mentale’, tendo ad accordare una preferenza all’uso del primo: Aristotele include infatti nel novero dello “psichico” non solo stati mentali o di coscienza, ma anche fenomeni vegetativi quali la nutrizione. Sull’“invenzione moderna” della mente, si vedano ad es. Di Francesco, 2002, p. 52-55; Nannini, 2002, p. 19-20; Frede, 1995, p. 93-94; Putnam, 1994. (Berti, 1998BERTI E. (1998). Aristotele e il “Mind-Body Problem.” Iride 11, n. 23, p. 43-62.; 2008BERTI E. (2008). Aristotele nel Novecento. Roma-Bari, Laterza .; 2011BERTI E. (2011). L’ilemorfismo da Aristotele a oggi. Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 2, p. 173-180.; Galvan, 2011GALVAN S. (2011). L’ilemorfismo nella filosofia contemporanea. Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 2, p. 167-171.; Lowe, 2011LOWE E. J. (2011). Body, Soul, and Self. Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 2, p. 201-215. ; Runggaldier, 2011RUNGGALDIER E. (2011). Concezioni ilemorfiche dell’anima. Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 2, p. 181-200.; Marmodoro, 2013MARMODORO A. (2013). Aristotle’s Hylomorphism without Reconditioning. Philosophical Inquiry 36, n. 1-2, p. 5-22.; Jaworski, 2016JAWORSKI W. (2016). Structure and the Metaphysics of Mind: How Hylomorphism Solves the Mind-Body Problem. Oxford , Oxford University Press.; 2019JAWORSKI W. (2019). Contemporary Hylomorphism and the Problems of Mind versus Body. In: Medda R.; Zucca D. (eds.). The Soul/Body Problem in Plato and Aristotle. Baden-Baden, Academia Verlag, p. 177-192.; Charles, 2021CHARLES D. (2021). The Undivided Self: Aristotle and the ‘Mind-Body Problem’. Oxford , Oxford University Press.; Robinson, 2021ROBINSON H. M. ; SHIELDS C. (2021). Appendix: Howard Robinson and Christopher Shields on the Merits of Hylomorphism. In: Gregoric P. ; Fink J. L. (eds.). Encounters with Aristotelian Philosophy of Mind . New York-London, Routledge , p. 325-330., Shields, 2021SHIELDS C. (2021). Hylomorphic Mental Causation. In: Gregoric P. ; Fink J. L. (eds.). Encounters with Aristotelian Philosophy of Mind . New York-London, Routledge , p. 307-324.; Robinson/Shields 2021ROBINSON H. M. ; SHIELDS C. (2021). Appendix: Howard Robinson and Christopher Shields on the Merits of Hylomorphism. In: Gregoric P. ; Fink J. L. (eds.). Encounters with Aristotelian Philosophy of Mind . New York-London, Routledge , p. 325-330.). Un “ritorno ad Aristotele” in questo ambito di ricerca tuttavia si rivela tutt’altro che semplice. Nelle interpretazioni più diffuse dell’ilomorfismo psicologico si riscontra infatti una comune tendenza, vale a dire quella di leggere le riflessioni di Aristotele adottando categorie concettuali familiari al lettore moderno, assumendo perciò così, più o meno esplicitamente, una determinata teoria “post-cartesiana” del mentale (Charles, 2008CHARLES D. (2008). Aristotle’s Psychological Theory. Proceedings of the Boston Area Colloquium in Ancient Philosophy 24, p. 1-29.; 2009CHARLES D. (2009). Aristotle on Desire and Action. In: Frede D.; Reis B. (eds.). Body and Soul in Ancient Philosophy. Berlin, de Gruyter, p. 291-307.; 2021CHARLES D. (2021). The Undivided Self: Aristotle and the ‘Mind-Body Problem’. Oxford , Oxford University Press.).2 2 Un’ulteriore difficoltà riscontrabile nel tentativo di un “ritorno ad Aristotele” riguarda un ambito specifico della sua ricerca psicologica, ossia quello della noetica. Gli autori contemporanei hanno infatti constatato una tensione - se non addirittura una vera e propria incoerenza - tra la generale prospettiva aristotelica sulla relazione ψυχή-σῶμα, di stampo appunto ilomorfista, e le sue affermazioni nel de Anima in merito alla “separabilità” e “non mescolanza” del νοῦς. Per questo problema, che non sarà qui oggetto di discussione, rimando tra gli studi più recenti a Zucca, 2019; Robinson, 2021; Roreitner, 2021. Questo lavoro si propone di discutere la legittimità di tale appropriazione prendendo in considerazione in particolare l’interpretazione della “sopravvenienza” nella versione offertane da Victor Caston (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363.).3 3 Si vedano anche Caston, 1993; 2006. Aristotele è stato considerato un autore sopravveniente anche da Heinaman, 1990, p. 90-91; Robinson, 1991, p. 221, 223; Scaltsas, 1994, p. 208-209, i quali però gli attribuiscono una teoria della mente che sotto importanti rispetti è diversa da quella descritta da Caston, come egli stesso non manca di osservare (1997, p. 332 n. 51). In quanto segue, mantengo dunque le definizioni di sopravvenienza, epifenomenalismo ed emergentismo formulate da Caston, 1997, p. 310-319.

La “sopravvenienza” come interpretazione dell’ilomorfismo aristotelico

In termini generali, per “sopravvenienza” si intende la concezione secondo la quale lo psichico è dipendente dal fisico. I sostenitori della sopravvenienza non leggono la relazione di “dipendenza” dello psichico dal fisico in termini di connessione causale; si limitano piuttosto ad asserire la regolarità con cui una variazione psichica “segue” una variazione fisica (in slogan: “non si dà una variazione psichica senza una variazione fisica”); per questa ragione la sopravvenienza può essere intesa come una forma di “covariazione non simmetrica” dello psichico e del fisico, nel senso che gli stati psichici variano al variare degli stati fisici (Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 313-314). Per i sostenitori della sopravvenienza ogni occorrenza (ossia ogni accadimento particolare) di uno stato psichico è “riducibile” (nel senso di identica) all’occorrenza di uno stato fisico (token identity): una prospettiva caratterizzabile in generale come “materialista” (o, in termini contemporanei, fisicalista 4 4 Semplificando notevolmente la questione, si può dire che il materialista sostiene che tutto ciò che esiste è materiale, e che la materia è solida, impenetrabile, permanente, interagisce deterministicamente e solo per contatto; il fisicalista sostiene invece che esiste ciò che compare nell’ontologia della scienza fisica (forze, onde, campi e così via), che viene stabilito empiricamente. Il fisicalismo gode perciò di un’“apertura indefinita”, mentre il materialismo stabilisce relativamente a priori il contenuto della propria dottrina. Sul punto vedi Crane, 2001, p. 63-68. ), anche se può raccogliere tra i suoi sostenitori fautori di posizioni molto distanti tra di loro, come ad esempio il materialismo “forte” (riduzionista) o vere e proprie forme di dualismo.5 5 La nozione di sopravvenienza può essere associata a una forma “forte” (riduzionista) di materialismo, secondo cui i fenomeni psichici sono identici ai fenomeni fisici sia da un punto di vista ontologico (token identity) sia da un punto di vista epistemologico (type identity), così come a una versione “debole” (non riduzionista) di esso, che riconosce l’autonomia esplicativa dello psichico, in accordo con il dualismo concettuale o dei tipi (type dualism). Come osserva Di Francesco (2002, p. 111), la nozione di sopravvenienza è compatibile anche con forme di dualismo ontologico quali l’“emergentismo metafisico”, che considera i fenomeni psichici “emergenti” dalla materia come entità genuine con poteri causali “intrinseci e non fisici”, e in quanto tali come irriducibili ai corrispondenti fisici, sia da un punto di vista esplicativo sia da un punto di vista ontologico. Questa sua “flessibilità” è da imputare ad alcune assunzioni basilari, che riguardano, in particolare: (i) l’interpretazione della relazione di “dipendenza” degli stati psichici dagli stati fisici; e (ii) l’attribuzione di “efficacia causale” agli stati psichici.

Riguardo al primo punto, è possibile distinguere due forme di sopravvenienza:6 6 Nel saggio del 1997, Caston non distingue queste due forme di sopravvenienza, limitandosi ad accogliere la seconda ([SF]) (p. 314 n. 9). Le due forme di sopravvenienza sono invece distinte dall’autore in un saggio di qualche anno precedente: cfr. Caston, 1993, p. 112-113. Per queste formulazioni Caston dichiara, in entrambi i saggi (1993, p. 112, 130 n. 14; 1997, p. 314 n. 9), il suo debito a Jaegwon Kim: cfr. in part. Kim, 1984; 1990.

(SD) La sopravvenienza “debole”, che stabilisce che nel mondo attuale un certo stato fisico è condizione sufficiente per un certo stato psichico;

(SF) La sopravvenienza “forte”, secondo cui in tutti i mondi possibili un certo stato fisico è condizione sufficiente per un certo stato psichico.

Per (SD), ogni data occorrenza di uno stato psichico è dipendente dall’occorrenza di uno stato fisico, ma non è necessario che ogni ulteriore occorrenza di quel tipo di stato psichico sopravvenga sul tipo di stato fisico originariamente associato: possiamo infatti immaginare mondi possibili in cui ciò non avviene. In altre parole, (SD) stabilisce tra lo psichico e il fisico un rapporto di covariazione de facto o contingente, che in quanto tale esclude la formulazioni di leggi universali e necessarie che mettano in correlazione tipi di stati psichici con tipi di stati fisici. A differenza di (SD), in (SF) è possibile specificare che in tutti i mondi possibili, ossia necessariamente, le occorrenze di un certo tipo di stato psichico dipendono da una certa base fisica: per esempio, in tutte le occorrenze dello stato psichico del dolore - vale a dire, in tutte le occorrenze della percezione cosciente di un segnale algogeno - necessariamente la base fisica è la stimolazione delle fibre nocicettive. In questa prospettiva è possibile operare - almeno in linea di principio 7 7 Caston è cauto nell’attribuire a (SF) la tesi della riduzione epistemologica dello psichico al fisico: questa infatti appare incompatibile con un’altra tesi da lui sostenuta, quella dell’efficacia causale dello psichico, che ne implica l’autonomia esplicativa (vedi infra, n. 8). La cautela di Caston in merito alla riduzione epistemologica dello psichico al fisico è del resto condivisa anche da Kim, 1984, p. 173-176. - non solo una riduzione ontologica ma anche una riduzione epistemologica degli stati psichici agli stati fisici, “traducendo” la classificazione psicologica degli stati mentali nei termini delle proprietà fisico-biologiche del sistema nervoso (Caston, 1993CASTON V. (1993). Aristotle and Supervenience. Southern Journal of Philosophy supp. 31, p. 107-135., p. 113).

La seconda importante distinzione nell’ambito della tesi della sopravvenienza è data dalla risposta in merito alla questione dell’efficacia causale dello psichico, vale a dire la possibilità di considerare gli stati psichici come “cause genuine” del comportamento degli agenti cognitivi.

(EP) Per un epifenomenista, gli stati psichici sono “manifestazioni accessorie” degli stati fisici senza alcuna efficacia causale.

(EM) Secondo gli emergentisti, le proprietà psichiche, che «emergono» dalla materia quando questa raggiunge un certo livello di complessità, esercitano anche una forma di “influenza causale” sul fisico, sono cioè causalmente efficaci (causalità retrograda o verso il basso).

Per (EP), uno stato psichico non è causalmente efficace in quanto esemplificazione di un tipo psichico, mentre è causalmente efficace in quanto esemplificazione di un tipo fisico: in base all’“argomento dell’esclusione causale”, se per ogni effetto fisico c’è una causa fisica sufficiente al suo verificarsi (come stabilito dal principio di “chiusura causale della fisica”), allora un’eventuale causa non fisica (psichica) di quell’effetto è “concomitante” e “sovraordinata” rispetto alla reale causa fisica e perciò o riducibile (identica) a questa o comunque superflua per la sua spiegazione (Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 314-315). Dunque, mentre (EP) mantiene il fondamentale principio del fisicalismo della “chiusura causale”, (EM) contravviene ad esso, poiché afferma che certi effetti fisici possano avere anche cause genuine non fisiche (psichiche); (EM) può allora configurarsi come una forma di dualismo, perché ammette che i fenomeni psichici, una volta “emersi” dalla materia, esibiscano poteri causali “nuovi” e autonomi, ossia poteri che la loro base di realizzazione materiale non esercita e non può esercitare (Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 317-319; vedi anche Di Francesco, 2002DI FRANCESCO, M. (2002). Introduzione alla filosofia della mente. Roma, Carocci., p. 119).8 8 Recentemente si è provato a rendere compatibile l’emergentismo con il fisicalismo intendendo la causalità retrograda in termini di forze configurazionali: le nuove leggi emergenti possono essere ricondotte idealmente a quelle fisiche, dato che alla loro origine c’è un unico meccanismo causale, che è un meccanismo fisico; data la coerenza delle leggi emergenti con le leggi della meccanica, questa forma di emergentismo (anche chiamato “emergentismo riduzionista”) rispetta il “principio di completezza esplicativa della fisica”. La versione di emergentismo proposta da Caston appare tuttavia diversa rispetto a questa forma riduzionista: secondo Caston infatti, le nuove leggi emergenti non possono essere ricondotte a quelle fisiche perché introducono un apparato concettuale radicalmente incommensurabile con quello fisico; le nuove leggi mettono allora in luce aspetti nuovi dell’universo, ossia aspetti non prevedibili e non descrivibili in termini fisicalisti (1997, p. 331). Per la distinzione di queste due forme di emergentismo, vedi Di Francesco, 2002, p. 121; si veda anche Onnis, 2022.

Ad interpretare l’ilomorfismo psicologico di Aristotele come una forma di sopravvenienza sono stati, secondo Victor Caston, già i pensatori antichi: tra questi “eroi non celebrati” (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 354), in particolare è stato Alessandro di Afrodisia (II-III d. C.) ad “avere capito Aristotele molto bene, come d’abitudine” (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 347).9 9 Secondo Caston, Alessandro di Afrodisia non è stato l’unico tra i commentatori antichi a leggere il rapporto tra l’anima e il corpo nei termini della sopravvenienza, ma rappresenta un “ritorno all’ortodossia”, offrendo della teoria una versione “neo-aristotelica”, vale a dire, nell’interpretazione di Caston, emergentista e non epifenomenalista (1997, p. 347-354). In tempi più vicini ad Alessandro la teoria dell’anima come harmonia (considerata, come si vedrà, una versione antica della tesi della sopravvenienza) è sostenuta da Galeno, per es. in Quod animi mores corporis temperamenta sequantur, a cui Alessandro fa forse implicitamente riferimento (1997, p. 350-354; vedi anche Accattino/Donini, 1996, p. 147 ad de An. 24.18-26.30, p. 150 ad de An. 26.16-20). Sulla teoria dell’anima come harmonia fino ai primi peripatetici, vedi Gottschalk, 1971, p. 182-190; per Dicearco di Messina e Aristosseno di Taranto, vedi, oltre a Caston 1997, p. 339-346, anche Movia, 1968, p. 71-93. Il commento di Alessandro di Afrodisia al de Anima aristotelico, com’è noto, è andato perduto; è stato conservato tuttavia il suo trattato originale, il de Anima, nel quale Alessandro rielabora le tesi aristoteliche sull’anima.

Secondo Alessandro, l’anima è “una sorta di potenza e una sostanza che sopravviene (ἐπὶ […] γινομένη) agli organi” (de An. 2 [Mantissa] 104.27-28; vedi anche de An. 24.18-26.30). Che Alessandro possa avere inteso il rapporto tra anima e corpo in accordo con la tesi contemporanea della sopravvenienza è suggerito, secondo Caston (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 348-349), dalle sue affermazioni in merito alla dipendenza della ψυχή dalla κρᾶσις corporea, ossia da una condizione relativamente stabile del corpo determinata dalla proporzione della mescolanza delle quattro qualità fondamentali degli elementi (il caldo, il freddo, il secco, l’umido). Per Alessandro, “Il corpo con la sua mescolanza è la causa (αἰτία) per l’anima della generazione da principio […]. Non sono le anime a plasmare le conformazioni, bensì le differenti anime seguono (ἐπηκολούθησαν) a quella tale composizione delle parti e le une variano al variare delle altre (συμμεταβάλλουσιν […] ἀλλήλοις) […] A quella tale mescolanza del corpo segue (ἕπεται) anche la differenza dell’anima” (de An. 2 [Mantissa] 104.28-33). Secondo Alessandro, dunque, non si danno variazioni nell’anima senza variazioni nel corpo: le variazioni psichiche sono dipendenti (“seguono”, ἕπεται) da quelle corporee. Alessandro difende inoltre l’efficacia causale del mentale (cfr. per es. de An. 24.11-15): può dunque essere considerato, secondo Caston (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 349), come uno tra i primi interpreti emergentisti del pensiero aristotelico.

Riprendendo le osservazioni di Alessandro di Afrodisia, Victor Caston pensa che Aristotele possa essere considerato a pieno titolo un sostenitore della tesi della sopravvenienza forte nella versione emergentista. Come evidenza testuale Caston (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 332-334) considera un passo del primo libro del de Anima (T1) nel quale Aristotele offre una serie di prove empiriche della tesi secondo cui le variazioni psichiche coinvolgono anche il corpo, impiegando l’esempio delle passioni:10 10 Forse per questo Temistio sostiene che le affezioni dell’anima che “seguono le mescolanze del corpo e si accrescono e diminuiscono col variare di tale mescolanza” sono soltanto le passioni; le attività dell’anima più elevate come la percezione e il pensiero possono tutt’al più essere disturbate dalle condizioni del corpo, ma non ne sono direttamente dipendenti (in de An. 7.13-23). Per Aristotele invece le passioni costituiscono un caso paradigmatico del fatto che tutte le affezioni dell’anima coinvolgono il corpo: cfr. T1, 403a16-17; vedi anche 403a5-10.

T1. Sembra che anche le affezioni dell’anima siano tutte con il corpo: ira, tranquillità, paura, pietà, ardimento e ancora gioia e amare e odiare: infatti insieme a queste subisce qualcosa il corpo. Lo rivela [i] a volte il non essere per nulla irritati o impauriti quando si presentano stimoli11 11 Il termine greco per “stimolo” è πάθημα, che assume in 403a20 l’accezione tecnica di “causa del πάθος” (cfr. Bonitz, 1870, 554b26-32), come dimostra la sostituzione a 403a23 di παθήματα (o πάθημα) con l’aggettivo sostantivato φοβερόν, lett. “che fa o causa paura”. Caston, 1997, p. 332 traduce “provocations”. forti e distinti, mentre [ii] altre volte l’essere mossi da stimoli deboli e indistinti, se il corpo è eccitato e sta così come quando ci si adira. E inoltre ancora più evidente è questo: [iii] anche quando non si presenta nessun stimolo alla paura, si è nelle stesse condizioni di chi prova paura.12 12 “Essere nelle stesse condizioni di chi prova paura” (ἐν τοῖς πάθεσι γίνονται τοῖς τοῦ φοβουμένου) è una perifrasi per “avere (o provare) paura”: nel corpus aristotelico infatti l’espressione ἐν τοῖς πάθεσι (γίγνομαι) equivale a πάσχειν (τι). Sul punto si veda, oltre a Caston, 1997, p. 333 n. 55, anche Hicks, 1907, p. 199 ad de An. 403a24. Se le cose stanno così, è chiaro che le affezioni sono forme materiate. (Arist. de An. 1.1 403a16-25)13 13 ἔοικε δὲ καὶ τὰ τῆς ψυχῆς πάθη πάντα εἶναι μετὰ σώματος, θυμός, πραότης, φόβος, ἔλεος, θάρσος, ἔτι χαρὰ καὶ τὸ φιλεῖν τε καὶ μισεῖν· ἅμα γὰρ τούτοις πάσχει τι τὸ σῶμα. μηνύει δὲ τὸ ποτὲ μὲν ἰσχυρῶν καὶ ἐναργῶν παθημάτων συμβαινόντων μηδὲν παροξύνεσθαι ἢ φοβεῖσθαι, ἐνίοτε δ’ ὑπὸ μικρῶν καὶ ἀμαυρῶν κινεῖσθαι, ὅταν ὀργᾷ τὸ σῶμα καὶ οὕτως ἔχῃ ὥσπερ ὅταν ὀργίζηται. ἔτι δὲ μᾶλλον τοῦτο φανερόν· μηθενὸς γὰρ φοβεροῦ συμβαίνοντος ἐν τοῖς πάθεσι γίνονται τοῖς τοῦ φοβουμένου. εἰ δ’ οὕτως ἔχει, δῆλον ὅτι τὰ πάθη λόγοι ἔνυλοί εἰσιν. Per il testo del de Anima aristotelico adotto l’edizione di Ross, 1961; se non altrimenti specificato, le traduzioni sono mie.

Secondo Caston (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 333-334), T1 mostra che per Aristotele un certo stato di eccitazione del corpo - sempre lo stesso in qualsiasi occorrenza - è condizione necessaria e sufficiente per una certa reazione emotiva. Gli stimoli per un certo stato mentale, ad esempio per l’ira, possono essere anche forti e distinti (caso [i]), ma se manca lo stato fisico rilevante non ci si adira: un certo stato fisico è dunque condizione necessaria per uno stato mentale. Se invece lo stato fisico rilevante per l’ira è presente, anche di fronte a stimoli deboli e indistinti (caso [ii]) o addirittura in assenza di stimoli (caso [iii]), il soggetto “è mosso” all’ira: un certo stato fisico è dunque anche condizione sufficiente per uno stato mentale. Da questo punto di vista, gli stati psichici del vivente (incluso, secondo Caston, il pensiero14 14 Vedi Caston, 1997, p. 334 n. 57. Caston sostiene che (a) la facoltà del pensiero sopravvenga sul corpo come un tutto e (b) che i pensieri sopravvengano sullo stato intero del corpo. Per quanto riguarda il νοῦς ποιητικός, Caston, fedele alla linea di Alessandro di Afrodisia, sostiene che sia separato dall’uomo e divino (1996; 1999). ) sono “del tutto determinati” dalle condizioni fisiche: a una certa variazione fisica necessariamente segue la corrispondente variazione psichica (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 337).

Caston vorrebbe, con questa lettura, combinare la sopravvenienza forte con quello che lui considera “il rifiuto del riduzionismo” (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 335 n. 59), in quanto mantiene che il mentale abbia efficacia causale. Aristotele per Caston è un emergentista, perché mantiene la dipendenza degli stati mentali dagli stati fisici insieme alla loro efficacia causale: “If all this is right, then it becomes natural to view Aristotle’s approach as emergentist: one that maintains that the mental supervenes on the physical, while having distinctive causal powers of its own” (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 337).

Errore categoriale e altri fraintendimenti

Alla validità della tesi della sopravvenienza come interpretazioni della psicologia aristotelica è possibile muovere una prima, fondamentale, obiezione, che potremmo chiamare, riprendendo una famosa espressione di Gilbert Ryle, “errore categoriale” (category mistake).

La definizione aristotelica dell’anima come “forma” di un determinato corpo non deve infatti essere fraintesa nel senso di attributo o proprietà del corpo vivente. L’anima non può essere considerata attributo del corpo, perché al pari del corpo anch’essa è sostanza, anche se in un senso diverso: mentre l’anima è sostanza come forma, il corpo è sostanza come materia:

T2. Diciamo un certo genere di enti ‘sostanza’, e lo <diciamo> in un senso come materia, la quale di per sé non è un questo qui; in un altro senso la forma, in virtù della quale precisamente si parla di un questo qui; e in un terzo senso <ciò che risulta> da queste due [scl. il sinolo ilomorfico]. La materia poi è potenza mentre la forma atto, e l’atto <si dice> in due sensi, l’uno come conoscenza, l’altro come l’esercizio di essa. […] Dunque è necessario che l’anima sia sostanza come forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza. La sostanza <in questo senso> è atto; allora <l’anima> <è> atto di un corpo di questo tipo [scl. di un corpo naturale che ha la vita in potenza]. (Arist. de An. 2.1 412a6-11, 19-21)15 15 λέγομεν δὴ γένος ἕν τι τῶν ὄντων τὴν οὐσίαν, ταύτης δὲ τὸ μέν, ὡς ὕλην, ὃ καθ’ αὑτὸ οὐκ ἔστι τόδε τι, ἕτερον δὲ μορφὴν καὶ εἶδος, καθ’ ἣν ἤδη λέγεται τόδε τι, καὶ τρίτον τὸ ἐκ τούτων. ἔστι δ’ ἡ μὲν ὕλη δύναμις, τὸ δ’ εἶδος ἐντελέχεια, καὶ τοῦτο διχῶς, τὸ μὲν ὡς ἐπιστήμη, τὸ δ’ ὡς τὸ θεωρεῖν. […]. ἀναγκαῖον ἄρα τὴν ψυχὴν οὐσίαν εἶναι ὡς εἶδος σώματος φυσικοῦ δυνάμει ζωὴν ἔχοντος. ἡ δ’ οὐσία ἐντελέχεια· τοιούτου ἄρα σώματος ἐντελέχεια.

Per Caston la relazione tra corpo e anima è equivalente alla relazione tra la sostanza e “un qualcosa che è predicato della sostanza” (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 323 n. 30), un suo attributo appunto; sussiste tuttavia una importante differenza tra la sostanza intesa come sinolo ilomorfico, da una parte, e la sostanza intesa come forma (o come materia) dall’altra. A differenza del sinolo, forma e materia degli enti sensibili sono “sostanze incomplete” (Cohen, 1996COHEN S. M. (1996). Aristotle on Nature and Incomplete Substance. Cambridge, Cambridge University Press .), che non possono darsi l’una senza l’altra. In altre parole, l’anima non può darsi senza il corpo, ossia senza la materia di cui essa è forma; ma si potrebbe parimenti affermare che il corpo non può darsi senza l’anima, ossia senza la forma di cui esso è materia.

Per esprimere questa unità inscindibile di forma e materia nel caso delle “affezioni” del vivente,16 16 Torneremo tra breve sul significato del termine ‘affezione’ (gr. πάθος). Aristotele utilizza in T1 l’espressione λόγοι ἔνυλοι (403a25), “forme materiate” (o incorporate). Caratterizzando le affezioni dell’anima come forme materiate o incorporate, Aristotele è in grado di chiarire la ragione per cui esse coinvolgono essenzialmente anche il corpo: è la loro stessa forma ad essere “materiata”, ossia “inseparabile” da una determinata materia sia da un punto di vista ontologico sia da un punto di vista definizionale, come del resto avevano già osservato i commentatori antichi (Them. in de An. 7.25 H.; Phlp. in de An. 54.15-16 H.; Th. in de An. § 22).

In accordo con Caston, dunque, è possibile affermare che le tre prove empiriche presentate in T1 mostrino che un certo stato fisico è per Aristotele condizione necessaria e sufficiente per una certo stato mentale; ma non per la ragione ipotizzata da Caston. Per Caston, si è visto, un determinato stato fisico è condizione necessaria e sufficiente di un certo stato mentale perché lo stato mentale “segue”, ossia è dipendente, dallo stato fisico; per Aristotele, invece, un determinato stato fisico è condizione necessaria e sufficiente di un certo stato mentale proprio a motivo dell’unità di forma e materia, di anima e corpo, del sinolo vivente. Gli stati “fisici” rilevanti per le passioni sono infatti affezioni del corpo, vale a dire di una materia essenzialmente dotata della capacità per la vita; coinvolgendo dunque il corpo, essi coinvolgono “insieme” o “simultaneamente” (ἅμα, T1, 403a18)17 17 Secondo Bonitz, 1870, 36b54-60, si possono individuare almeno tre sensi dell’avverbio ἅμα nel corpus aristotelico: secondo il luogo (κατὰ τόπον), secondo il tempo (κατὰ χρόνον) e per natura (τῇ φύσει); quella tra psichico e corporeo nelle affezioni del vivente è una simultaneità per natura o ontologica: cfr. Cat. 13 14b27-32 con Bressan, 2011. anche la forma che lo definisce come tale, l’anima appunto.

Una critica alla tesi della sopravvenienza è stata mossa, secondo alcuni interpreti, dallo stesso Aristotele, in un capitolo del primo libro del de Anima dedicato all’analisi di una “versione antica” di tale tesi: la dottrina dell’anima come harmonia del corpo (de An. 1.4 407b27-408a30).18 18 Per la dottrina dell’anima-harmonia come una “versione antica” della sopravvenienza, specialmente del tipo epifenomenalista, vedi, oltre a Caston, 1997, p. 319-326, anche della Valle, 1905; Irwin, 1991; Langton, 2000. La paternità di questa dottrina viene solitamente attribuita a Filolao (DK 44 A23) (cfr. per es. Ross, 1961, p. 195 ad de An. 407b27-408a28; Laurenti, 2007, p. 116 n. 68; Movia, 1991, p. 257 ad de An. 407b27-32) - del resto Simmia, portavoce della teoria nel Fedone, è un allievo di Filolao (61d6-7); essa appare però in aperto contrasto con alcuni aspetti cardine della teoria pitagorica dell’anima, quale segnatamente quello della sua immortalità, sostenuta anche dallo stesso Filolao. Altri studiosi attribuiscono invece la dottrina agli Eleati (per es. Geddes, 1863); a Eraclito o più in generale a una tradizione popolare (per es. Della Valle, 1905); o ancora ad Alcmeone, Empedocle e alla scuola medica siciliana (per es. Raven/Kirk, 1957). Per una discussione (e un rifiuto) di tutte queste alternative, vedi Gottschalk, 1971, p. 191-194, che invece ritiene che essa sia un’invenzione, a scopo dialettico, di Platone (p. 194-195).

T3. Anche un’altra opinione sull’anima è stata tramandata, per molti non meno persuasiva di quelle dette, ma che ha dovuto dare ragione <di sé> come nei tribunali, anche nelle discussioni che si fanno in pubblico. Dicono infatti che <l’anima> è una certa harmonia. (Arist. de An. 1.4 407b27-30)19 19 Καὶ ἄλλη δέ τις δόξα παραδέδοται περὶ ψυχῆς, πιθανὴ μὲν πολλοῖς οὐδεμιᾶς ἧττον τῶν λεγομένων, λόγον δ’ ὥσπερ εὐθύνοις δεδωκυῖα κἀν τοῖς ἐν κοινῷ γεγενημένοις λόγοις. ἁρμονίαν γάρ τινα αὐτὴν λέγουσι.

Aristotele presenta la dottrina dell’anima-harmonia come un’opinione consolidata, “non meno persuasiva” di quelle da lui già prese in considerazione20 20 Cfr. de An. 1.2-3. Per un’analisi recente di questi capitoli, si veda Carter, 2019. ma già sottoposta “pubblicamente” a vaglio critico - un probabile riferimento all’esposizione e al rifiuto della dottrina compiuta da Platone nel Fedone (85e3-86d4; 91c6-95a3).21 21 Può darsi anche che Aristotele si riferisca a una discussione accademica del Fedone, quale potrebbe essere quella testimoniata dal dialogo Eudemo: cfr. Hicks, 1907, ad de An. 407b29; Gottschalk, 1971, p. 195; Movia, 1991, p. 258 ad de An. 407b27-32; Polansky, 2007, p. 105 ad de An. 407b27-408a28. Caston, 1997, p. 339 ritiene che il riferimento sia alla fortuna che questa dottrina ha avuto nel Liceo (vedi supra, n. 9).

Una delle obiezioni22 22 La maggior parte degli interpreti legge in 407b32-408a5 il riferimento ad almeno quattro obiezioni: [1] καίτοι γε […] λόγος τίς […] ἢ σύνθεσις […] οὐδέτερον […] τούτων. [2] ἔτι δὲ τὸ κινεῖν […] ὡς εἰπεῖν. [3] ἁρμόζει δὲ μᾶλλον καθ’ ὑγιείας […] καὶ ὅλως τῶν σωματικῶν ἀρετῶν, ἢ κατὰ ψυχῆς. [4] φανερώτατον δ’ εἴ τις ἀποδιδόναι πειραθείη τὰ πάθη καὶ τὰ ἔργα τῆς ψυχῆς […] ἐφαρμόζειν. Vedi per es. Hicks, 1907, p. 265-266 ad de An. 407b32-408a28; Movia, 1991, p. 256; Shields, 2016, p. 138 ad de An. 407b32-408a5. Nella ipotesi esegetica qui proposta, si ritiene invece che ἔτι δὲ (407b34) segni un discrimine tra due argomenti: il primo, segnalato da καίτοι γε (407b32), fondato sui significati del termine harmonia; il secondo, segnalato appunto da ἔτι δὲ (407b34), consistente in un’obiezione categoriale dimostrata, come vedremo, tramite il “test” della deducibilità degli attributi necessari; i δὲ continuativi che seguono (408a1, 408a3) fanno parte di questo (unico) secondo argomento. che Aristotele muove agli armonisti è proprio quella di avere compiuto un errore categoriale:

T4. Si armonizza poi di più predicare il termine harmonia secondo la salute e in generale secondo le eccellenze corporee, invece che secondo l’anima. (Arist. de An. 1.4 408a1-3)23 23 ἁρμόζει δὲ μᾶλλον καθ’ ὑγιείας λέγειν ἁρμονίαν, καὶ ὅλως τῶν σωματικῶν ἀρετῶν, ἢ κατὰ ψυχῆς. Sembra che questa osservazione fosse presente anche nel dialogo Eudemo: cfr. Phlp. in de An. 144.21-145.6, 147.6-10. (fr. 7 Ross 1955).

Secondo Aristotele la harmonia è uno stato eccellente (ἀρετή) del corpo e come tale rientra nella categoria della qualità (Cat. 8b25-9a5); dunque l’anima non può essere definita harmonia, perché ciò significherebbe considerare l’anima come una qualità del corpo, mentre essa, come si è visto (T2), è sostanza al pari del corpo.24 24 Cfr. anche Eudemo, fr. 7 Ross 1955.

Prova “evidentissima” dell’errore degli armonisti è il fatto che la definizione di anima come harmonia fallisce quello che Aristotele considera un “test” per valutare la correttezza di una definizione:

T5. <Ciò è> chiarissimo qualora uno provi a ricondurre le affezioni e le operazioni dell’anima a una certa harmonia: difficile <è> infatti armonizzar<le>. (Arist. de An. 1.4 408a3-5)25 25 φανερώτατον δ’ εἴ τις ἀποδιδόναι πειραθείη τὰ πάθη καὶ τὰ ἔργα τῆς ψυχῆς ἁρμονίᾳ τινί• χαλεπὸν γὰρ ἐφαρμόζειν.

Per “affezioni e operazioni dell’anima” (τὰ πάθη καὶ τὰ ἔργα τῆς ψυχῆς), Aristotele intende passioni (παθήματα) come l’ira e l’ardimento, e operazioni proprie o attività caratteristiche (ἔργα) come il desiderare e il percepire (cfr. per es. de An. 1.1 403b25-29; 5 409b11-18). Secondo Aristotele tutti questi πάθη ed ἔργα sono da un lato empiricamente constatabili e dall’altro deducibili logicamente dalla definizione dell’anima;26 26 I due procedimenti euristici dell’induzione (dalla constatazione empirica degli attributi per sé dell’anima all’apprensione della nozione della sua essenza) e della deduzione (dalla nozione dell’essenza dell’anima alla conoscenza dei suoi attributi per sé) sono per Aristotele complementari: gli attributi per sé dell’anima sono infatti manifesti per esperienza prima ancora di essere dedotti logicamente dalla nozione della sua essenza: cfr. T6, 402b16-22 (e in part. vedi ἀνάπαλιν, 402b21). sono insomma attributi che appartengono all’ousia dell’anima “per sé” o necessariamente (συμβεβηκότα <καθ’ αὑτά>):

T6. Sembra che non solo conoscere il che cos’è sia utile alla conoscenza delle cause degli attributi che appartengono <per sé> all’ousia (come nelle matematiche <conoscere> che cosa <è> il retto e il curvo, o la linea e la superficie <è utile> alla conoscenza di quanti retti <siano> uguali gli angoli del triangolo), ma anche, viceversa, che <conoscere> gli attributi <per sé> contribuisca in larga misura alla conoscenza del che cos’è. Quando infatti siamo in grado di rendere conto, in conformità con l’esperienza, degli attributi <per sé>, di tutti o della maggior parte, allora potremo parlare anche dell’ousia nel modo più corretto. Principio di ogni dimostrazione è infatti il che cos’è, e di conseguenza è chiaro che le definizioni che non consentono di conoscere gli attributi <per sé> e neppure di congetturarli con facilità sono tutte formulate in modo dialettico e vuoto. (Arist. de An. 1.1 402b16-403a2)27 27 ἔοικε δ’ οὐ μόνον τὸ τί ἐστι γνῶναι χρήσιμον εἶναι πρὸς τὸ θεωρῆσαι τὰς αἰτίας τῶν συμβεβηκότων ταῖς οὐσίαις (ὥσπερ ἐν τοῖς μαθήμασι τί τὸ εὐθὺ καὶ τὸ καμπύλον, ἢ τί γραμμὴ καὶ ἐπίπεδον, πρὸς τὸ κατιδεῖν πόσαις ὀρθαῖς αἱ τοῦ τριγώνου γωνίαι ἴσαι), ἀλλὰ καὶ ἀνάπαλιν τὰ συμβεβηκότα συμβάλλεται μέγα μέρος πρὸς τὸ εἰδέναι τὸ τί ἐστιν· ἐπειδὰν γὰρ ἔχωμεν ἀποδιδόναι κατὰ τὴν φαντασίαν περὶ τῶν συμβεβηκότων, ἢ πάντων ἢ τῶν πλείστων, τότε καὶ περὶ τῆς οὐσίας ἕξομεν λέγειν κάλλιστα· πάσης γὰρ ἀποδείξεως ἀρχὴ τὸ τί ἐστιν, ὥστε καθ’ ὅσους τῶν ὁρισμῶν μὴ συμβαίνει τὰ συμβεβηκότα γνωρίζειν, ἀλλὰ μηδ’ εἰκάσαι περὶ αὐτῶν εὐμαρές, δῆλον ὅτι διαλεκτικῶς εἴρηνται καὶ κενῶς ἅπαντες.

Ora, se si accetta la nozione dell’anima come harmonia del corpo, diventa “difficile” - osserva Aristotele in T5 (408a5) - rendere conto dei suoi “attributi necessari”. Come può infatti essere attribuìto a una qualità “l’adirarsi, l’ardire, il desiderare e il percepire”? Questi sembrano piuttosto essere “affezioni e operazioni” di una sostanza. Poiché alla harmonia non è possibile attribuire quelle che sono proprietà che tutti invece riconoscono appartenere all’anima, è chiaro che la definizione di essa in questi termini è stata formulata “in modo dialettico e vuoto” (T6, 403a2).

In particolare, una caratteristica che anche i predecessori di Aristotele hanno riconosciuto appartenere all’anima è quella di essere responsabile del movimento o cambiamento (κίνησις), ossia di essere causalmente efficace:28 28 Per Caston questa costituisce l’obiezione fondamentale di Aristotele alla dottrina dell’anima-harmonia, da lui equiparata all’epifenomenismo contemporaneo (1997, p. 326-332).

T7. Inoltre il muovere non è proprio della harmonia, mentre tutti attribuiscono all’anima questo soprattutto, si può dire. (Arist. de An. 1.4 407b34-408a1)29 29 ἔτι δὲ τὸ κινεῖν οὐκ ἔστιν ἁρμονίας, ψυχῇ δὲ πάντες ἀπονέμουσι τοῦτο μάλισθ’ ὡς εἰπεῖν. Cfr. anche de An. 1.1 403b25-29.

Nel proseguo del capitolo Aristotele chiarisce che l’anima è responsabile del movimento del corpo in quanto costituisce “ciò in virtù di cui” (ᾧ) il corpo animato “è mosso” (ossia compie determinate operazione o subisce determinate passioni):

T8. Noi diciamo infatti che l’anima prova dolore e gioia, ardimento e paura, e inoltre che si adira, percepisce e pensa: tutte queste <affezioni e operazioni> sembrano essere movimenti; pertanto si potrebbe pensare che essa [scl. l’anima] sia mossa; ma ciò non è necessario […]. Dire che l’anima si adira è come se uno dicesse che l’anima tesse o costruisce una casa; è meglio forse dire non che l’anima prova compassione o impara o pensa, ma l’essere umano in virtù dell’anima. (Arist. de An. 1.4 408b1-5, 11-15)30 30 φαμὲν γὰρ τὴν ψυχὴν λυπεῖσθαι χαίρειν, θαρρεῖν φοβεῖσθαι, ἔτι δὲ ὀργίζεσθαί τε καὶ αἰσθάνεσθαι καὶ διανοεῖσθαι· ταῦτα δὲ πάντα κινήσεις εἶναι δοκοῦσιν. ὅθεν οἰηθείη τις ἂν αὐτὴν κινεῖσθαι· τὸ δ’ οὐκ ἔστιν ἀναγκαῖον. […]. τὸ δὴ λέγειν ὀργίζεσθαι τὴν ψυχὴν ὅμοιον κἂν εἴ τις λέγοι τὴν ψυχὴν ὑφαίνειν ἢ οἰκοδομεῖν· βέλτιον γὰρ ἴσως μὴ λέγειν τὴν ψυχὴν ἐλεεῖν ἢ μανθάνειν ἢ διανοεῖσθαι, ἀλλὰ τὸν ἄνθρωπον τῇ ψυχῇ.

L’anima è “ciò in virtù di cui” (ᾧ) l’essere vivente è mosso “in senso proprio” (πρώτως), ossia in quanto forma e atto primo del vivente che è capace di svolgere queste attività, come Aristotele chiarirà nel secondo libro del de Anima:

T9. ‘Ciò in virtù di cui viviamo e percepiamo’ si dice in due sensi, come ‘ciò in virtù di cui conosciamo’ (diciamo <‘ciò in virtù di cui conosciamo’> <intendendo> da un lato la conoscenza e dall’altro l’anima: infatti diciamo di conoscere in virtù dell’una e dell’altra), come anche siamo sani da un lato in virtù della salute e dall’altro in virtù di una certa parte del corpo o del <corpo> intero. Di queste cose, la conoscenza e la salute sono una certa forma e logos e l’atto di ciò che è ricettivo <della forma>, <ossia rispettivamente> di ciò che capace di conoscenza e di ciò che capace di salute (infatti sembra che l’atto di ciò che produce sia presente in ciò che subisce e si trova in una certa disposizione), e l’anima è ciò in virtù di cui viviamo, percepiamo e pensiamo in senso proprio. Di conseguenza, <l’anima> sarà un certo logos e forma, ma non materia e sostrato. (Arist. de An. 2.2 414a4-14)31 31 ἐπεὶ δὲ ᾧ ζῶμεν καὶ αἰσθανόμεθα διχῶς λέγεται, καθάπερ ᾧ ἐπιστάμεθα (λέγομεν δὲ τὸ μὲν ἐπιστήμην τὸ δὲ ψυχήν, ἑκατέρῳ γὰρ τούτων φαμὲν ἐπίστασθαι), ὁμοίως δὲ καὶ [ᾧ] ὑγιαίνομεν τὸ μὲν ὑγιείᾳ τὸ δὲ μορίῳ τινὶ τοῦ σώματος ἢ καὶ ὅλῳ, τούτων δ’ ἡ μὲν ἐπιστήμη τε καὶ ὑγίεια μορφὴ καὶ εἶδός τι καὶ λόγος καὶ οἷον ἐνέργεια τοῦ δεκτικοῦ, ἡ μὲν τοῦ ἐπιστημονικοῦ, ἡ δὲ τοῦ ὑγιαστοῦ (δοκεῖ γὰρ ἐν τῷ πάσχοντι καὶ διατιθεμένῳ ἡ τῶν ποιητικῶν ὑπάρχειν ἐνέργεια), ἡ ψυχὴ δὲ τοῦτο ᾧ ζῶμεν καὶ αἰσθανόμεθα καὶ διανοούμεθα πρώτως—ὥστε λόγος τις ἂν εἴη καὶ εἶδος, ἀλλ’ οὐχ ὕλη καὶ τὸ ὑποκείμενον. L’argomento può essere rigorizzato come segue: (1) Ciò in virtù di cui si dice in due sensi, dei quali il senso proprio è quello di forma e atto di ciò che è ricettivo della forma. (2) L’anima è ciò in virtù di cui viviamo, percepiamo e pensiamo in senso proprio. (1, 2) Dunque l’anima è forma e atto di ciò che è capace di vita, di percezione e di pensiero. Per la ricostruzione dell’argomento, si veda Th. in de An. 271-275, ripreso poi da Bonitz, 1969 e Achard, 2004.

L’obiezione categoriale, con la sua prova “evidentissima” costituita dal “test” della deducibilità degli attributi necessari, non è l’unica che Aristotele muove alla dottrina dell’anima come harmonia. 32 32 Vedi supra, n. 22. Aristotele presenta anche un ulteriore argomento, fondato su due significati del termine harmonia difficilmente riconducibili alla categoria della qualità (e con ciò a un errore categoriale33 33 Pace Movia, 1991, p. 259 ad de An. 407b32-408a18; Polansky, 2007, p. 111 ad de An. 407b27-408a28; Shields, 2016, p. 138 ad de An. 407b32-408a5, che ritengono che l’obiezione categoriale costituisca il presupposto fondamentale dell’intera critica aristotelica alla dottrina dell’anima come harmonia. I concetti di σύνθεσις e λόγος τῆς μίξεως difficilmente sono ascrivibili alla categoria della qualità; possono infatti essere intesi o come entrambi forme matematiche (la σύνθεσις come forma geometrica; il λόγος τῆς μίξεως come forma aritmetica: cfr. Movia, 1991, p. 259 ad de An. 407b32-408a18) oppure l’una come aggregato concreto (sostanza) e l’altro come formula dell’aggregazione (cfr. Shields, 2022, p. 73, che li definisce, rispettivamente, “concrete attunement” e “abstract attunemen”: “Concrete attunements are suitably attuned or joined bodies; abstract harmonies are the ratios in accordante with which the concrete attunements are attuned or joined"). ), vale a dire quello di “aggregazione” (σύνθεσις) e di “proporzione della mescolanza” (λόγος τῆς μίξεως):

T10. Inoltre, se diciamo harmonia avendo in vista due significati - nel senso più proprio, delle grandezze dotate di movimento e posizione, <diciamo harmonia> la loro aggregazione, a condizione che si armonizzino in modo tale da non accogliere nessun altro elemento congenere; secondariamente, <diciamo harmonia> anche la proporzione di ciò che si mescola -, allora secondo nessuno di questi <significati> è ragionevole <dire che l’anima è una certa harmonia>. (Arist. de An. 1.4 408a5-10)34 34 ἔτι δ’ εἰ λέγομεν τὴν ἁρμονίαν εἰς δύο ἀποβλέποντες, κυριώτατα μέν, τῶν μεγεθῶν ἐν τοῖς ἔχουσι κίνησιν καὶ θέσιν, τὴν σύνθεσιν αὐτῶν, ἐπειδὰν οὕτω συναρμόζωσιν ὥστε μηδὲν συγγενὲς παραδέχεσθαι, ἐντεῦθεν δὲ καὶ τὸν τῶν μεμιγμένων λόγον—οὐδετέρως μὲν οὖν εὔλογον.

Com’è noto, Aristotele distingue σύνθεσις e μίξις nel de Generatione et Corruptione (in part. 1.10 328a5-31): la σύνθεσις è un’aggregazione di tipo fisico, nella quale le componenti sono soltanto giustapposte e possono essere facilmente separate; la μίξις è invece una sorta di “combinazione chimica” (Joachim, 1903JOACHIM H. H. (1903). Aristotle’s Conception of Chemical Combination. Journal of Philology 29, p. 72-86.) che coinvolge le quattro qualità fondamentali degli elementi (caldo, freddo, umido, secco)35 35 A combinarsi non sono propriamente gli elementi, che sono sostanze: la loro unione darebbe origine piuttosto a una aggregazione fisica (σύνθεσις), non a una mescolanza (μίξις); inoltre, una sostanza non può essere contraria a un’altra sostanza. È dunque tra le qualità degli elementi, e non tra gli elementi come tali, che si dà opposizione reciproca e reciproco temperamento: cfr. Cael. 3.8 306b19-22; GC 2.3 331a1-3; 4 331a14-16; 8 335a6. Per questa ragione Aristotele in PA 2.1 646a14-16 specifica che “ancor meglio sarebbe forse parlare della composizione come risultante dalle qualità attive, e non da tutte ma da quelle di cui si è parlato altrove in precedenza [scl. caldo, freddo, umido e secco]”. e ha come risultato un composto omeomero o omogeneo,36 36 Prova del fatto che Aristotele intende per ‘omeomerie’ corpi omogenei è la sua qualificazione dei semi di Anassagora come ὁμοιομερῆ: cfr. Cael. 3.3 302a31-b5; Metaph. 1.3 984a14. Aristotele fornisce esempi sia di parti omeomere del corpo (umori come il sangue e la bile oppure tessuti e parti semplici come la carne, le ossa e le vene) sia di corpi omeomeri inorganici (i metalli) (cfr. Mete. 4.10 388a16-17; 12 390b5-6): mentre le prime esistono soltanto quando fanno parte di un corpo, i secondi possono sussistere καθ’ αὑτά: cfr. Furth, 1987, p. 33-34. le cui componenti elementari non sono più identificabili né possono essere separate, se non con un ulteriore processo di trasformazione. Le quattro qualità fondamentali degli elementi si combinano tra di loro secondo una specifica proporzione, appunto il λόγος τῆς μίξεως.

Nel de Anima Aristotele sostiene che il termine ἁρμονία non può essere applicato all’anima in nessuno di questi due sensi (T10, 408a9-10; cfr. 407b33-34). Il significato di ἁρμονία come σύνθεσις è per lui “molto facile da confutare” (408a10-13). Per σύνθεσις si intende infatti “aggregazione di grandezze dotate di movimento e posizione” (T10, 408a7), vale a dire “aggregazione di parti del corpo” (408a10): se l’anima è harmonia intesa come aggregazione di parti corporee, non sarà possibile identificare l’anima razionale (408a12), dal momento che secondo Aristotele essa non ha un organo corporeo specificamente deputato alla sua funzione (cfr. 1.1 403a3-12; 3.4 429a24-27); non sarà nemmeno possibile identificare l’anima percettiva o quella appetitiva (408a13), poiché ciascuna di queste coinvolge più organi corporei, che costituiscono un aggregato “unitario” secondo modalità diverse.37 37 La ragione per escludere che le facoltà percettiva e appetitiva siano aggregati di parti non è da rinvenire tanto nella identificazione delle parti corporee coinvolte (cfr. τίνος, 408a12) - come nel caso del νοῦς - bensì nel modo (cfr. πῶς, 408a12) in cui tali parti possono essere considerate aggregati unitari, ossia se secondo contatto, successione o continuità (cfr. Ph. 4.1 231a22-23). In particolare, queste parti sono “unitarie” in un modo diverso a secondo delle attività in cui si esprimono: per es., gli organi coinvolti nella percezione (organi di senso periferici e sensorio centrale, ossia il cuore) sono unitari per continuità, tramite il μεταξύ del sangue (cfr. per es. Insomn. 3 461a25-b30); gli organi coinvolti nella facoltà appetitiva sono unitari non solo per continuità (organi di senso, cuore) ma anche per contatto (organi della locomozione: cfr. MA 7 701b1-4; 10 703a19-28). In questo modo, l’anima si troverebbe ad essere una σύνθεσις secondo modalità diverse a seconda delle sue diverse attività: sarebbe un aggregato di parti unitario per continuità nel caso della percezione, per continuità e contatto nel caso del desiderio, ecc.; ci sarebbero insomma “tante anime” (vedi il “simile” argomento per escludere che l’anima sia proporzione della mescolanza in 408a13-18). “Ugualmente assurdo” è il significato di ἁρμονία come λόγος τῆς μίξεως (408a13-14): infatti, se l’anima è harmonia del senso di proporzione della mescolanza, poiché ognuna delle parti del corpo è costituita da una specifica proporzione delle qualità elementari (408a14-15), si avranno tante anime quante sono le parti del corpo (“polianimismo”), il che appunto è assurdo (408a16-18).

Fino a questo punto la critica di Aristotele non appare dissimile da quella compiuta da Platone nel Fedone: gli armonisti, identificando l’anima con l’aggregazione (σύνθεσις) delle parti del corpo o con la proporzione della mescolanza (λόγος τῆς μίξεως) caratteristica di ciascuna di esse, operano una riduzione ontologica dello psichico al fisico, sostenendo così una posizione materialista sull’anima. A differenza di Platone, tuttavia, Aristotele non procede ponendo una distinzione ontologica tra anima e corpo,38 38 Nel Fedone, la critica di Socrate all’analogia proposta da Simmia tra anima e harmonia è rivolta: (i) alla dipendenza della harmonia dallo strumento (contro l’argomento della reminiscenza, e perciò della preesistenza dell’anima rispetto al corpo) (91e5-92e3); (ii) alla tesi secondo cui la harmonia “segue” dagli elementi corporei (contro l’esistenza del vizio, che sarebbe contraddittorio in quanto disarmonia di una harmonia [92e4-94b3]; contro il governo del corpo da parte dell’anima [94b4-95a3]). Platone vede insomma nell’analogia dell’anima come harmonia un’ipotesi materialista (riduzionista) dell’anima, e perciò una minaccia alla differenza specifica dell’anima rispetto corpo, vale a dire la sua immortalità (e perciò la sua indipendenza ontologica). Sulla dottrina dell’anima-harmonia nel Fedone, si veda anche Trabattoni, 1988. bensì osservando che, nonostante l’anima non si identifichi con il corpo, essa è comunque in stretta relazione con questo:

T11. Da una parte dunque queste dottrine presentano tali difficoltà. Dall’altra però se l’anima è diversa dalla mescolanza, perché mai si distrugge insieme all’essenza della carne e a quella delle altre parti?39 39 Per questa resa del testo greco, si vedano per es. Movia, 1991; Shields, 2016; vedi inoltre ad 408a25 la variante τῷ (CX). Possibile anche intendere: “Se l’anima è diversa dalla mescolanza, perché mai si distruggono insieme l’essenza della carne e quella delle altre parti?”. In entrambi i casi Aristotele vuole mostrare la simultaneità della distruzione del λόγος del corpo e delle sue parti, inteso da un lato nel senso di forma (ossia l’anima e le sue capacità) e dall’altro nel senso di proporzione della mescolanza. Inoltre, se non ha un’anima ciascuna delle parti, se non è l’anima la proporzione della mescolanza, che cos’è ciò che si distrugge con l’abbandono dell’anima? (Arist. de An. 1.4 408a24-28)40 40 ταῦτα μὲν οὖν ἔχει τοιαύτας ἀπορίας. εἰ δ’ ἐστὶν ἕτερον ἡ ψυχὴ τῆς μίξεως, τί δή ποτε ἅμα τὸ σαρκὶ εἶναι ἀναιρεῖται καὶ τὸ τοῖς ἄλλοις μορίοις τοῦ ζῴου; πρὸς δὲ τούτοις εἴπερ μὴ ἕκαστον τῶν μορίων ψυχὴν ἔχει, εἰ μὴ ἔστιν ἡ ψυχὴ ὁ λόγος τῆς μίξεως, τί ἐστιν ὃ φθείρεται τῆς ψυχῆς ἀπολιπούσης;

Il passo è immediatamente successivo alla critica che Aristotele muove ad Empedocle, che presenterebbe secondo lo Stagirita una versione della dottrina dell’anima-harmonia:

T12. Si potrebbe sollevare questa obiezione anche contro Empedocle: dice infatti che ciascuna <parte del corpo> sta a una certa proporzione di essi [scl. degli elementi]. Dunque [i] l’anima è la proporzione o piuttosto si genera all’interno delle parti essendo qualcosa di diverso? E ancora [ii] l’Amicizia è causa di una mescolanza a caso oppure di una mescolanza secondo la proporzione, e [iii] questa [scl. l’Amicizia] è la proporzione o qualcosa di diverso rispetto alla proporzione? (Arist. de An. 1.4 408a18-23)41 41 ἀπαιτήσειε δ’ ἄν τις τοῦτό γε καὶ παρ’ Ἐμπεδοκλέους• ἕκαστον γὰρ αὐτῶν λόγῳ τινί φησιν εἶναι• πότερον οὖν ὁ λόγος ἐστὶν ἡ ψυχή, ἢ μᾶλλον ἕτερόν τι οὖσα ἐγγίνεται τοῖς μέρεσιν; ἔτι δὲ πότερον ἡ φιλία τῆς τυχούσης αἰτία μίξεως ἢ τῆς κατὰ τὸν λόγον, καὶ αὕτη πότερον ὁ λόγος ἐστὶν ἢ παρὰ τὸν λόγον ἕτερόν τι;

L’interpretazione della tesi, attribuita ad Empedocle (cfr. φησιν, T12, 408a20), “ciascuna parte del corpo sta a una certa proporzione degli elementi” (ἕκαστον […] αὐτῶν λόγῳ τινί […] εἶναι, T12, 408a19-20) si articola in tre interrogative disgiuntive che riguardano il rapporto tra proporzione della mescolanza, anima e Amicizia.

(i) Identificare l’anima con la proporzione della mescolanza delle qualità elementari condurrebbe all’obiezione del “polianimismo”, come si è visto; Aristotele sembra propendere piuttosto per la seconda alternativa, “l’anima si genera all’interno (ἐγγίνεται) delle parti essendo qualcosa di diverso” (T12, 408a20-21), come segnala il fatto che a introdurla sia l’espressione ἢ μᾶλλον (T12, 408a20). Il verbo ἐγγίγνομαι (T12, 408a21; lett. “formarsi dentro”) è impiegato da Aristotele a proposito del processo mediante cui l’anima informa il corpo:42 42 Cfr. Hicks, 1907, ad de An. 408a21. Per questa accezione del verbo ἐγγίγνομαι, si vedano, oltre i passi del de Anima citati da Hicks (408b18, 414a27, 426a5), anche GA 1.22 730b14 e, a proposito della facoltà psichica della percezione, HA 1.4 498a23-25; PA 2.1 647a5. Si vedano anche le occorrenze del verbo nei passi relativi alla generazione spontanea: Mete 4.1 379b6; 3 381b10; 11 389b5. l’anima non viene introdotta “dall’esterno” nel corpo, ma è immanente in esso ed “emerge” naturalmente e gradualmente nel corso dello sviluppo embrionale.43 43 Questo sviluppo “graduale” della materia/corpo e della forma/anima del vivente durante la gestazione è noto in letteratura con il termine “epigenesi” e si oppone alla dottrina “preformista” secondo la quale l’animale adulto, con tutti gli organi e i caratteri formali/psichici caratteristici della propria specie, “preesiste” in miniatura nel seme: sull’argomento vedi in part. Henry, 2018. Questo non significa che l’anima “derivi” dal corpo; essa piuttosto si forma insieme con il corpo, come attualizzazione delle capacità che esso possiede per svolgere determinate funzioni: “La natura - osserva Aristotele nel de Generatione Animalium - offre a ciascuno insieme (ἅμα) la capacità e l’organo, perché così è meglio” (4.1 766a5-6).

Aristotele poi si chiede (ii) se per Empedocle l’Amicizia sia responsabile di una mescolanza qualsiasi oppure di una mescolanza secondo una determinata proporzione: poiché passa a considerare (iii) il rapporto tra Amicizia e proporzione, sembra che egli propenda per la seconda ipotesi (cfr. anche de An. 1.5 410a1-5). Se Amicizia e proporzione della mescolanza siano per Empedocle da identificarsi oppure da mantenere distinte, è un interrogativo al quale Aristotele non offre una risposta. In altri contesti egli attribuisce ad Empedocle la tesi dell’identificazione della causa formale con la proporzione della mescolanza (cfr. PA 1.1 642a17-22; Metaph. 1.10 993a15-24), anche se non manca di osservare come ciò rappresenti una “forzatura” del suo pensiero “balbettante”; inoltre non è chiaro se in T12 la causa formale sia rappresentata dall’anima, dall’Amicizia o da entrambe.44 44 Un segnale della mancanza di chiarezza sul punto può essere rinvenuto anche nelle parafrasi offerte dagli interpreti: si veda ad esempio Polansky, 2007 p. 110 ad de An. 407b27-408a28: “Is Love just the ratio, or is it something beyond the ratio of mixture, its cause, so that it might be soul (a22-23)?”.

A rendere complessa l’esegesi di questo passo è inoltre la comprensione della sua relazione con T11. Alcuni interpreti (per es. Hicks, 1907HICKS R. D. (ed.) (1907). Aristoteles. De anima. Cambridge, Cambridge University Press ., p. 263; Gotthshalk, 1971GOTTSCHALK H. B. (1971). Soul as Harmonia. Phronesis 16, p. 179-199., p. 188-189; Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979), p. 257 ad de An. 407b27-32; Shields, 2016SHIELDS C. (ed.) (2016). Aristotle. De Anima. Oxford , Oxford University Press., p. 142 ad de An. 408a23-28) sostengono che T11 concluda l’intera analisi di Aristotele alla dottrina dell’anima come harmonia con l’“ammissione” della sua vicinanza ad essa; altri invece (per es. Charlton, 1985CHARLTON W. (1985). Aristotle and the Harmonia Theory. In: Gotthelf A. (ed.). Aristotle on Nature and Living Things. Pittsburgh-Bristol, Mathesis Publications-Bristol Classical Press, p. 131-150., p. 133-134; Polansky, 2007POLANSKY R. M. (2007). Aristotle’s De Anima: A Critical Commentary. Cambridge, Cambridge University Press . , p. 109-111 ad de An. 407b27-408a28) ritengono che T11 costituisca un ulteriore attacco all’anima-harmonia nella versione offertane da Empedocle. Questa seconda ipotesi ha il vantaggio di mettere in luce un aspetto fondamentale della critica di Aristotele alla teoria dell’anima-harmonia: di essa Aristotele rimprovera non solo la deriva materialista ma anche quella dualista. Infatti, se da un lato la tesi materialista dell’identificazione dell’anima con l’aggregazione o la proporzione della mescolanza di componenti corporee conduce all’assurdità del polianimismo, dall’altro quella dualista si limita a distinguere l’anima dal corpo senza però rendere conto della loro unione:

T13. L’assurdità in cui incorrono sia questa dottrina sia la maggior parte delle dottrine intorno all’anima è questa: mettono in connessione e pongono l’anima nel corpo senza specificare per quale ragione e in quale condizione sia il corpo. Questa precisazione tuttavia sembrerebbe essere necessaria, perché […] ciò non avviene tra cose a caso […] come se fosse possibile, in accordo con i miti pitagorici, che un’anima a caso si insinui in un corpo a caso (Arist. de An. I 3, 407b13-23)45 45 ἐκεῖνο δὲ ἄτοπον συμβαίνει καὶ τούτῳ τῷ λόγῳ καὶ τοῖς πλείστοις τῶν περὶ ψυχῆς· συνάπτουσι γὰρ καὶ τιθέασιν εἰς σῶμα τὴν ψυχήν, οὐθὲν προσδιορίσαντες διὰ τίν’ αἰτίαν καὶ πῶς ἔχοντος τοῦ σώματος. καίτοι δόξειεν ἂν τοῦτ’ ἀναγκαῖον εἶναι· διὰ γὰρ τὴν κοινωνίαν τὸ μὲν ποιεῖ τὸ δὲ πάσχει καὶ τὸ μὲν κινεῖται τὸ δὲ κινεῖ, τούτων δ’ οὐθὲν ὑπάρχει πρὸς ἄλληλα τοῖς τυχοῦσιν. οἱ δὲ μόνον ἐπιχειροῦσι λέγειν ποῖόν τι ἡ ψυχή, περὶ δὲ τοῦ δεξομένου σώματος οὐθὲν ἔτι προσδιορίζουσιν, ὥσπερ ἐνδεχόμενον κατὰ τοὺς Πυθαγορικοὺς μύθους τὴν τυχοῦσαν ψυχὴν εἰς τὸ τυχὸν ἐνδύεσθαι σῶμα. Per la presenza della dottrina della metempsicosi in Empedocle, si veda per es. DK 31 B117.

Aristotele non prende posizione su quale delle due tesi sia da attribuire ad Empedocle,46 46 Come dimostra il fatto che l'interpretazione del pensiero di Empedocle sia formulata mediante tre interrogative disgiuntive ([i] πότερον οὖν […] ἢ μᾶλλον […]; [ii] ἔτι δὲ πότερον […] ἢ […], [iii] καὶ […] πότερον […] ἢ […]; T12, 408a20-23); si veda inoltre l’incipit di T11, che esplicitamente fa riferimento ad “aporie” (ταῦτα μὲν οὖν ἔχει τοιαύτας ἀπορίας, 408a24), con un possibile riferimento a quelle sollevate da T12. Si vedano a questo proposito anche Hicks, 1907, p. 271 ad de An. 408a24, e Movia, 1991, p. 260-261 ad de An. 408a18-28, che sostengono che Aristotele stia qui adottando il metodo diaporematico senza prendere posizione. perché intende piuttosto mostrare la vacuità di entrambe: esse infatti falliscono nello spiegare l’unitarietà, dell’anima la tesi materialista, e del composto psicofisico la tesi dualista; di conseguenza, l’una non è in grado di rendere conto della vita, mentre l’altra della morte intesa come simultanea (ἅμα) dissoluzione di anima e corpo (T11, 408a25).

Se dunque la critica di Platone alla versione antica della sopravvenienza si fonda sulla tesi secondo cui l’anima è ontologicamente distinta dal corpo e, come tale, non può subire da esso nessuna modificazione, quella di Aristotele si fonda invece sull’idea che anima e corpo costituiscono un’unità essenziale, le cui modificazioni sono simultanee (ἅμα: T1, 403a18; T11, 408a25) in quanto essenzialmente psicofisiche.

L’affermazione della “simultaneità” delle variazioni dell’anima e del corpo è una tesi diversa dalla “covariazione asimmetrica” stabilita dagli interpreti sopravvenienti: per costoro l’anima “segue” (ἕπεται) il corpo. Si giunge così a quella che può essere considerata l’obiezione più importante contro l’interpretazione della sopravvenienza dell’ilomorfismo psicologico di Aristotele.

Sostenendo che le variazioni psichiche “seguono” le variazioni fisiche, la tesi della sopravvenienza accorda priorità esplicativa al corpo rispetto all’anima, rovesciando così la prospettiva aristotelica: secondo Aristotele, infatti, l’anima è anteriore da un punto di vista epistemico rispetto al corpo perché è ciò che definisce il corpo come tale, ossia come una materia dotata essenzialmente di una specifica potenzialità, quella per la vita.47 47 Un corpo non dotato della capacità per la vita, come per es. un cadavere, per Aristotele è “corpo” solo “per omonimia”, ossia solo per nome ma non per definizione: de An. 2.1 412b15, 20-22; PA 1.1 640b34-641a3, 18-21; GA 1.19 726b22-24; 2.1 734b24-27, 735a8; Metaph. 7.10 1035b11, 24; 11 1036b30-32.

“Correggere” la tesi della sopravvenienza accordando efficacia causale al mentale non significa riconoscere la priorità della forma/anima sulla materia/corpo, come invece vorrebbe Victor Caston (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 338): significa riconoscere che certi processi fisici hanno anche cause non fisiche (mentali o psichiche); ma rimane il fatto che tali cause hanno, secondo questa prospettiva, una base fisica dalla quale “dipendono”.

La base della sopravvenienza degli stati psichici è costituita per gli interpreti sopravvenienti da uno stato corporeo che è del tutto indipendente dalla forma: le stesse qualità elementari che sono alla base della formazione dei corpi omeomeri inorganici sono anche alla base dei corpi omeomeri organici (viventi). Questo è asserito sia dagli antichi sia dai contemporanei sostenitori della sopravvenienza. Alessandro d’Afrodisia, che come abbiamo visto è considerato da Caston come uno degli “eroi non celebrati” della sopravvenienza, non ritiene che l’emergenza di qualità nuove e più complesse sia una caratteristica peculiare degli esseri viventi: il suo modello sono i fenomeni “chimici” basilari (cfr. per es. de An. 24.21-25.4). Nonostante Caston ritenga che sia “abbastanza sorprendente” che Alessandro applichi lo stesso modello per viventi e non viventi (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 349), egli stesso incorre nello stesso tipo di ragionamento. Per Caston infatti ciò che costituisce una condizione necessaria e sufficiente per l’“emergere” dell’anima è un “cambiamento corporeo identificabile indipendentemente [dalla forma]”, prodotto da nient’altro che “calore ordinario” (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 336).

Per Aristotele, invece, i processi che comportano la generazione, lo sviluppo, il mantenimento e la corruzione di un essere vivente non sono affatto identificabili “indipendentemente” dall’anima, ma sono anzi definiti da questa a partire dal momento stesso del concepimento:

T14. Il calore è presente nel residuo seminale avendo l’impulso e l’atto di qualità e quantità proporzionate a ciascuna delle parti. Nella misura in cui difetta o è eccessivo, porta a compimento ciò che si forma in modo o peggiore o mutilo, più o meno come ciò che si condensa all’esterno per mezzo della lessatura, per il soddisfacimento della nutrizione o per qualche altro scopo. Ma in questo caso siano noi a procurare la proporzione del calore al processo, in quello invece lo conferisce la natura del genitore. (Arist. GA 2.6 743a26-34)48 48 Ἡ δὲ θερμότης ἐνυπάρχει ἐν τῷ σπερματικῷ περιττώματι τοσαύτην καὶ τοιαύτην ἔχουσα τὴν κίνησιν καὶ τὴν ἐνέργειαν ὅση σύμμετρος εἰς ἕκαστον τῶν μορίων. καθ’ ὅσον δ’ ἂν ἐλλείπῃ ἢ ὑπερβάλλῃ ἢ χεῖρον ἀποτελεῖ ἢ ἀνάπηρον τὸ γιγνόμενον, παραπλησίως τοῖς ἔξω συνισταμένοις διὰ τῆς ἑψήσεως πρὸς τροφῆς ἀπόλαυσιν ἤ τινα ἄλλην ἐργασίαν. ἀλλ’ ἐνταῦθα μὲν ἡμεῖς τὴν τῆς θερμότητος συμμετρίαν εἰς τὴν κίνησιν παρασκευάζομεν, ἐκεῖ δὲ δίδωσιν ἡ φύσις ἡ τοῦ γεννῶντος. Testo Drossaart Lulofs, 1965.

La forma definisce non solo la proporzione secondo la quale le qualità elementari devono mescolarsi per formare ognuna delle parti del corpo del feto, ma anche il limite della crescita e l’inizio del suo deperimento, compatibilmente con le condizioni esterne a cui è comunque soggetto l’essere vivente. Tali cambiamenti sono alterazioni orientate all’ottenimento di una certa natura (si veda in T14, 743b30, il verbo ἀποτελέω, “portare a compimento” nel senso di condurre al τέλος del processo generativo, l’ottenimento della forma/anima).

Il calore responsabile di questi processi non è affatto un calore “ordinario”, come quello del fuoco, perché è al primo che si deve la capacità di generare e mantenere la vita, non al secondo:

T15. Nel seme di tutti <gli animali> è presente ciò che fa sì che i semi siano fecondi: il cosiddetto caldo. Questo però non è fuoco, né una dynamis di quel tipo, ma il pneuma racchiuso nel seme e nella schiuma, o meglio la natura nel pneuma, che è analoga all’elemento degli astri. Perciò il fuoco non genera alcun animale né risulta che se ne componga alcuno nelle sostanze infuocate, in quelle umide e in quelle secche. Invece il calore del sole e quello degli animali, non solo quello <agente> attraverso il seme, ma anche un qualsiasi altro residuo della <loro> natura, possiede un principio vitale. Che dunque il calore <presente> negli animali non sia fuoco né dal fuoco abbia la sua origine è chiaro da questo argomenti. (Arist. GA 2.3 736b33-737a7)49 49 πάντων μὲν γὰρ ἐν τῷ σπέρματι ἐνυπάρχει ὅπερ ποιεῖ γόνιμα εἶναι τὰ σπέρματα, τὸ καλούμενον θερμόν. τοῦτο δ’ οὐ πῦρ οὐδὲ τοιαύτη δύναμίς ἐστιν ἀλλὰ τὸ ἐμπεριλαμβανόμενον ἐν τῷ σπέρματι καὶ ἐν τῷ ἀφρώδει πνεῦμα καὶ ἡ ἐν τῷ πνεύματι φύσις, ἀνάλογον οὖσα τῷ τῶν ἄστρων στοιχείῳ. διὸ πῦρ μὲν οὐθὲν γεννᾷ ζῷον, οὐδὲ φαίνεται συνιστάμενον ἐν πυρουμένοις οὔτ’ ἐν ὑγροῖς οὔτ’ ἐν ξηροῖς οὐθέν· ἡ δὲ τοῦ ἡλίου θερμότης καὶ ἡ τῶν ζῴων οὐ μόνον ἡ διὰ τοῦ σπέρματος, ἀλλὰ κἄν τι περίττωμα τύχῃ τῆς φύσεως ὂν ἕτερον, ὅμως ἔχει καὶ τοῦτο ζωτικὴν ἀρχήν. ὅτι μὲν οὖν ἡ ἐν τοῖς ζῴοις θερμότης οὔτε πῦρ οὔτε ἀπὸ πυρὸς ἔχει τὴν ἀρχὴν ἐκ τῶν τοιούτων ἐστὶ φανερόν.

Se il calore peculiare dell’organismo vivente, il “calore connaturato”, è irriducibile rispetto alla qualità elementare del caldo,50 50 Nei Parva Naturalia Aristotele sembra assimilare il calore connaturato al fuoco: cfr. in part. Juv. 4 469b15-16; Resp. 14 474a25-28, b12-13. La distinzione tra calore connaturato e calore ordinario in GA (T15) è stata considerata un unicum dovuto al contesto (la discussione dell’acquisizione dell’anima da parte del generato) (Solmsen, 1957, p. 120-123) oppure un ripensamento rispetto a quanto sostenuto nei PN (Manuli/Vegetti, 1977; Lefebvre, 1972, p. 189); ritengo invece più plausibile che nei PN Aristotele utilizzi in modo improprio l’immagine del fuoco per riferirsi al particolare “fuoco” che caratterizza la vita (si veda per es. l’espressione attenuativa ὥσπερ ἐμπεπυρευμένης, Juv. 4 469b16), poi precisando la ragione della distinzione tra i due (la capacità di generare) nel contesto appropriato, vale a dire appunto in GA (sul punto si veda anche Balme, 1972, p. 161, 164 ad GA 736a24-737a34). Differente è invece la tesi dell’identificazione dell’anima con il fuoco (o con la qualità ad esso associata, il calore), che viene rifiutata decisamente da Aristotele come una “tesi grossolana”: cfr. PA 2.7 652b9-15. anche i processi di cui esso è responsabile saranno irriducibili a quelli ordinari, chimico-fisici. Aristotele spesso paragona i processi biologici a quelli chimico-fisici: si veda ad esempio in T14 la lessatura, ἕψησις, mediante cui durante lo sviluppo embrionale si forma un “involucro” protettivo, l’epidermide, come “la pellicola sulle sostanze lessate” (GA 2.6 743b5-7); o ancora la cottura, πέψις, che costituisce il processo alla base della digestione, della formazione del sangue e del seme. Nella Meteorologia Aristotele chiarisce che nel caso dei processi biologici questi nomi sono attribuiti “non in senso proprio” (μὴ κυρίως):

T16. È dunque <effetto proprio> del calore la cottura, e della cottura <sono forme> maturazione, lessatura e arrostimento; <è> invece <effetto proprio> del freddo la non-cottura, e di questa <sono> <forme> crudezza, semi-cottura, bruciatura. Bisogna tenere presente che questi nomi sono attribuiti ai vari processi non in senso proprio, ma non sono stati stabiliti <nomi> in generale per tutti i processi simili. (Arist. Mete. 4.2 379b12-16)51 51 λοιπὸν δ’ εἰπεῖν τὰ ἐχόμενα εἴδη, ὅσα αἱ εἰρημέναι δυνάμεις ἐργάζονται ἐξ ὑποκειμένων τῶν φύσει συνεστώτων ἤδη. ἔστι δὴ θερμοῦ μὲν πέψις, πέψεως δὲ πέπανσις, ἕψησις, ἔτι ὄπτησις· ψυχρότητος δὲ ἀπεψία, ταύτης δὲ ὠμότης, μόλυνσις, στάτευσις. δεῖ δὲ ὑπολαμβάνειν μὴ κυρίως ταῦτα λέγεσθαι τὰ ὀνόματα τοῖς πράγμασιν, ἀλλ’ οὐ κεῖται καθόλου τοῖς ὁμοίοις. Testo Fobes, 1919. Si veda anche ad esempio, a proposito della percezione, de An. 2.5 418a1-3: ἐπεὶ δ’ ἀνώνυμος αὐτῶν ἡ διαφορά, διώρισται δὲ περὶ αὐτῶν ὅτι ἕτερα καὶ πῶς ἕτερα, χρῆσθαι ἀναγκαῖον τῷ πάσχειν καὶ ἀλλοιοῦσθαι ὡς κυρίοις ὀνόμασιν.

Nel caso della lessatura del cibo, ad esempio, il calore è fornito dall’esterno, “da noi” (T14, 743a33), mentre quanto avviene nel caso dello sviluppo embriologico è dovuto a “la natura del genitore” (T14, 743a34). Come osservò a proposito della πέψις uno dei grandi editori del de Partibus Animalium alla fine dell’ ‘800, William Ogle, “Mere cooking with fire of course does not convert blood into fat, nor digest food, nor the like” (1911, n. 3 ad PA 652a10).

Gli interpreti supervenienti considerano invece i processi biologici come “nient’altro che” processi chimico-fisici, sui quali “sopravvengono” o “emergono” gli stati psichici o mentali. Per Aristotele, invece, i processi che interessano l’organismo vivente non sono, nemmeno a un livello di analisi elementare, ordinari processi fisici: sono appunto processi biologici, che interessano anima e corpo insieme (ἅμα).

Osservazioni conclusive

La tesi della sopravvenienza ha avuto un’enorme fortuna nell’ambito di ricerca della filosofia della mente, costituendo un’ipotesi attraente sulla relazione di “covariazione” tra stati psichici e stati fisici. Il successo di questa tesi, evidente anche dal ricorso alla nozione di sopravvenienza in ambiti diversi da quello del dibattito mente-corpo (Kim, 1990KIM J. (1990). Supervenience as a Philosophical Concept. Metaphilosophy 21, n. 1/2, p. 1-27.), l’ha condotta all’attenzione anche degli storici della filosofia, che hanno esplorato la possibilità di impiegarla come strumento di analisi di testi pre-moderni: l’oggetto di questo saggio è stato, in particolare, la lettura sopravveniente dell’ilomorfismo psicologico di Aristotele. A tale interpretazione è possibile opporre uno degli argomenti che Aristotele muove contro la dottrina dell’anima come harmonia del corpo: si tratta di una proposta esegetica “vuota e dialettica”. Come osserva lo stesso Jaegwon Kim (1990), uno degli autori di riferimento della sopravvenienza, questa nozione è concepita in molteplici modi in dipendenza dagli scopi per cui è impiegata: limitandosi al pensiero antico, Platone, da dualista delle sostanze, ravvisa nella sopravvenienza dello psichico sul fisico una teoria materialista, mentre Aristotele, da ilomorfista, la considera una minaccia all’unione essenziale di anima e corpo - una minaccia materialista, se si identifica l’anima con una certa aggregazione delle parti del corpo o con la proporzione della mescolanza specifica per ciascuna di esse; una minaccia dualista, se anima e corpo vengono tenuti distinti senza rendere conto della loro inscindibile unità. La “vaghezza” della tesi della sopravvenienza, sia nella versione antica, espressa dalla dottrina dell’anima-harmonia, sia nella sua versione contemporanea, sembra allora costituire ancora oggi il suo limite maggiore.

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  • 1
    Impiego il termine ‘stato’ in un’accezione ampia, che include sia quelli che sono chiamati propriamente “stati”, ossia condizioni stabili che rappresentano il possesso di una certa proprietà (gr. ἕξεις) sia “eventi”, ossia accadimenti particolari temporalmente individuati quali attività (gr. ἐνέργειαι) o processi (gr. κινήσεις). Per quanto riguarda invece gli aggettivi ‘psichico’ e ‘mentale’, tendo ad accordare una preferenza all’uso del primo: Aristotele include infatti nel novero dello “psichico” non solo stati mentali o di coscienza, ma anche fenomeni vegetativi quali la nutrizione. Sull’“invenzione moderna” della mente, si vedano ad es. Di Francesco, 2002DI FRANCESCO, M. (2002). Introduzione alla filosofia della mente. Roma, Carocci., p. 52-55; Nannini, 2002NANNINI S. (2002). L’anima e il corpo: Un’introduzione storica alla filosofia della mente. Roma-Bari, Laterza . , p. 19-20; Frede, 1995FREDE M. (1995). On Aristotle’s Conception of Soul. In: Nussbaum M. C.; Rorty A. O. (eds.). Essays on Aristotle’s De anima. Oxford , Clarendon Press, p. 93-94. (1ed. 1992), p. 93-94; Putnam, 1994PUTNAM H. (1994). How Old Is the Mind? In: Putnam H. Words and Life. Cambridge (Mass.), Harvard University Press, p. 3-21..
  • 2
    Un’ulteriore difficoltà riscontrabile nel tentativo di un “ritorno ad Aristotele” riguarda un ambito specifico della sua ricerca psicologica, ossia quello della noetica. Gli autori contemporanei hanno infatti constatato una tensione - se non addirittura una vera e propria incoerenza - tra la generale prospettiva aristotelica sulla relazione ψυχή-σῶμα, di stampo appunto ilomorfista, e le sue affermazioni nel de Anima in merito alla “separabilità” e “non mescolanza” del νοῦς. Per questo problema, che non sarà qui oggetto di discussione, rimando tra gli studi più recenti a Zucca, 2019ZUCCA D. (2019). What is Aristotle’s Active Intellect? In: Medda R. ; Zucca D. (eds.). The Soul/Body Problem in Plato and Aristotle. Baden-Baden, Academia Verlag , p. 133-157.; Robinson, 2021ROBINSON H. M. ; SHIELDS C. (2021). Appendix: Howard Robinson and Christopher Shields on the Merits of Hylomorphism. In: Gregoric P. ; Fink J. L. (eds.). Encounters with Aristotelian Philosophy of Mind . New York-London, Routledge , p. 325-330.; Roreitner, 2021ROREITNER R. (2021). The Nous-Body Relationship in Aristotle’s De Anima. In: Gregoric P. ; Fink J. L. (eds.). Encounters with Aristotelian Philosophy of Mind . New York-London, Routledge , p. 249-280..
  • 3
    Si vedano anche Caston, 1993CASTON V. (1993). Aristotle and Supervenience. Southern Journal of Philosophy supp. 31, p. 107-135.; 2006CASTON V. (2006). Aristotle’s Psychology. In: Gill M. L.; Pellegrin P. (eds.). A Companion to Ancient Philosophy. Oxford , Blackwell, p. 316-346.. Aristotele è stato considerato un autore sopravveniente anche da Heinaman, 1990HEINAMAN R. A. (1990). Aristotle on the Mind-Body Problem. Phronesis 35, n. 1, p. 83-102., p. 90-91; Robinson, 1991ROBINSON H. M. (1991). Form and the Immateriality of the Intellect from Aristotle to Aquinas. Oxford Studies in Ancient Philosophy supp. 1991, p. 207-226., p. 221, 223; Scaltsas, 1994SCALTSAS T. (1994). Live Matter. In: Scaltsas T. Substances and Universals. Ithaca (NY), Cornell University Press, p. 199-221., p. 208-209, i quali però gli attribuiscono una teoria della mente che sotto importanti rispetti è diversa da quella descritta da Caston, come egli stesso non manca di osservare (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 332 n. 51). In quanto segue, mantengo dunque le definizioni di sopravvenienza, epifenomenalismo ed emergentismo formulate da Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 310-319.
  • 4
    Semplificando notevolmente la questione, si può dire che il materialista sostiene che tutto ciò che esiste è materiale, e che la materia è solida, impenetrabile, permanente, interagisce deterministicamente e solo per contatto; il fisicalista sostiene invece che esiste ciò che compare nell’ontologia della scienza fisica (forze, onde, campi e così via), che viene stabilito empiricamente. Il fisicalismo gode perciò di un’“apertura indefinita”, mentre il materialismo stabilisce relativamente a priori il contenuto della propria dottrina. Sul punto vedi Crane, 2001CRANE T. (2001). Elements of Minds: An Introduction to the Philosophy of Mind. Oxford , Oxford University Press., p. 63-68.
  • 5
    La nozione di sopravvenienza può essere associata a una forma “forte” (riduzionista) di materialismo, secondo cui i fenomeni psichici sono identici ai fenomeni fisici sia da un punto di vista ontologico (token identity) sia da un punto di vista epistemologico (type identity), così come a una versione “debole” (non riduzionista) di esso, che riconosce l’autonomia esplicativa dello psichico, in accordo con il dualismo concettuale o dei tipi (type dualism). Come osserva Di Francesco (2002DI FRANCESCO, M. (2002). Introduzione alla filosofia della mente. Roma, Carocci., p. 111), la nozione di sopravvenienza è compatibile anche con forme di dualismo ontologico quali l’“emergentismo metafisico”, che considera i fenomeni psichici “emergenti” dalla materia come entità genuine con poteri causali “intrinseci e non fisici”, e in quanto tali come irriducibili ai corrispondenti fisici, sia da un punto di vista esplicativo sia da un punto di vista ontologico.
  • 6
    Nel saggio del 1997, CastonCASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363. non distingue queste due forme di sopravvenienza, limitandosi ad accogliere la seconda ([SF]) (p. 314 n. 9). Le due forme di sopravvenienza sono invece distinte dall’autore in un saggio di qualche anno precedente: cfr. Caston, 1993CASTON V. (1993). Aristotle and Supervenience. Southern Journal of Philosophy supp. 31, p. 107-135., p. 112-113. Per queste formulazioni Caston dichiara, in entrambi i saggi (1993CASTON V. (1993). Aristotle and Supervenience. Southern Journal of Philosophy supp. 31, p. 107-135., p. 112, 130 n. 14; 1997, p. 314 n. 9), il suo debito a Jaegwon Kim: cfr. in part. Kim, 1984KIM J. (1984). Concepts of Supervenience. Philosophy and Phenomenological Research 45, n. 2, p. 153-176; 1990.
  • 7
    Caston è cauto nell’attribuire a (SF) la tesi della riduzione epistemologica dello psichico al fisico: questa infatti appare incompatibile con un’altra tesi da lui sostenuta, quella dell’efficacia causale dello psichico, che ne implica l’autonomia esplicativa (vedi infra, n. 8). La cautela di Caston in merito alla riduzione epistemologica dello psichico al fisico è del resto condivisa anche da Kim, 1984KIM J. (1984). Concepts of Supervenience. Philosophy and Phenomenological Research 45, n. 2, p. 153-176, p. 173-176.
  • 8
    Recentemente si è provato a rendere compatibile l’emergentismo con il fisicalismo intendendo la causalità retrograda in termini di forze configurazionali: le nuove leggi emergenti possono essere ricondotte idealmente a quelle fisiche, dato che alla loro origine c’è un unico meccanismo causale, che è un meccanismo fisico; data la coerenza delle leggi emergenti con le leggi della meccanica, questa forma di emergentismo (anche chiamato “emergentismo riduzionista”) rispetta il “principio di completezza esplicativa della fisica”. La versione di emergentismo proposta da Caston appare tuttavia diversa rispetto a questa forma riduzionista: secondo Caston infatti, le nuove leggi emergenti non possono essere ricondotte a quelle fisiche perché introducono un apparato concettuale radicalmente incommensurabile con quello fisico; le nuove leggi mettono allora in luce aspetti nuovi dell’universo, ossia aspetti non prevedibili e non descrivibili in termini fisicalisti (1997, p. 331). Per la distinzione di queste due forme di emergentismo, vedi Di Francesco, 2002DI FRANCESCO, M. (2002). Introduzione alla filosofia della mente. Roma, Carocci., p. 121; si veda anche Onnis, 2022ONNIS E. (2022). Emergenza, poteri causali ed efficacia causal-determinativa. Studi di estetica 23, p. 205-222..
  • 9
    Secondo Caston, Alessandro di Afrodisia non è stato l’unico tra i commentatori antichi a leggere il rapporto tra l’anima e il corpo nei termini della sopravvenienza, ma rappresenta un “ritorno all’ortodossia”, offrendo della teoria una versione “neo-aristotelica”, vale a dire, nell’interpretazione di Caston, emergentista e non epifenomenalista (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 347-354). In tempi più vicini ad Alessandro la teoria dell’anima come harmonia (considerata, come si vedrà, una versione antica della tesi della sopravvenienza) è sostenuta da Galeno, per es. in Quod animi mores corporis temperamenta sequantur, a cui Alessandro fa forse implicitamente riferimento (1997, p. 350-354; vedi anche Accattino/Donini, 1996ACCATTINO P.; DONINI P. (eds.) (1996). Alessandro di Afrodisia. L’anima. Roma-Bari, Laterza., p. 147 ad de An. 24.18-26.30, p. 150 ad de An. 26.16-20). Sulla teoria dell’anima come harmonia fino ai primi peripatetici, vedi Gottschalk, 1971GOTTSCHALK H. B. (1971). Soul as Harmonia. Phronesis 16, p. 179-199., p. 182-190; per Dicearco di Messina e Aristosseno di Taranto, vedi, oltre a Caston 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 339-346, anche Movia, 1968 ">MOVIA G. . (>(1968). Anima e intelletto: Ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo. >Padova, Antenore., p. 71-93.
  • 10
    Forse per questo Temistio sostiene che le affezioni dell’anima che “seguono le mescolanze del corpo e si accrescono e diminuiscono col variare di tale mescolanza” sono soltanto le passioni; le attività dell’anima più elevate come la percezione e il pensiero possono tutt’al più essere disturbate dalle condizioni del corpo, ma non ne sono direttamente dipendenti (in de An. 7.13-23). Per Aristotele invece le passioni costituiscono un caso paradigmatico del fatto che tutte le affezioni dell’anima coinvolgono il corpo: cfr. T1, 403a16-17; vedi anche 403a5-10.
  • 11
    Il termine greco per “stimolo” è πάθημα, che assume in 403a20 l’accezione tecnica di “causa del πάθος” (cfr. Bonitz, 1870BONITZ H. (1870). Index Aristotelicus. Berolini, Reimer., 554b26-32), come dimostra la sostituzione a 403a23 di παθήματα (o πάθημα) con l’aggettivo sostantivato φοβερόν, lett. “che fa o causa paura”. Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 332 traduce “provocations”.
  • 12
    “Essere nelle stesse condizioni di chi prova paura” (ἐν τοῖς πάθεσι γίνονται τοῖς τοῦ φοβουμένου) è una perifrasi per “avere (o provare) paura”: nel corpus aristotelico infatti l’espressione ἐν τοῖς πάθεσι (γίγνομαι) equivale a πάσχειν (τι). Sul punto si veda, oltre a Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 333 n. 55, anche Hicks, 1907HICKS R. D. (ed.) (1907). Aristoteles. De anima. Cambridge, Cambridge University Press ., p. 199 ad de An. 403a24.
  • 13
    ἔοικε δὲ καὶ τὰ τῆς ψυχῆς πάθη πάντα εἶναι μετὰ σώματος, θυμός, πραότης, φόβος, ἔλεος, θάρσος, ἔτι χαρὰ καὶ τὸ φιλεῖν τε καὶ μισεῖν· ἅμα γὰρ τούτοις πάσχει τι τὸ σῶμα. μηνύει δὲ τὸ ποτὲ μὲν ἰσχυρῶν καὶ ἐναργῶν παθημάτων συμβαινόντων μηδὲν παροξύνεσθαι ἢ φοβεῖσθαι, ἐνίοτε δ’ ὑπὸ μικρῶν καὶ ἀμαυρῶν κινεῖσθαι, ὅταν ὀργᾷ τὸ σῶμα καὶ οὕτως ἔχῃ ὥσπερ ὅταν ὀργίζηται. ἔτι δὲ μᾶλλον τοῦτο φανερόν· μηθενὸς γὰρ φοβεροῦ συμβαίνοντος ἐν τοῖς πάθεσι γίνονται τοῖς τοῦ φοβουμένου. εἰ δ’ οὕτως ἔχει, δῆλον ὅτι τὰ πάθη λόγοι ἔνυλοί εἰσιν. Per il testo del de Anima aristotelico adotto l’edizione di Ross, 1961ROSS W. D. (ed.) (1961). Aristotle. De anima. Oxford , Clarendon Press.; se non altrimenti specificato, le traduzioni sono mie.
  • 14
    Vedi Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 334 n. 57. Caston sostiene che (a) la facoltà del pensiero sopravvenga sul corpo come un tutto e (b) che i pensieri sopravvengano sullo stato intero del corpo. Per quanto riguarda il νοῦς ποιητικός, Caston, fedele alla linea di Alessandro di Afrodisia, sostiene che sia separato dall’uomo e divino (1996CASTON V. (1996). Aristotle on the Relation of the Intellect to the Body: Commentary on Broadie. Proceedings of the Boston Area Colloquium in Ancient Philosophy 12, p. 177-192.; 1999CASTON V. (1999). Aristotle’s Two Intellects: A Modest Proposal. Phronesis 44, p. 199-227.).
  • 15
    λέγομεν δὴ γένος ἕν τι τῶν ὄντων τὴν οὐσίαν, ταύτης δὲ τὸ μέν, ὡς ὕλην, ὃ καθ’ αὑτὸ οὐκ ἔστι τόδε τι, ἕτερον δὲ μορφὴν καὶ εἶδος, καθ’ ἣν ἤδη λέγεται τόδε τι, καὶ τρίτον τὸ ἐκ τούτων. ἔστι δ’ ἡ μὲν ὕλη δύναμις, τὸ δ’ εἶδος ἐντελέχεια, καὶ τοῦτο διχῶς, τὸ μὲν ὡς ἐπιστήμη, τὸ δ’ ὡς τὸ θεωρεῖν. […]. ἀναγκαῖον ἄρα τὴν ψυχὴν οὐσίαν εἶναι ὡς εἶδος σώματος φυσικοῦ δυνάμει ζωὴν ἔχοντος. ἡ δ’ οὐσία ἐντελέχεια· τοιούτου ἄρα σώματος ἐντελέχεια.
  • 16
    Torneremo tra breve sul significato del termine ‘affezione’ (gr. πάθος).
  • 17
    Secondo Bonitz, 1870BONITZ H. (1870). Index Aristotelicus. Berolini, Reimer., 36b54-60, si possono individuare almeno tre sensi dell’avverbio ἅμα nel corpus aristotelico: secondo il luogo (κατὰ τόπον), secondo il tempo (κατὰ χρόνον) e per natura (τῇ φύσει); quella tra psichico e corporeo nelle affezioni del vivente è una simultaneità per natura o ontologica: cfr. Cat. 13 14b27-32 con Bressan, 2011BRESSAN L. (2011). Aristotele, Categorie, 13: I significati di ‘simultaneità’. In: Bonelli M. ; Masi G. F. (eds.). Studi sulle Categorie di Aristotele. Amsterdam, Hakkert, p. 305-313..
  • 18
    Per la dottrina dell’anima-harmonia come una “versione antica” della sopravvenienza, specialmente del tipo epifenomenalista, vedi, oltre a Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 319-326, anche della Valle, 1905; Irwin, 1991IRWIN T. (1991). Aristotle’s Philosophy of Mind. In: Everson S. (ed.). Companions to Ancient Thought: 2 Psychology. Cambridge, Cambridge University Press , p. 56-83.; Langton, 2000LANGTON R. (2000). The Musical, the Magical and the Mathematical Soul. In: Crane T.; Patterson S. (eds.). The History of the Mind Body Problem. London, Routledge, p. 13-31.. La paternità di questa dottrina viene solitamente attribuita a Filolao (DK 44 A23) (cfr. per es. Ross, 1961ROSS W. D. (ed.) (1961). Aristotle. De anima. Oxford , Clarendon Press., p. 195 ad de An. 407b27-408a28; Laurenti, 2007LAURENTI R. (ed.) (2007). Aristotele. Della generazione e della corruzione, Dell’anima, Piccoli trattati di storia naturale, Traduzioni di A. Russo e R. Laurenti. Roma-Bari, Laterza . (1ed. 1983), p. 116 n. 68; Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979), p. 257 ad de An. 407b27-32) - del resto Simmia, portavoce della teoria nel Fedone, è un allievo di Filolao (61d6-7); essa appare però in aperto contrasto con alcuni aspetti cardine della teoria pitagorica dell’anima, quale segnatamente quello della sua immortalità, sostenuta anche dallo stesso Filolao. Altri studiosi attribuiscono invece la dottrina agli Eleati (per es. Geddes, 1863GEDDES W. D. (ed.) (1863). Platonis Phaedo: The Phaedo of Plato. London, Williams & Norgate. ); a Eraclito o più in generale a una tradizione popolare (per es. Della Valle, 1905DELLA VALLE G. (1905). La teoria dell’anima-armonia di Aristosseno e l’epifenomenismo contemporaneo. Rivista filosofica 7, p. 210-231.); o ancora ad Alcmeone, Empedocle e alla scuola medica siciliana (per es. Raven/Kirk, 1957RAVEN J. E; KIRK G. S. (1957). The Presocratic Philosphers: A Critical History with a Selection of Texts. Cambridge, Cambridge University Press . ). Per una discussione (e un rifiuto) di tutte queste alternative, vedi Gottschalk, 1971GOTTSCHALK H. B. (1971). Soul as Harmonia. Phronesis 16, p. 179-199., p. 191-194, che invece ritiene che essa sia un’invenzione, a scopo dialettico, di Platone (p. 194-195).
  • 19
    Καὶ ἄλλη δέ τις δόξα παραδέδοται περὶ ψυχῆς, πιθανὴ μὲν πολλοῖς οὐδεμιᾶς ἧττον τῶν λεγομένων, λόγον δ’ ὥσπερ εὐθύνοις δεδωκυῖα κἀν τοῖς ἐν κοινῷ γεγενημένοις λόγοις. ἁρμονίαν γάρ τινα αὐτὴν λέγουσι.
  • 20
    Cfr. de An. 1.2-3. Per un’analisi recente di questi capitoli, si veda Carter, 2019CARTER J. (2019). Aristotle on Earlier Greek Psychology: The Science of the Soul. Cambridge, Cambridge University Press..
  • 21
    Può darsi anche che Aristotele si riferisca a una discussione accademica del Fedone, quale potrebbe essere quella testimoniata dal dialogo Eudemo: cfr. Hicks, 1907HICKS R. D. (ed.) (1907). Aristoteles. De anima. Cambridge, Cambridge University Press ., ad de An. 407b29; Gottschalk, 1971GOTTSCHALK H. B. (1971). Soul as Harmonia. Phronesis 16, p. 179-199., p. 195; Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979), p. 258 ad de An. 407b27-32; Polansky, 2007POLANSKY R. M. (2007). Aristotle’s De Anima: A Critical Commentary. Cambridge, Cambridge University Press . , p. 105 ad de An. 407b27-408a28. Caston, 1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 339 ritiene che il riferimento sia alla fortuna che questa dottrina ha avuto nel Liceo (vedi supra, n. 9).
  • 22
    La maggior parte degli interpreti legge in 407b32-408a5 il riferimento ad almeno quattro obiezioni: [1] καίτοι γε […] λόγος τίς […] ἢ σύνθεσις […] οὐδέτερον […] τούτων. [2] ἔτι δὲ τὸ κινεῖν […] ὡς εἰπεῖν. [3] ἁρμόζει δὲ μᾶλλον καθ’ ὑγιείας […] καὶ ὅλως τῶν σωματικῶν ἀρετῶν, ἢ κατὰ ψυχῆς. [4] φανερώτατον δ’ εἴ τις ἀποδιδόναι πειραθείη τὰ πάθη καὶ τὰ ἔργα τῆς ψυχῆς […] ἐφαρμόζειν. Vedi per es. Hicks, 1907HICKS R. D. (ed.) (1907). Aristoteles. De anima. Cambridge, Cambridge University Press ., p. 265-266 ad de An. 407b32-408a28; Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979), p. 256; Shields, 2016SHIELDS C. (ed.) (2016). Aristotle. De Anima. Oxford , Oxford University Press., p. 138 ad de An. 407b32-408a5. Nella ipotesi esegetica qui proposta, si ritiene invece che ἔτι δὲ (407b34) segni un discrimine tra due argomenti: il primo, segnalato da καίτοι γε (407b32), fondato sui significati del termine harmonia; il secondo, segnalato appunto da ἔτι δὲ (407b34), consistente in un’obiezione categoriale dimostrata, come vedremo, tramite il “test” della deducibilità degli attributi necessari; i δὲ continuativi che seguono (408a1, 408a3) fanno parte di questo (unico) secondo argomento.
  • 23
    ἁρμόζει δὲ μᾶλλον καθ’ ὑγιείας λέγειν ἁρμονίαν, καὶ ὅλως τῶν σωματικῶν ἀρετῶν, ἢ κατὰ ψυχῆς. Sembra che questa osservazione fosse presente anche nel dialogo Eudemo: cfr. Phlp. in de An. 144.21-145.6, 147.6-10. (fr. 7 Ross 1955ROSS W. D. (ed.) (1955). Aristotelis fragmenta selecta. Oxford , Clarendon Press.).
  • 24
    Cfr. anche Eudemo, fr. 7 Ross 1955ROSS W. D. (ed.) (1955). Aristotelis fragmenta selecta. Oxford , Clarendon Press..
  • 25
    φανερώτατον δ’ εἴ τις ἀποδιδόναι πειραθείη τὰ πάθη καὶ τὰ ἔργα τῆς ψυχῆς ἁρμονίᾳ τινί• χαλεπὸν γὰρ ἐφαρμόζειν.
  • 26
    I due procedimenti euristici dell’induzione (dalla constatazione empirica degli attributi per sé dell’anima all’apprensione della nozione della sua essenza) e della deduzione (dalla nozione dell’essenza dell’anima alla conoscenza dei suoi attributi per sé) sono per Aristotele complementari: gli attributi per sé dell’anima sono infatti manifesti per esperienza prima ancora di essere dedotti logicamente dalla nozione della sua essenza: cfr. T6, 402b16-22 (e in part. vedi ἀνάπαλιν, 402b21).
  • 27
    ἔοικε δ’ οὐ μόνον τὸ τί ἐστι γνῶναι χρήσιμον εἶναι πρὸς τὸ θεωρῆσαι τὰς αἰτίας τῶν συμβεβηκότων ταῖς οὐσίαις (ὥσπερ ἐν τοῖς μαθήμασι τί τὸ εὐθὺ καὶ τὸ καμπύλον, ἢ τί γραμμὴ καὶ ἐπίπεδον, πρὸς τὸ κατιδεῖν πόσαις ὀρθαῖς αἱ τοῦ τριγώνου γωνίαι ἴσαι), ἀλλὰ καὶ ἀνάπαλιν τὰ συμβεβηκότα συμβάλλεται μέγα μέρος πρὸς τὸ εἰδέναι τὸ τί ἐστιν· ἐπειδὰν γὰρ ἔχωμεν ἀποδιδόναι κατὰ τὴν φαντασίαν περὶ τῶν συμβεβηκότων, ἢ πάντων ἢ τῶν πλείστων, τότε καὶ περὶ τῆς οὐσίας ἕξομεν λέγειν κάλλιστα· πάσης γὰρ ἀποδείξεως ἀρχὴ τὸ τί ἐστιν, ὥστε καθ’ ὅσους τῶν ὁρισμῶν μὴ συμβαίνει τὰ συμβεβηκότα γνωρίζειν, ἀλλὰ μηδ’ εἰκάσαι περὶ αὐτῶν εὐμαρές, δῆλον ὅτι διαλεκτικῶς εἴρηνται καὶ κενῶς ἅπαντες.
  • 28
    Per Caston questa costituisce l’obiezione fondamentale di Aristotele alla dottrina dell’anima-harmonia, da lui equiparata all’epifenomenismo contemporaneo (1997CASTON V. (1997). Epiphenomenalism, Ancient and Modern. Philosophical Review 106, p. 309-363., p. 326-332).
  • 29
    ἔτι δὲ τὸ κινεῖν οὐκ ἔστιν ἁρμονίας, ψυχῇ δὲ πάντες ἀπονέμουσι τοῦτο μάλισθ’ ὡς εἰπεῖν. Cfr. anche de An. 1.1 403b25-29.
  • 30
    φαμὲν γὰρ τὴν ψυχὴν λυπεῖσθαι χαίρειν, θαρρεῖν φοβεῖσθαι, ἔτι δὲ ὀργίζεσθαί τε καὶ αἰσθάνεσθαι καὶ διανοεῖσθαι· ταῦτα δὲ πάντα κινήσεις εἶναι δοκοῦσιν. ὅθεν οἰηθείη τις ἂν αὐτὴν κινεῖσθαι· τὸ δ’ οὐκ ἔστιν ἀναγκαῖον. […]. τὸ δὴ λέγειν ὀργίζεσθαι τὴν ψυχὴν ὅμοιον κἂν εἴ τις λέγοι τὴν ψυχὴν ὑφαίνειν ἢ οἰκοδομεῖν· βέλτιον γὰρ ἴσως μὴ λέγειν τὴν ψυχὴν ἐλεεῖν ἢ μανθάνειν ἢ διανοεῖσθαι, ἀλλὰ τὸν ἄνθρωπον τῇ ψυχῇ.
  • 31
    ἐπεὶ δὲ ᾧ ζῶμεν καὶ αἰσθανόμεθα διχῶς λέγεται, καθάπερ ᾧ ἐπιστάμεθα (λέγομεν δὲ τὸ μὲν ἐπιστήμην τὸ δὲ ψυχήν, ἑκατέρῳ γὰρ τούτων φαμὲν ἐπίστασθαι), ὁμοίως δὲ καὶ [ᾧ] ὑγιαίνομεν τὸ μὲν ὑγιείᾳ τὸ δὲ μορίῳ τινὶ τοῦ σώματος ἢ καὶ ὅλῳ, τούτων δ’ ἡ μὲν ἐπιστήμη τε καὶ ὑγίεια μορφὴ καὶ εἶδός τι καὶ λόγος καὶ οἷον ἐνέργεια τοῦ δεκτικοῦ, ἡ μὲν τοῦ ἐπιστημονικοῦ, ἡ δὲ τοῦ ὑγιαστοῦ (δοκεῖ γὰρ ἐν τῷ πάσχοντι καὶ διατιθεμένῳ ἡ τῶν ποιητικῶν ὑπάρχειν ἐνέργεια), ἡ ψυχὴ δὲ τοῦτο ᾧ ζῶμεν καὶ αἰσθανόμεθα καὶ διανοούμεθα πρώτως—ὥστε λόγος τις ἂν εἴη καὶ εἶδος, ἀλλ’ οὐχ ὕλη καὶ τὸ ὑποκείμενον. L’argomento può essere rigorizzato come segue: (1) Ciò in virtù di cui si dice in due sensi, dei quali il senso proprio è quello di forma e atto di ciò che è ricettivo della forma. (2) L’anima è ciò in virtù di cui viviamo, percepiamo e pensiamo in senso proprio. (1, 2) Dunque l’anima è forma e atto di ciò che è capace di vita, di percezione e di pensiero. Per la ricostruzione dell’argomento, si veda Th. in de An. 271-275, ripreso poi da Bonitz, 1969BONITZ H. (1969). Aristotelische Studien: Fűnf Teile in einem Band. Wien, Hof und Staatsdruckerei. (1ed. 1862) e Achard, 2004ACHARD M. (2004). Épistémologie et pratique de la science chez Aristote: Les Seconds Analitiques et la définition de l’âme dans le De anima. Paris, Klincksieck..
  • 32
    Vedi supra, n. 22.
  • 33
    Pace Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979), p. 259 ad de An. 407b32-408a18; Polansky, 2007POLANSKY R. M. (2007). Aristotle’s De Anima: A Critical Commentary. Cambridge, Cambridge University Press . , p. 111 ad de An. 407b27-408a28; Shields, 2016SHIELDS C. (ed.) (2016). Aristotle. De Anima. Oxford , Oxford University Press., p. 138 ad de An. 407b32-408a5, che ritengono che l’obiezione categoriale costituisca il presupposto fondamentale dell’intera critica aristotelica alla dottrina dell’anima come harmonia. I concetti di σύνθεσις e λόγος τῆς μίξεως difficilmente sono ascrivibili alla categoria della qualità; possono infatti essere intesi o come entrambi forme matematiche (la σύνθεσις come forma geometrica; il λόγος τῆς μίξεως come forma aritmetica: cfr. Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979), p. 259 ad de An. 407b32-408a18) oppure l’una come aggregato concreto (sostanza) e l’altro come formula dell’aggregazione (cfr. Shields, 2022SHIELDS C. (2022). Souls among Forms: Harmonies and Aristotle’s Hylomorphism. In: Cohoe C. (ed.). Aristotle’s on the Soul: A Critical Guide, Cambridge, Cambridge University Press , p. 66-88., p. 73, che li definisce, rispettivamente, “concrete attunement” e “abstract attunemen”: “Concrete attunements are suitably attuned or joined bodies; abstract harmonies are the ratios in accordante with which the concrete attunements are attuned or joined").
  • 34
    ἔτι δ’ εἰ λέγομεν τὴν ἁρμονίαν εἰς δύο ἀποβλέποντες, κυριώτατα μέν, τῶν μεγεθῶν ἐν τοῖς ἔχουσι κίνησιν καὶ θέσιν, τὴν σύνθεσιν αὐτῶν, ἐπειδὰν οὕτω συναρμόζωσιν ὥστε μηδὲν συγγενὲς παραδέχεσθαι, ἐντεῦθεν δὲ καὶ τὸν τῶν μεμιγμένων λόγον—οὐδετέρως μὲν οὖν εὔλογον.
  • 35
    A combinarsi non sono propriamente gli elementi, che sono sostanze: la loro unione darebbe origine piuttosto a una aggregazione fisica (σύνθεσις), non a una mescolanza (μίξις); inoltre, una sostanza non può essere contraria a un’altra sostanza. È dunque tra le qualità degli elementi, e non tra gli elementi come tali, che si dà opposizione reciproca e reciproco temperamento: cfr. Cael. 3.8 306b19-22; GC 2.3 331a1-3; 4 331a14-16; 8 335a6. Per questa ragione Aristotele in PA 2.1 646a14-16 specifica che “ancor meglio sarebbe forse parlare della composizione come risultante dalle qualità attive, e non da tutte ma da quelle di cui si è parlato altrove in precedenza [scl. caldo, freddo, umido e secco]”.
  • 36
    Prova del fatto che Aristotele intende per ‘omeomerie’ corpi omogenei è la sua qualificazione dei semi di Anassagora come ὁμοιομερῆ: cfr. Cael. 3.3 302a31-b5; Metaph. 1.3 984a14. Aristotele fornisce esempi sia di parti omeomere del corpo (umori come il sangue e la bile oppure tessuti e parti semplici come la carne, le ossa e le vene) sia di corpi omeomeri inorganici (i metalli) (cfr. Mete. 4.10 388a16-17; 12 390b5-6): mentre le prime esistono soltanto quando fanno parte di un corpo, i secondi possono sussistere καθ’ αὑτά: cfr. Furth, 1987FURTH, M. (1987). Aristotle’s Biological Universe: An Overview. In: Gotthelf A.; Lennox J. G. (eds.). Philosophical Issues in Aristotle’s Biology. Cambridge, Cambridge University Press , p. 21-52., p. 33-34.
  • 37
    La ragione per escludere che le facoltà percettiva e appetitiva siano aggregati di parti non è da rinvenire tanto nella identificazione delle parti corporee coinvolte (cfr. τίνος, 408a12) - come nel caso del νοῦς - bensì nel modo (cfr. πῶς, 408a12) in cui tali parti possono essere considerate aggregati unitari, ossia se secondo contatto, successione o continuità (cfr. Ph. 4.1 231a22-23). In particolare, queste parti sono “unitarie” in un modo diverso a secondo delle attività in cui si esprimono: per es., gli organi coinvolti nella percezione (organi di senso periferici e sensorio centrale, ossia il cuore) sono unitari per continuità, tramite il μεταξύ del sangue (cfr. per es. Insomn. 3 461a25-b30); gli organi coinvolti nella facoltà appetitiva sono unitari non solo per continuità (organi di senso, cuore) ma anche per contatto (organi della locomozione: cfr. MA 7 701b1-4; 10 703a19-28). In questo modo, l’anima si troverebbe ad essere una σύνθεσις secondo modalità diverse a seconda delle sue diverse attività: sarebbe un aggregato di parti unitario per continuità nel caso della percezione, per continuità e contatto nel caso del desiderio, ecc.; ci sarebbero insomma “tante anime” (vedi il “simile” argomento per escludere che l’anima sia proporzione della mescolanza in 408a13-18).
  • 38
    Nel Fedone, la critica di Socrate all’analogia proposta da Simmia tra anima e harmonia è rivolta: (i) alla dipendenza della harmonia dallo strumento (contro l’argomento della reminiscenza, e perciò della preesistenza dell’anima rispetto al corpo) (91e5-92e3); (ii) alla tesi secondo cui la harmonia “segue” dagli elementi corporei (contro l’esistenza del vizio, che sarebbe contraddittorio in quanto disarmonia di una harmonia [92e4-94b3]; contro il governo del corpo da parte dell’anima [94b4-95a3]). Platone vede insomma nell’analogia dell’anima come harmonia un’ipotesi materialista (riduzionista) dell’anima, e perciò una minaccia alla differenza specifica dell’anima rispetto corpo, vale a dire la sua immortalità (e perciò la sua indipendenza ontologica). Sulla dottrina dell’anima-harmonia nel Fedone, si veda anche Trabattoni, 1988TRABATTONI F. (1988). La dottrina dell’anima-armonia nel Fedone. Elenchos 9, p. 53-74..
  • 39
    Per questa resa del testo greco, si vedano per es. Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979); Shields, 2016SHIELDS C. (ed.) (2016). Aristotle. De Anima. Oxford , Oxford University Press.; vedi inoltre ad 408a25 la variante τῷ (CX). Possibile anche intendere: “Se l’anima è diversa dalla mescolanza, perché mai si distruggono insieme l’essenza della carne e quella delle altre parti?”. In entrambi i casi Aristotele vuole mostrare la simultaneità della distruzione del λόγος del corpo e delle sue parti, inteso da un lato nel senso di forma (ossia l’anima e le sue capacità) e dall’altro nel senso di proporzione della mescolanza.
  • 40
    ταῦτα μὲν οὖν ἔχει τοιαύτας ἀπορίας. εἰ δ’ ἐστὶν ἕτερον ἡ ψυχὴ τῆς μίξεως, τί δή ποτε ἅμα τὸ σαρκὶ εἶναι ἀναιρεῖται καὶ τὸ τοῖς ἄλλοις μορίοις τοῦ ζῴου; πρὸς δὲ τούτοις εἴπερ μὴ ἕκαστον τῶν μορίων ψυχὴν ἔχει, εἰ μὴ ἔστιν ἡ ψυχὴ ὁ λόγος τῆς μίξεως, τί ἐστιν ὃ φθείρεται τῆς ψυχῆς ἀπολιπούσης;
  • 41
    ἀπαιτήσειε δ’ ἄν τις τοῦτό γε καὶ παρ’ Ἐμπεδοκλέους• ἕκαστον γὰρ αὐτῶν λόγῳ τινί φησιν εἶναι• πότερον οὖν ὁ λόγος ἐστὶν ἡ ψυχή, ἢ μᾶλλον ἕτερόν τι οὖσα ἐγγίνεται τοῖς μέρεσιν; ἔτι δὲ πότερον ἡ φιλία τῆς τυχούσης αἰτία μίξεως ἢ τῆς κατὰ τὸν λόγον, καὶ αὕτη πότερον ὁ λόγος ἐστὶν ἢ παρὰ τὸν λόγον ἕτερόν τι;
  • 42
    Cfr. Hicks, 1907HICKS R. D. (ed.) (1907). Aristoteles. De anima. Cambridge, Cambridge University Press ., ad de An. 408a21. Per questa accezione del verbo ἐγγίγνομαι, si vedano, oltre i passi del de Anima citati da Hicks (408b18, 414a27, 426a5), anche GA 1.22 730b14 e, a proposito della facoltà psichica della percezione, HA 1.4 498a23-25; PA 2.1 647a5. Si vedano anche le occorrenze del verbo nei passi relativi alla generazione spontanea: Mete 4.1 379b6; 3 381b10; 11 389b5.
  • 43
    Questo sviluppo “graduale” della materia/corpo e della forma/anima del vivente durante la gestazione è noto in letteratura con il termine “epigenesi” e si oppone alla dottrina “preformista” secondo la quale l’animale adulto, con tutti gli organi e i caratteri formali/psichici caratteristici della propria specie, “preesiste” in miniatura nel seme: sull’argomento vedi in part. Henry, 2018HENRY D. (2018). Aristotle on Epigenesis: Two Senses of Epigenesis. In: Falcon A.; Lefebvre D. (eds.). Aristotle’s Generation of Animals: A Critical Guide, Cambridge, Cambridge University Press , p. 89-107..
  • 44
    Un segnale della mancanza di chiarezza sul punto può essere rinvenuto anche nelle parafrasi offerte dagli interpreti: si veda ad esempio Polansky, 2007POLANSKY R. M. (2007). Aristotle’s De Anima: A Critical Commentary. Cambridge, Cambridge University Press . p. 110 ad de An. 407b27-408a28: “Is Love just the ratio, or is it something beyond the ratio of mixture, its cause, so that it might be soul (a22-23)?”.
  • 45
    ἐκεῖνο δὲ ἄτοπον συμβαίνει καὶ τούτῳ τῷ λόγῳ καὶ τοῖς πλείστοις τῶν περὶ ψυχῆς· συνάπτουσι γὰρ καὶ τιθέασιν εἰς σῶμα τὴν ψυχήν, οὐθὲν προσδιορίσαντες διὰ τίν’ αἰτίαν καὶ πῶς ἔχοντος τοῦ σώματος. καίτοι δόξειεν ἂν τοῦτ’ ἀναγκαῖον εἶναι· διὰ γὰρ τὴν κοινωνίαν τὸ μὲν ποιεῖ τὸ δὲ πάσχει καὶ τὸ μὲν κινεῖται τὸ δὲ κινεῖ, τούτων δ’ οὐθὲν ὑπάρχει πρὸς ἄλληλα τοῖς τυχοῦσιν. οἱ δὲ μόνον ἐπιχειροῦσι λέγειν ποῖόν τι ἡ ψυχή, περὶ δὲ τοῦ δεξομένου σώματος οὐθὲν ἔτι προσδιορίζουσιν, ὥσπερ ἐνδεχόμενον κατὰ τοὺς Πυθαγορικοὺς μύθους τὴν τυχοῦσαν ψυχὴν εἰς τὸ τυχὸν ἐνδύεσθαι σῶμα. Per la presenza della dottrina della metempsicosi in Empedocle, si veda per es. DK 31 B117.
  • 46
    Come dimostra il fatto che l'interpretazione del pensiero di Empedocle sia formulata mediante tre interrogative disgiuntive ([i] πότερον οὖν […] ἢ μᾶλλον […]; [ii] ἔτι δὲ πότερον […] ἢ […], [iii] καὶ […] πότερον […] ἢ […]; T12, 408a20-23); si veda inoltre l’incipit di T11, che esplicitamente fa riferimento ad “aporie” (ταῦτα μὲν οὖν ἔχει τοιαύτας ἀπορίας, 408a24), con un possibile riferimento a quelle sollevate da T12. Si vedano a questo proposito anche Hicks, 1907HICKS R. D. (ed.) (1907). Aristoteles. De anima. Cambridge, Cambridge University Press ., p. 271 ad de An. 408a24, e Movia, 1991MOVIA G. (ed.) (1991). Aristotele. L’anima. Napoli, Loffredo. (1ed. 1979), p. 260-261 ad de An. 408a18-28, che sostengono che Aristotele stia qui adottando il metodo diaporematico senza prendere posizione.
  • 47
    Un corpo non dotato della capacità per la vita, come per es. un cadavere, per Aristotele è “corpo” solo “per omonimia”, ossia solo per nome ma non per definizione: de An. 2.1 412b15, 20-22; PA 1.1 640b34-641a3, 18-21; GA 1.19 726b22-24; 2.1 734b24-27, 735a8; Metaph. 7.10 1035b11, 24; 11 1036b30-32.
  • 48
    Ἡ δὲ θερμότης ἐνυπάρχει ἐν τῷ σπερματικῷ περιττώματι τοσαύτην καὶ τοιαύτην ἔχουσα τὴν κίνησιν καὶ τὴν ἐνέργειαν ὅση σύμμετρος εἰς ἕκαστον τῶν μορίων. καθ’ ὅσον δ’ ἂν ἐλλείπῃ ἢ ὑπερβάλλῃ ἢ χεῖρον ἀποτελεῖ ἢ ἀνάπηρον τὸ γιγνόμενον, παραπλησίως τοῖς ἔξω συνισταμένοις διὰ τῆς ἑψήσεως πρὸς τροφῆς ἀπόλαυσιν ἤ τινα ἄλλην ἐργασίαν. ἀλλ’ ἐνταῦθα μὲν ἡμεῖς τὴν τῆς θερμότητος συμμετρίαν εἰς τὴν κίνησιν παρασκευάζομεν, ἐκεῖ δὲ δίδωσιν ἡ φύσις ἡ τοῦ γεννῶντος. Testo Drossaart Lulofs, 1965DROSSAART LULOFS H. J. (ed.) (1965). Aristotelis de Generatione Animalium. Oxford , Clarendon Press..
  • 49
    πάντων μὲν γὰρ ἐν τῷ σπέρματι ἐνυπάρχει ὅπερ ποιεῖ γόνιμα εἶναι τὰ σπέρματα, τὸ καλούμενον θερμόν. τοῦτο δ’ οὐ πῦρ οὐδὲ τοιαύτη δύναμίς ἐστιν ἀλλὰ τὸ ἐμπεριλαμβανόμενον ἐν τῷ σπέρματι καὶ ἐν τῷ ἀφρώδει πνεῦμα καὶ ἡ ἐν τῷ πνεύματι φύσις, ἀνάλογον οὖσα τῷ τῶν ἄστρων στοιχείῳ. διὸ πῦρ μὲν οὐθὲν γεννᾷ ζῷον, οὐδὲ φαίνεται συνιστάμενον ἐν πυρουμένοις οὔτ’ ἐν ὑγροῖς οὔτ’ ἐν ξηροῖς οὐθέν· ἡ δὲ τοῦ ἡλίου θερμότης καὶ ἡ τῶν ζῴων οὐ μόνον ἡ διὰ τοῦ σπέρματος, ἀλλὰ κἄν τι περίττωμα τύχῃ τῆς φύσεως ὂν ἕτερον, ὅμως ἔχει καὶ τοῦτο ζωτικὴν ἀρχήν. ὅτι μὲν οὖν ἡ ἐν τοῖς ζῴοις θερμότης οὔτε πῦρ οὔτε ἀπὸ πυρὸς ἔχει τὴν ἀρχὴν ἐκ τῶν τοιούτων ἐστὶ φανερόν.
  • 50
    Nei Parva Naturalia Aristotele sembra assimilare il calore connaturato al fuoco: cfr. in part. Juv. 4 469b15-16; Resp. 14 474a25-28, b12-13. La distinzione tra calore connaturato e calore ordinario in GA (T15) è stata considerata un unicum dovuto al contesto (la discussione dell’acquisizione dell’anima da parte del generato) (Solmsen, 1957SOLMSEN F. (1957). The Vital Heat, the Inborn Pneuma and the Aether. The Journal of Hellenic Studies 77, p. 119-123., p. 120-123) oppure un ripensamento rispetto a quanto sostenuto nei PN (Manuli/Vegetti, 1977MANULI P.; VEGETTI, M. (1977). Cuore, sangue e cervello: Biologia e antropologia nel pensiero antico. Milano, Episteme editrice.; Lefebvre, 1972LEFEBVRE C. (1972). Sur l’évolution d’Aristote en psychologie. Louvain, Peeters., p. 189); ritengo invece più plausibile che nei PN Aristotele utilizzi in modo improprio l’immagine del fuoco per riferirsi al particolare “fuoco” che caratterizza la vita (si veda per es. l’espressione attenuativa ὥσπερ ἐμπεπυρευμένης, Juv. 4 469b16), poi precisando la ragione della distinzione tra i due (la capacità di generare) nel contesto appropriato, vale a dire appunto in GA (sul punto si veda anche Balme, 1972BALME D. (ed.) (1972). Aristotle’s De Partibus Animalium I and De Generatione Animalium I (with Passages from II.3). Oxford, Clarendon Aristotles Series., p. 161, 164 ad GA 736a24-737a34). Differente è invece la tesi dell’identificazione dell’anima con il fuoco (o con la qualità ad esso associata, il calore), che viene rifiutata decisamente da Aristotele come una “tesi grossolana”: cfr. PA 2.7 652b9-15.
  • 51
    λοιπὸν δ’ εἰπεῖν τὰ ἐχόμενα εἴδη, ὅσα αἱ εἰρημέναι δυνάμεις ἐργάζονται ἐξ ὑποκειμένων τῶν φύσει συνεστώτων ἤδη. ἔστι δὴ θερμοῦ μὲν πέψις, πέψεως δὲ πέπανσις, ἕψησις, ἔτι ὄπτησις· ψυχρότητος δὲ ἀπεψία, ταύτης δὲ ὠμότης, μόλυνσις, στάτευσις. δεῖ δὲ ὑπολαμβάνειν μὴ κυρίως ταῦτα λέγεσθαι τὰ ὀνόματα τοῖς πράγμασιν, ἀλλ’ οὐ κεῖται καθόλου τοῖς ὁμοίοις. Testo Fobes, 1919FOBES F. H. (ed.) (1919). Aristotelis Meteorologicorum libri quattuor. Cambridge, Cambridge University Press .. Si veda anche ad esempio, a proposito della percezione, de An. 2.5 418a1-3: ἐπεὶ δ’ ἀνώνυμος αὐτῶν ἡ διαφορά, διώρισται δὲ περὶ αὐτῶν ὅτι ἕτερα καὶ πῶς ἕτερα, χρῆσθαι ἀναγκαῖον τῷ πάσχειν καὶ ἀλλοιοῦσθαι ὡς κυρίοις ὀνόμασιν.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    20 Nov 2023
  • Date of issue
    2023

History

  • Received
    08 Feb 2023
  • Accepted
    09 Mar 2023
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